Aminta, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO TERZO
 
 Stanze di Euridice.
 
 SCENA PRIMA
 
 CELIA e SILVIO
 
 CELIA
 Tanto Elpino ti espose?
 SILVIO
 O fosse vero! Anch’io
 saprei lieto offerirti
940quel destin che rifiuti,
 anch’io salir per innalzarti al trono,
 anch’io dirti: «Beato
 più nel tuo amor che nel mio grado io sono».
 CELIA
 Eh, Silvio, allor che in soglio
945io ti vedessi assiso,
 vorrei che dal tuo cor tu cancellassi
 anche di Celia il nome.
 SILVIO
 Crudel, perché?
 CELIA
                                Mi è nota
 vergin real, cui del più illustre sangue
950bollon le vene. O quante volte, o quante
 ella mi disse: «Amante
 son del tuo Silvio. Anche a me stessa ignota,
 lo seguo al bosco, al monte,
 alla selva, alla fonte.
955L’amo e l’amo pastor».
 SILVIO
                                            Sogni mi narri.
 CELIA
 Ella talor mi dice:
 «Vanne e Silvio ritrova,
 Silvio, l’arcier gentil che mi ferì;
 e per me, se hai pietà, digli così...»
 
 SCENA II
 
 DIONISIO, incatenato fra guardie, e i suddetti
 
 DIONISIO
960(Celia è quella od Elisa? Al primo inganno
 voi tornate, o miei lumi). (Veduta Celia, si ferma)
 CELIA
 Silvio, non son qual pensi,
 ninfa vil, donna abietta;
 l’amarti in tal destino
965è comune a più cori. Io di un affetto,
 che più ti illustra, avvampo.
 SILVIO
 Attonito ti ascolto.
 DIONISIO
                                    (A tempo io giunsi).
 CELIA
 Nacqui di real ceppo. A questi lidi
 destin mi trasse e mi rattenne amore,
970amor che in sen mi nacque,
 figlio del tuo bel volto.
 Caro Silvio, mio ben, per te mi scordo
 genitor, patria, regno,
 il mio grado e me stessa!
 DIONISIO
                                                (Indegna Elisa!)
 CELIA
975Più non sono qual fui
 né mi ravviso più. Ma non è questo
 il più fier de’ miei mali.
 L’amarti è gioia, è sorte;
 non poter dir qual t’amo è pena, è morte.
 SILVIO
980Celia è che parla?
 CELIA
                                   Io sono
 che parlo a te con l’altrui labbra. Udisti
 prova di amor più rara? O più ne brami?
 SILVIO
 Celia, od io non t’intendo o tu non m’ami.
 CELIA
 
    T’amo, sì, son tutta amor;
985ma sei tu che non intendi
 il linguaggio del mio cor.
 
    Ho piacer che nol comprendi,
 perché in te veggio più fede
 e in me sento men rossor. (In atto di partire, Celia è arrestata da Dionisio che si avanza)
 
 DIONISIO
990Fermati. Io ben t’intendo.
 CELIA
 (Misera me!)
 SILVIO
                            (Che fia!)
 DIONISIO
 Femmina vile, ingiuria,
 disonor del tuo sesso e del mio sangue,
 invan mi fuggi; invano
995lo sguardo abbassi e di rossor ti copri.
 Questa volta il mentir nome bugiardo,
 finger stupido ciglio,
 negarmi ’l grado e simular qual sei
 non gioveratti. Io ben t’intendo.
 CELIA
                                                            O dei!
 DIONISIO
1000Tal ti ritrovo? O miei
 mal perduti disegni!
 Mal gittati sospiri!
 Così posta in non cale
 l’onestà di fanciulla,
1005la sorte tua, l’amor paterno, il nostro,
 noi, te stessa tradisci?
 Tanto ti accieca amore?
 E di tanto trionfa un vil pastore?
 CELIA
 (O vergogna!)
 SILVIO
                             (Infedele!)
 DIONISIO
1010Vedi, mal nata, vedi,
 per te misero io sono; e son tua colpa
 i mali che ho sofferti,
 i ceppi ch’or sostengo e che con ira
 scuote la man, cui dal lor peso è tolta (Scuote la catena)
1015la vendetta che spera,
 quanto tarda in punir tanto più fiera.
 
    La tua fiamma e l’ira mia
 col tuo sangue ammorzerò.
 
    Di supplizio, che sia degno
1020del tuo fallo e del mio sdegno,
 alma vil, ti punirò.
 
 SCENA III
 
 SILVIO e CELIA
 
 SILVIO
 Udii! Sognai! Celia, tu taci? In volto
 or pallida, or vermiglia,
 dell’agitato cor spieghi i tumulti.
 CELIA
1025Negar nol posso.
 SILVIO
                                 In altro lido il prence
 di Siracusa a te fu noto?
 CELIA
                                               È vero.
 SILVIO
 L’amasti?
 CELIA
                      In me natura
 ne accese i casti ardori.
 SILVIO
 E per pena di Silvio ancor l’adori.
 CELIA
1030L’amo; di questa al pari
 cara mi è la sua vita.
 SILVIO
 (Infelice alma mia, tu sei tradita).
 CELIA
 (Per discolpa di Celia,
 per riposo di Silvio,
1035scoprasi tutto il mio destin). Mio caro...
 SILVIO
 Lasciami.
 CELIA
                     Io l’amo, è vero,
 ma...
 SILVIO
             Non più.
 CELIA
                                Quest’amore...
 SILVIO
 È di Silvio la morte.
 CELIA
 Odimi.
 SILVIO
                 Ah troppo intesi!
 CELIA
1040Dionisio...
 SILVIO
                      È degno
 che tu l’adori.
 CELIA
                            Silvio...
 SILVIO
 Misero, vil ma fido,
 che fu già tuo trionfo e tuo rifiuto.
 CELIA
 Ti accieca il duol.
 SILVIO
                                  Più mi acciecan que’ sguardi,
1045quelle promesse, que’ sospiri ad arte
 lusinghieri e mendaci.
 CELIA
 Credi, il mio amor nulla ti offende.
 SILVIO
                                                                  Taci.
 CELIA
 
    Taccio. Se resti misero,
 lagnati sol di te.
 
1050   Son infedel, son perfida
 qual tu mi vuoi, crudel.
 Dei che mi udite, a voi
 solo dirò: «D’inganno
 reo questo cor non è».
 
 SCENA IV
 
 SILVIO
 
 SILVIO
1055Sì, di me sol deggio lagnarmi. In donna
 troppo voi confidaste,
 pure fiamme dell’alma, affetti miei.
 Ma che? Creduto avrei
 pria tenebroso il giorno,
1060senz’onde il mare e senz’arene il lido
 che il cor di Celia infido.
 
    Stelle ingiuste, un cor voi deste
 troppo infido a bel sembiante.
 
    O men vago un far dovreste
1065o far l’altro più costante.
 
 Campagna orrida.
 
 SCENA V
 
 AMINTA
 
 AMINTA
 
    Dove son? Dove rivolgo,
 ombra errante, i dubbi passi?
 
    Vengo a voi, con voi mi dolgo,
 ciechi orrori e sordi sassi.
 
1070Sì, tra voi che mi offrite
 spettacoli funesti, idee lugubri,
 stanza ricerco al mio dolor conforme.
 Qui fra inospite balze e fra’ silenzi
 di una perpetua notte,
1075romito abitator, quel che mi resta
 breve corso di vita
 terminerò piangendo; e quando i lumi
 piacerà al mio dolor ch’io chiuda al pianto,
 non al sol cui gli ascondo,
1080godrò almeno che sia
 quest’albergo di morte
 nell’ultimo sospir la tomba mia.
 
 SCENA VI
 
 AMINTA e ADRASTO
 
 ADRASTO
 Ove appunto sperai ritrovo Aminta.
 AMINTA
 Ecco Adrasto. O fortuna
1085nimica al mio riposo, a che mel guidi?
 ADRASTO
 Mio re, quando Euridice
 del suo sdegno è pentita e a te pietosa
 reca il dolce perdon, tu solo, in preda
 a un dolor disperato,
1090fai de’ singhiozzi tuoi gemer le rupi?
 AMINTA
 A vita sì crudel, s’ella è pur vita,
 amico, mi condanna
 Euridice e il mio fallo.
 ADRASTO
 Che! Tu temi una sposa
1095dopo i tuoi benefizi?
 Il tuo timor l’offende.
 Abbandona gli orrori e a lei ritorna,
 che a braccia aperte entro del sen ti attende.
 AMINTA
 Non mi accieca il tuo amor. Son io capace
1100più di perdon? Il figlio,
 o dei! l’ucciso figlio
 render le posso? Allora
 ch’io la ritolsi al rapitor lascivo,
 ritrattò la sentenza?
1105Sparse un sospiro, un sospir solo? Adrasto,
 si dee morir. Tu parti.
 Abbastanza mi fosti
 ne’ mali miei consolator compagno.
 Te, suo caro regnante, Argo sospira;
1110suo felice amator, te Celia attende.
 Vanne a goder...
 ADRASTO
                                 Ch’io ti abbandoni, Aminta?
 Io che trovo in te solo
 tutto il mio ben? Tu mi sei Celia ed Argo;
 e nel tuo solo amor tutto possiedo.
 AMINTA
1115Deh parti.
 ADRASTO
                      Io teco vissi.
 Teco morrò.
 AMINTA
                         Rimanti,
 crudele amico. Io mi consolo alfine;
 in sì misero stato
 avrai poco a soffrir. Momenti ancora
1120mi rimangon di vita.
 La mia colpa e il mio duol voglion ch’io mora.
 ADRASTO
 Misero Aminta.
 AMINTA
                                Allora
 che a me chiuse le luci e sparso avrai
 di poca polve il busto esangue e l’ossa,
1125vanne, ten prego, o caro,
 all’irata mia sposa; e fa’ che al mesto,
 infelice racconto
 del mio morir, si plachi; e almen ne senta,
 se non duolo, pietà. Di un suo sospiro
1130quest’alma all’ombre eterne andrà contenta.
 ADRASTO
 (Sento svellermi ’l cor).
 AMINTA
                                             Dille ch’io moro
 per averla tradita
 e ch’io morir dovea...
 
 SCENA VII
 
 EURIDICE, ELPINO e i detti
 
 EURIDICE
 Non morirai, non morirai, mia vita.
 AMINTA
1135Euridice.
 ADRASTO
                     Regina.
 EURIDICE
 
    Tornami, o caro, in sen;
 rischiara il bel sembiante,
 io ti perdono.
 
    Mi ha vinta il tuo dolor;
1140e se ti stringo amante,
 è giustizia l’amor,
 non è più dono.
 
 AMINTA
 Sei tu, bella Euridice? O nume sei
 per pietà del mio duol sceso dagli astri?
 EURIDICE
1145Pongasi, Aminta, in un eterno obblio
 la tua colpa e il mio sdegno.
 In avvenir meglio sol m’ama; meglio
 riconosci ’l mio affetto; e più non rompa
 rabbia di gelosia
1150la catena immortal de’ nostri cori.
 AMINTA
 O felici sospiri!
 ADRASTO
                               O giusti amori!
 ELPINO
 Lascia che teco anch’ io
 goda de’ tuoi contenti.
 AMINTA
 Ah, presenza fatal, che mi rammenti? ( Si volge altrove per non mirarlo)
 ELPINO
1155Fugge il mirarmi.
 EURIDICE
                                    Elpino,
 vattene omai. Ciò che t’imposi adempi.
 ELPINO
 Pronto ubbidisco. (Si parte)
 AMINTA
                                    O figlio!
 O vittima innocente!
 EURIDICE
 Uscì da questo seno
1160ciò che tu piangi; e questo seno ancora
 tel renderà, se tu fedel l’abbracci.
 AMINTA
 In sì tenero amplesso,
 le mie pene già scordo.
 ADRASTO
                                             O nodi!
 EURIDICE
                                                              O lacci!
 AMINTA
 Tu taci, Adrasto? Il tuo silenzio è gioia?
1165È stupor? Siam tenuti ambo a te solo
 del nostro ben.
 ADRASTO
                              Ciò ch’io dovea...
 AMINTA
                                                               Regina,
 io ti offro in lui...
 EURIDICE
                                  Tutto in disparte intesi.
 Il tuo grado e il tuo amor, prence, mi è noto;
 e ch’io il sappia, a te giovi.
 ADRASTO
1170Celia è troppo costante
 nell’amor suo.
 EURIDICE
                             La vinceranno alfin
 la tua sorte, il tuo merto ed Euridice.
 ADRASTO
 Celia, se ti possiedo, io son felice.
 EURIDICE
 Andiam; più lieti oggetti
1175chiede il nostro piacer.
 AMINTA
                                            Ti seguo, o cara;
 ma se tu vi risplendi,
 perde l’ombra l’orrore e si rischiara.
 
    Così grande è il mio contento
 ch’ei mi basta a tor di vita;
 
1180   ma lo tempra il pentimento
 che ho di averti un dì tradita.
 
 EURIDICE
 
    Mi è sì caro il tuo dolore
 ch’ei mi sforza a più adorarti.
 
    Sol per lui gode il mio core
1185il piacer del perdonarti.
 
 SCENA VIII
 
 ADRASTO
 
 ADRASTO
 Ite, amanti felici. Ite, ben degni
 della vostra fortuna.
 Chi sa che, in dì sì lieto, anche a’ miei voti
 non arrida Cupido? E Celia alfine
1190non mi dica: «Idol mio,
 tu m’ami e t’amo anch’io».
 
    Vado dicendo al cor:
 «Spera, potrai goder»;
 ed ei nol crede.
 
1195   L’uso di un gran dolor
 a un incerto piacer
 toglie la fede.
 
 Antro sacro delle ninfe
 
 SCENA IX.
 
 EURIDICE e AMINTA
 
 EURIDICE
 Almi geni di amor...
 AMINTA
                                        Sacre di Tempe
 divinità custodi...
 EURIDICE
1200Del Peneo belle figlie...
 AMINTA
                                            Amiche dive...
 A DUE
 A voi...
 EURIDICE
                Grati...
 AMINTA
                                Divoti,
 Aminta porge...
 EURIDICE
                                Offre Euridice...
 A DUE
                                                                I voti.
 EURIDICE
 Se l’onor, se lo sposo,
 già resi a me, son la mia gioia e sono
1205tutta la mia felicità presente,
 vostro, dive, è il gran dono.
 Voi prendeste in difesa
 l’innocenza di un’alma; a voi pietade
 fer le lagrime caste e le querele
1210di un cor pudico e di un amor fedele.
 AMINTA
 Felice te, mia cara sposa. All’are
 porti un’alma sicura
 ed a’ facili dei porgi tuoi preghi.
 lo temo insin la lor pietade; e temo
1215che ascoltino i miei voti.
 Chieder vorrei, dopo la sposa, il figlio;
 ma se il figlio innocente,
 sol per mia crudeltà, cadde trafitto,
 la ragion del mio pianto
1220rammenta e non cancella il mio delitto.
 EURIDICE
 Gloria è de’ numi il ritornarci i beni
 meno sperati. In questo
 sovra del nostro il lor poter s’innalza
 e dei solo gli rende il poter tutto.
1225In lor confida; e il figlio
 forse sarà della tua fede il frutto.
 
 SCENA X
 
 SILVIO, ELPINO e i suddetti
 
 ELPINO
 Eccoci alla regina. Ella ti renda
 ragion di quanto chiedi.
 EURIDICE
 Sorgi, o Silvio, e favella. (Io ben v’intendo
1230palpiti del cor mio).
 AMINTA
                                       (Nobil sembianza!)
 SILVIO
 Amor, de’ nostri cori
 il più dolce tiranno, a’ piedi tuoi,
 gran regina, mi tragge.
 Ardo e Celia è il mio foco. Al suo bel volto,
1235Dionisio ed Adrasto
 hanno il piacer di offrir corone ed ostri.
 EURIDICE
 Che! Tuo rival di Siracusa il prence?
 SILVIO
 Appunto.
 EURIDICE
                     (Alma lasciva).
 SILVIO
 Or questo è il mio dolor, ch’altri al mio bene
1240possa offerir ciò ch’io vorrei.
 EURIDICE
                                                      Ti lagni
 dunque di Elpin, perché sì vil nascesti?
 SILVIO
 Mi lagno sol perché qual nacqui ei tace.
 EURIDICE
 Nascesti vil, s’egli ti è padre.
 SILVIO
                                                      Ei padre
 mi è sol di amor, non di natura; ed io
1245per dover, non per sangue a lui son figlio.
 EURIDICE
 Non sei suo figlio?
 AMINTA
                                     E come uscir potea
 da sterpe sì villan fior sì gentile?
 SILVIO
 Vagia fanciullo in cuna e il primo ancora
 latte suggea, quando ad Elpino impose
1250cenno real, né so a qual fine, il darmi
 fiera immatura morte.
 Finse ubbidir; ma sconosciuto in Tempe
 seco mi trasse e in qualità di figlio
 mi allevò ne’ suoi tetti.
 AMINTA
1255Che? Dimmi, a cruda morte
 regio voler ti condannò?
 SILVIO
                                               Più volte
 mel disse Elpino.
 AMINTA
                                   E tu ne avesti ’l cenno?
 ELPINO
 L’ebbi, il confermo.
 AMINTA
                                       E in cuna
 vagivi allor bambino?
 SILVIO
1260Sette corsi compiti
 Cintia ancor non avea, da che era nato.
 AMINTA
 Quando ciò avvenne?
 SILVIO
                                          Or son tre lustri appunto.
 AMINTA
 (O qual mi serpe ardor per l’ossa!)
 EURIDICE
                                                                 (E freno
 me stessa ancor?) Ma quale
1265è il tuo padre, o garzon?
 SILVIO
                                              Questa, o regina,
 è l’alta brama, onde a’ tuoi piè son tratto.
 Mel tace Elpin. Sol mi accennò poc’anzi
 che di re nacqui.
 ELPINO
                                  E non mentii.
 SILVIO
                                                              Ma prima
 ei mi additò che questa
1270candida rosa, onde al natal segnommi
 natura il manco braccio,
 varrebbe un dì...
 AMINTA
                                  Più non v’ha dubbio, o caro...
 EURIDICE
 O di questo mio sen viscere...
 AMINTA, EURIDICE A DUE
                                                        O tanto
 figlio bramato e pianto.
 SILVIO
1275Io figlio a voi!
 AMINTA
                             Son io quel padre iniquo
 che già ti volle estinto.
 EURIDICE
                                           Ed io son quella
 che per te tanto pianse, afflitta madre.
 SILVIO
 Alle lagrime vostre,
 lagrime sol di giubilo e di amore,
1280le sue confonde anche di Silvio il core.
 ELPINO
 Or, mio rege, a’ tuoi piedi
 chiedo il perdon del fortunato inganno.
 AMINTA
 E quando mai s’intese
 più bella colpa? Io l’amo
1285più della tua innocenza, o fido servo.
 EURIDICE
 E il guiderdon avrai dall’amor mio.
 SILVIO
 Pietoso Elpin, quanto a te deggio anch’io!
 Ecco Celia; compite
 il mio piacer nel suo possesso, o numi.
 
 SCENA XI
 
 CELIA e i suddetti
 
 CELIA
1290Fallo non v’ha più degno
 di un facile perdon che quel d’amore;
 errò, regina, e gravemente, è vero,
 Dionisio ti offese.
 Ma come sua discolpa è il tuo sembiante,
1295così sua pena è l’infelice evento.
 Per supplizio a lui basti
 che tu sii sua nimica, egli tuo amante.
 Non aggravar di ceppi
 destra real nata allo scettro. Il dona
1300al suo amore, al suo grado, a’ preghi miei.
 Usa ver gl’infelici
 quella pietà che teco usan gli dei.
 SILVIO
 (Quanto gentil, tanto infedel tu sei).
 EURIDICE
 Celia, donde in te nasca
1305tanta pietà, non vo’ cercar; le grazie,
 grazie non son, se sono caute e tarde.
 Donisi alle tue brame
 la libertà del prence; indi tu stessa
 l’alma disponi a compiacermi in cosa
1310che a me fia di contento, a te di onore.
 CELIA
 Troppo ti deggio. È tuo di Celia il core.
 AMINTA
 All’amor tuo, mia sposa,
 sovvenga Adrasto. Ora egli è tempo. Intanto
 del prigionier reale
1315vado a scior le catene.
 EURIDICE
 Seco a me riedi.
 AMINTA
                                 E tosto
 in te a bearmi io tornerò, mio bene.
 
    Star lontan dagli occhi tuoi,
 per me, cara,
1320non è viver ma languir
 .
    Se non fosse la speranza
 di tornar, begli occhi, a voi,
 anche in breve lontananza,
1325il languir saria morir.
 
 SCENA XII
 
 EURIDICE, CELIA, SILVIO ed ELPINO
 
 EURIDICE
 Celia, rimanti; ogni altro parta.
 SILVIO
                                                           Al cenno
 ubbidisco. (Finge partire)
 ELPINO
                        M’involo. (Si parte)
 SILVIO
 (Ma qui mi fermo inosservato). (Si ferma in disparte)
 EURIDICE
                                                             Sole
 siam, ninfa. In questo punto
1330s’agita il tuo destino.
 Cieca se nol conosci,
 folle se lo disprezzi;
 gran venture a te porge
 la tua beltà, l’amor di Adrasto. Ah, vedi,
1335non irritar gli dei col disprezzarle.
 Diventa il ben perduto un gran tormento
 e la nostra fortuna è un sol momento.
 CELIA
 Se, regina, al mio labbro
 quella sincera libertà concedi
1340che vien dal cor...
 EURIDICE
                                   Favella.
 CELIA
 Dirò; sul generoso amor di Adrasto
 qualor fisso la mente,
 mi perdo e mi confondo. A lui son grata
 quanto mi lice; e appieno
1345il suo gran merto e il mio dover mi è noto.
 Ma nel grato desio
 lo rispetto, non l’amo;
 né volendo il potrei;
 tutti ha Silvio in balia gli affetti miei.
 EURIDICE
1350Non nascesti mia suddita; né posso
 stender su te l’autorità del cenno.
 Ma Silvio a te non nacque.
 Sovra il suo cor mi diè natura impero
 più che di sua regina;
1355e per semplice ninfa arder non lice
 ad un figlio di Aminta e di Euridice.
 CELIA
 Silvio è pastor.
 EURIDICE
                              No, Celia.
 In lui mi rende il cielo
 il perduto Alessandro e ad Alessandro
1360piacer non dee l’amor di Silvio. Ei prenda
 col grado anco altro core
 e prence obblii ciò che adorò pastore.
 CELIA
 Silvio, già morto a Celia,
 non è più Silvio. Egli è dover che ancora
1365Celia non sia più Celia e a Silvio mora.
 
 SCENA XIII
 
 SILVIO, CELIA e EURIDICE
 
 SILVIO
 Anzi Silvio morrà. Perdona, o madre.
 Torni Celia o la vita
 è, regina, per me l’istessa sorte
 e in destin sì crudel sol cambio morte.
 CELIA
1370(Bella costanza!)
 EURIDICE
                                 E che, vorrai, tu erede
 del macedone impero e tu di regi
 nobil germoglio, in basso amor di ninfa
 cieco avvilir de’ tuoi natali il pregio?
 SILVIO
 N’arde anche Adrasto, il prence d’Argo; e pure
1375lodi e proteggi l’ardor suo; ma quando
 l’esser figlio di re deggia involarmi,
 cara Celia, il tuo affetto,
 addio fasti, addio reggia. È sogno ed ombra
 per me l’ostro superbo e il manto adorno.
1380Prence non son, Silvio e pastor ritorno.
 
 SCENA XIV
 
 ADRASTO e i suddetti
 
 ADRASTO
 No no, fermati, o troppo
 Silvio felice, o generoso amante!
 Non fia vero che Adrasto
 più sia rival del suo monarca al figlio.
1385Volea di Celia oggi innalzar la sorte;
 ma se il ciel le destina
 nell’amor tuo più di grandezza, io lieto
 l’onor ten cedo; e testimon maggiore
 questo rifiuto mio sia del mio core.
 SILVIO
1390Raro amor!
 EURIDICE
                        Nobil alma!
 CELIA
                                                Ecco il germano.
 (Siete vicini ad esser lieti appieno,
 cari affetti del seno).
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIONISIO, AMINTA e i suddetti
 
 DIONISIO
 Regina, errai ma per amarti. In poche
 voci racchiusi il fallo e la discolpa.
1395Pur sia reo, sia innocente,
 non te ne chiedo umil perdon. Ne cada
 su la cagion la pena.
 Colei che tieni accanto,
 vile di spoglie e più di cor, colei
1400è l’origine sol de falli miei.
 EURIDICE
 Celia?
 DIONISIO
               No, non è Celia; essa è l’indegna
 mia rapita germana; è quella Elisa,
 per cui ramingo errai provincie e mari.
 EURIDICE
 (Che scopro!)
 SILVIO
                            (Ella è innocente).
 DIONISIO
1405In braccio a un Silvio, a un vil pastor di Tempe
 pensa ella trar, ninfa lasciva, i giorni,
 noi scordando, sé stessa, il padre e il regno.
 Ma pensa invan. Ti giungerà il mio sdegno.
 EURIDICE
 Tanti e sì strani casi
1410non mai congiunse in un sol giorno il fato.
 L’ire, o principe, accheta;
 se tua germana è Celia,
 anche Silvio è mio figlio. Il ciel, che a noi
 or li rende pietoso, unisce il nodo.
 DIONISIO
1415Alti decreti, io vi consento e lodo.
 AMINTA
 E Adrasto?
 ADRASTO
                        È mia gran sorte
 poter bearti anche nel figlio.
 AMINTA
                                                      O fede
 per cui l’amore all’amicizia or cede!
 DIONISIO
 Ma come Elisa in Tempe?
 CELIA
1420Un felice naufragio
 punì gli audaci rapitori. Anch’io
 nell’onde irate era a perir vicina;
 ma pescator cortese
 corse opportuno e al mio destin mi tolse.
1425Già meditava la Sicilia e il padre;
 veduto Silvio, allor mi elessi in Tempe
 altra vita, altra patria;
 e vissi amando in povertà beata.
 SILVIO
 Ma più meco or godrai, sposa adorata.
 DIONISIO
1430Mirabili vicende!
 ADRASTO
                                   O strani eventi!
 CELIA, SLVIO A DUE
 O fortune!
 AMINTA e EURIDICE A DUE
                       O contenti!
 TUTTI
 
    Al dolce giubilo
 di un fido amor,
 festeggi ogni anima
1435di un bel piacer.
 
    Sin la memoria
 del fier dolor
 serva di gloria
 per più goder.
 
 Il fine dell’«Aminta»