un bel volto ed un gran core.
e a lui vanno i miei sospiri.
questo affrena e pena amore. (In atto d’entrar nel tempio)
tra le faci e tra gli altari
Né d’Ermione abbandonata,
che condanni a’ patri lari,
questo è ancor l’ultimo addio.
fur miei beni e mali or sono;
e se il figlio che mi resta
copre omai tomba funesta,
dirò ancor: «Non son più madre».
Chi ’l diria? L’iliaco erede
altro scampo a sé non vede,
contra un odio iniquo e fello,
che l’orror d’un cieco avello
e la grande ombra del padre.
O non m’ami o poco m’ami,
se mi brami altrui rifiuto,
perché io poi sia tua mercede.
Il piacer del caro oggetto
prima legge è dell’affetto,
primo impegno è della fede.
cerca invano il cacciator.
se ne accorge e ne fa preda;
e ne ha colpa un troppo amor.
Guarda pur. O quello o questo
è tua prole e sangue mio.
Tu nol sai; ma il so ben io;
né a te, perfido, il dirò.
Chi di voi lo vuol per padre?
Vi arretrate? Ah, voi tacendo,
sento dir: «Tu mi sei madre
di accortezza e m’ingannò.
Non lasciarti impietosir.
Pensa a Grecia e pensa a te;
vuol vendetta, impegno e fé
che tu faccia il già crescente
tralcio infesto inaridir.
Quando al figlio tuo vedrai
te deluso e me più forte,
Anche il giorno abborrirei,
in mirar que’ lumi spenti
che sì bei formar le stelle.
E se ben di sdegno ardenti,
pregio sempre è di mia fede
dir che amai luci sì belle.
l’onde accheta, i venti affrena;
e ne reggi a’ dolci lari.
in baciar la patria arena,
altri templi ed altri altari.
Tale, augusta, è il tuo valore
che del merto esser minore
Vorria amor lodarti appieno;
se nol fa, tu ben comprendi
che il desio non gli vien meno;
ma il difetto è del poter.