Venceslao, Palermo, Cichè, 1708

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Viale di verdura contiguo agli appartamenti di Erenice, con urna sepolcrale nel mezzo che si va fabricando da scultori polacchi.
 
 ERENICE sola
 
 ERENICE
 Urna che del mio sposo
 chiuder dovrai le ceneri adorate,
 in que’ pallidi marmi
 non ben mi piaci. Ancora
1045ti manca il più bel fregio. Il cor ti manca
 di Casimiro; io vel porrò. Lo attendi
 da un amor disperato.
 Tinto poi di quell’ostro,
 il tuo pallido orror sarà più grato.
 
 SCENA II
 
 ERNANDO ed ERENICE
 
 ERNANDO
1050Principessa, a te viene
 un amico, un amante
 ad unir le sue pene al tuo dolore.
 ERENICE
 Di vendetta si parli e non d’amore.
 ERNANDO
 Vendetta, sì, vendetta
1055anch’io voglio, anch’io giuro. (Si accosta all’urna e snuda la spada)
 O tu che sanguinosa
 qui d’intorno ti aggiri, ombra insepolta,
 tu ricevi i miei voti e tu gli ascolta.
 
    Lo sdegno e ’l brando
1060l’amico Ernando
 consacra a te.
 
    Alma diletta,
 farò vendetta
 che a te dia pace
1065e gloria a me.
 
 ERENICE
 Quanto mi piace l’odio tuo!
 ERNANDO
                                                    Lo irrita
 amor nel tuo dolore.
 ERENICE
 E pur ritorni a ragionar di amore.
 ERNANDO
 Amor, che non offende
1070né la tua fé né l’amistà di Ernando,
 non può irritarti. I mali tuoi nol fanno
 più ardito e baldanzoso, egli è ben forte
 ma disperato.
 ERENICE
                             E s’egli è tal, l’accetto.
 Disperato è anche il mio.
 ERNANDO
                                                Tale il prometto.
 ERENICE
1075Ti ricevo compagno
 nel mio furore.
 ERNANDO
                               Io più d’un seno, o bella,
 ti additerò dove infierir.
 ERENICE
                                               Sì, vanne
 l’armi e l’ire a dispor.
 ERNANDO
                                          Tosto ogni indugio
 per la vendetta è pena.
 ERENICE
1080Ma tua sola mercede
 fia che Erenice a l’amor tuo dà fede.
 ERNANDO
 
    Ama, sospiri e piangi
 ma non cercar pietà.
 
    L’amor che chiede affetto
1085sol ama il tuo diletto
 più che l’altrui beltà.
 
 SCENA III
 
 ERNANDO
 
 ERNANDO
 L’opra illustre compisci, anima amante,
 e, se speme ti è tolta,
 la gloria tua, non la tua brama ascolta.
 
1090   Son glorie gli martiri,
 son gioie gli sospiri
 che per voi soffre il cor,
 pupille amate.
 
    Scagliate il mio tormento
1095fulmini di contento
 che più con tal rigor
 l’alma beate.
 
 SCENA IV
 
 Sala.
 
 GILDO solo
 
 GILDO
 Non ti bastava, o sorte,
 d’avermi posto in corte
1100a servire, per sempre sfortunato,
 a un padron furioso e innamorato
 che ogni atomo, ogni punto
 mi dicea: «Gildo olà»? «Son qui, signore».
 «Accosta». «Eccomi lesto,
1105ch’ho da far?» «Corri presto
 ove Erenice...» «Intendo» »Or vola! Ah ferma!»
 Onde in suolo istante
 avea il moto perpetuo a le piante.
 Ora in premio a’ costanti
1110da me sparsi sudori
 altro non ho acquistato
 ch’esser vivo a l’inferno condennato.
 
    Il mestier di carcerier
 qualche furia lo scovrì;
 
1115   e fra gridi e fra rumori,
 sovra salti e crepacori,
 pianti, spasimi, martiri,
 stridi orrendi con sospiri,
 voci eterne di dolori,
1120qui si ascoltan tutte l’ore
 in penar sempre così.
 
 SCENA V
 
 Torre che serve di prigione corrispondente al palazzo reale.
 
 CASIMIRO solo incatenato
 
 CASIMIRO
 Ove sete? Che fate,
 spirti di Casimiro? Io di re figlio,
 io di più regni erede,
1125io tra’ marmi ristretto? Io ceppi al piede?
 
    Dure ritorte
 con braccio forte
 vi scuoterò,
 vi spezzerò.
1130Vuole il padre ch’io mora, ahi che farò?
 
 Ch’io mora? È tanto grave il mio delitto?
 Ah sì! Per me cadde il fratel; ma cadde
 senza colpa del core;
 volea morto il rival, ne ha colpa amore.
 
 SCENA VI
 
 LUCINDA, GILDO e CASIMIRO
 
 GILDO
1135Lucinda a te sen viene.
 CASIMIRO
 Lucinda a me, per qual destino, o dei?
 LUCINDA
 (Secondi amor propizio i voti miei).
 CASIMIRO
 Regina, (dir non oso
 Lucinda, sposa, nomi
1140in bocca sì crudel troppo soavi)
 lego su la tua fronte
 la sorte mia. Tu vieni
 nunzia de la mia morte e spettatrice.
 Di buon cor la ricevo;
1145ma la ricevo in pena
 di averti iniquo, o mia fedel, tradita,
 se pur la ria sentenza
 sul labro tuo morte non è ma vita.
 GILDO
 Desta pietà.
 LUCINDA
                         (Caro dolor!) Custodi,
1150al piè di Casimiro
 tolgansi le ritorte.
 GILDO
 Lo impone il re.
 CASIMIRO
                                Che cangiamento è questo?
 LUCINDA
 Da me la morte attendi?
 Da me, crudel?
 CASIMIRO
                               Da te che offesi.
 LUCINDA
                                                              Ingrato.
 CASIMIRO
1155Ben ne ho dolor; ma indegno
 di tua pietade io sono;
 ed or, bella, a’ tuoi piedi
 chiedo la pena mia, non il perdono.
 LUCINDA
 Casimiro, altra pena
1160non chiedo a te che l’amor tuo. Del primo
 tuo pianto io son contenta;
 godo di perdonarti
 e la vendetta mia sia l’abbracciarti.
 LUCINDA, CASIMIRO A DUE
 
    Caro...
                   Bella...
                                  Questo petto
1165leghi amor in mezzo a l’armi;
 
                                  mio
    come grande è il       tormento,
                                  tuo
 sommo ancor sarà il contento
 ch’oggi amor saprà donarmi.
 
 CASIMIRO
 Ed è vero, o mia cara,
1170che non sia inganno il mio gioir.
 LUCINDA
                                                             Ti accerti
 anche il labro real. (Parla piano a Gildo)
 CASIMIRO
                                      Scordo già tutti
 vicino a te, mio bene, i mali miei.
 GILDO
 Ubbidisco, o regina. (Parte)
 LUCINDA
 Io ti ottenni il perdon, temer non dei.
 CASIMIRO
1175Si avanza il genitor.
 
 SCENA VII
 
 VENCESLAO, GILDO, CASIMIRO e LUCINDA
 
 VENCESLAO
 Vanne pur, Gildo, vola,
 al principio dell’opra
 ben corrisponda il fin.
 GILDO
                                           Strane vicende,
 vi figura il pensiero e non v’intende. (Parte)
 VENCESLAO
1180Figlio, in onta a tue colpe
 son padre ancora. Alor che morte attendi,
 agl’iminei t’invito e ti presento
 in Lucinda una sposa.
 Tutt’altro oggi attendevi,
1185fuor che un tal dono. Abbilo a grado. Il chiede
 tuo dover, mio comando e più sua fede.
 LUCINDA
 (Che mai dirà?)
 CASIMIRO
                                 Deh, come
 è possibile, o padre,
 che sì tosto si cangi
1190la sorte mia? Dovea morire...
 VENCESLAO
                                                       Eh, lascia
 la memoria funesta.
 Pensa or solo a goder. Tua sposa è questa.
 CASIMIRO
 Caro più de la vita
 m’è ’l dono tuo, lo accetto
1195no perché tu ma perché amor lo impone;
 e a la bella Lucinda
 non mi sposa il timor ma la ragione.
 LUCINDA
 E di gioia non moro?
 VENCESLAO
                                         Or questa gemma (Dà un anello a Casimiro che poi con esso sposa Lucinda)
 conferma a lei la marital tua fede.
 CASIMIRO
1200Ma più di questa gemma
 te la confermi il core.
 LUCINDA
 Mio tesoro.
 CASIMIRO
                        Mio ben.
 A DUE
                                           Mio dolce amore.
 VENCESLAO
 Sposi, sì casti amplessi
 lasciar si denno in libertà.
 CASIMIRO
                                                  Due volte
1205mi fosti padre.
 LUCINDA
                              E vita
 ti deggio anch’io.
 VENCESLAO
                                  Regina,
 a l’onor tuo si è sodisfatto?
 LUCINDA
                                                   Appieno.
 VENCESLAO
 Se’ paga?
 LUCINDA
                     In Casimiro
 tutta lieta è quest’alma e più non chiede.
 VENCESLAO
1210Egli è tuo sposo ed io serbai la fede.
 LUCINDA
 La fé serbasti.
 VENCESLAO
                             Addio. Null’altro, o sposi,
 qui far mi resta, or che la fé serbai.
 Ma Casimiro...
 CASIMIRO
                              Padre.
 VENCESLAO
 Deggio altrui pur serbarla. Oggi morrai.
 
 SCENA VIII
 
 LUCINDA, CASIMIRO e poi GILDO
 
 LUCINDA
1215Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre,
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
1220ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
 E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre;
 carnefice vuol torti
1225la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
 Né ti rassenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
1230che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
 Penso al tuo duol e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradita,
1235a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa!
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
1240amor, sangue, ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno;
 empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e fuoco.
 
1245   E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio;
 il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
1250Crudel, se’ sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi t’adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
 che più mi è caro; io meco
1255porterollo agl’Elisi, ombra costante
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra, a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
1260Ma sappi, io pur morrò,
 dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
 mi vuoi d’alma e di cuore e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
1265Sì, vivi. Il dono è questo
 che ti chiedo io morendo.
 GILDO
                                                 Il cor dall’alma
 svellersi sento, signori.
 CASIMIRO
 L’infelice sa tosto
 la sua sciagura.
 GILDO
                               Il re suo padre...
 CASIMIRO
                                                               Intendo.
1270Vengo, sì, Gildo vengo, un sol momento
 dona a un misero cor per suo ristoro.
 LUCINDA
 E resisto e non moro.
 CASIMIRO
                                          Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti.
 CASIMIRO
                                                        Addio.
1275Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
1280Sposa, ti abbraccio, addio.
 
    Se più rimango, io moro.
 Ma non saria morir
 sugl’occhi di chi adoro
 il morir mio.
 
 SCENA IX
 
 LUCINDA
 
 LUCINDA
1285Correte a rivi, a fiumi, amare lagrime.
 Tolto da me lo sposo
 ha l’ultimo congedo.
 Più non lo rivedrò. Barbaro padre!
 Miserabile sposo! Ingiusti numi!
1290Su, lagrime, correte a rivi, a fiumi.
 Ma che giova qui ’l pianto? A l’armi, a l’armi.
 Già che tutto disperi,
 tutto ardisci, o Lucinda. Apriti a forza
 ne la regia l’ingresso. Ecco già parmi
1295di svenare il tiranno,
 di dar morte a’ custodi,
 di dar vita al mio sposo e di abbracciarlo
 fuori de’ ceppi... Ahi, dove son? Che parlo?
 
    Vaneggia oppresso il cor
1300tra nembi del timor,
 la calma l’alma
 perdendo va.
 
    E ognor di fiera stella
 sento che mi flagella
1305la crudeltà.
 
 SCENA X
 
 ERENICE ed ERNANDO con ferro in mano
 
 ERENICE
 Tutta cinta è del popolo feroce
 la sarmatica regia. Ognun la vita
 chiede di Casimiro.
 Teco fra lor passai né fu chi ’l guardo
1310torvo a noi non volgesse. Ancor nel petto
 mi trema il cor.
 ERNANDO
                                Sì tosto
 si avvilisce il tuo sdegno?
 ERENICE
 No no, mora il crudele e pera il regno.
 ERNANDO
 Pera anche il re ma ’l colpo
1315esca da la tua mano.
 ERENICE
 Io svenar Venceslao!
 ERNANDO
 Sì, quelle son le regie stanze.
 ERENICE
                                                       Ernando,
 cerco vendetta e non infamia.
 ERNANDO
                                                        Il ferro,
 che dee passar nel sen del figlio, ha prima
1320in quel del padre a ripassar; che importa
 che tu ’l comandi o ’l vibri?
 ERENICE
 Come! Val tanto adunque
 d’un reo la vita?
 ERNANDO
                                 Parmi
 tutta incendio e tutt’armi
1325veder la reggia. Ahi dove andranno, dove
 l’ire a cader? Su te cadran, su te,
 misera patria e miserabil re.
 ERENICE
 Ma che dee farsi?
 ERNANDO
                                   Al sol pensarvi io tremo,
 sudo, mi agghiaccio. Io primo offeso, io primo
1330rinunzio a la vendetta e getto il ferro.
 Generosa Erenice,
 nel tuo dolor la tua cagione ascolta.
 A la patria, al monarca, a la tua gloria,
 con sì bella vendetta
1335meglio noi placherem l’ombra diletta.
 ERENICE
 Io dar perdono? Ernando...
 ERNANDO
 S’apre l’uscio real. Vanne ed implora.
 al regio piè... Vuo’ pensar meglio ancora.
 ERENICE
 
    Qual senza stella
1340la navicella
 ondeggia l’anima
 e non ha pace.
 
    Ragion disanima
 la sua vendetta,
1345pietà l’alletta,
 rigor le piace.
 
 SCENA XI
 
 ERNANDO
 
 ERNANDO
 Seguiam suoi passi. Un sol rifiuto, Ernando,
 non stanchi il tuo soffrir né lo sgomenti;
 odio che si rallenti è quasi estinto
1350e quando ascolta un cor di donna è vinto.
 
    Torna men fiera, o bella,
 da’ pace al tuo dolor,
 tempra lo sdegno.
 
    Di Venere la stella
1355sol s’accenda il tuo cor
 d’amor nel regno.
 
 SCENA XII
 
 VENCESLAO con guardie
 
 VENCESLAO
 A me guidisi il figlio.
 Giorno, o quanto diverso
 da quel che ti sperai! Giorno fatale!
1360Oggi ne’ tuoi trionfi
 gioie sognava, Ernando; ed in voi figli
 oggi penar convienci. Itene e i lieti
 apparati di onor cangiate, amici,
 in funeste gramaglie e in bara il trono.
1365Più Venceslao, più genitor non sono.
 
    Taci, amor, cedi, natura,
 cor di re non tormentar.
 
    Oggi vuol la mia sciagura
 che a punir mi affretti un figlio
1370ed un altro a vendicar.
 
 SCENA XIII
 
 CASIMIRO con guardie e VENCESLAO
 
 CASIMIRO
 Prostrato al regio piede,
 incerto fra vita e la morte,
 eccomi.
 VENCESLAO
                  Sorgi. (Anima mia, sta’ forte).
 CASIMIRO
 Ne le tue mani è il mio destino.
 VENCESLAO
                                                            Mio figlio,
1375reo ti conosci?
 CASIMIRO
                             E senza
 la tua pietà sono di vita indegno.
 VENCESLAO
 Cieco rotasti il ferro
 fra l’ombre.
 CASIMIRO
                         Il ferro strinsi e fui spietato.
 VENCESLAO
 Alessandro uccidesti.
 CASIMIRO
1380Il mio germano uccisi.
 VENCESLAO
 Morto Ernando volesti, il duce invitto.
 CASIMIRO
 E del colpo l’error fu più delitto.
 VENCESLAO
 Scuse non hai.
 CASIMIRO
                              L’ho ma le taccio, o sire.
 Se discolpe cercassi, io sarei ingiusto.
1385Sarò più reo, perché tu sii più giusto.
 VENCESLAO
 Vien meno il cor. Dammi le braccia, o figlio.
 CASIMIRO
 Re, padre...
 VENCESLAO
                        E prendi in questo
 l’ultimo abbracciamento.
 CASIMIRO
 L’ultimo?
 VENCESLAO
                     Ahi pena!
 CASIMIRO
                                          Ahi sorte!
 VENCESLAO
1390Or vanne, o figlio.
 CASIMIRO
                                    Ove, signor?
 VENCESLAO
                                                             A morte.
 CASIMIRO
 A morte!
 VENCESLAO
                    Sì, ma vanne
 non reo ma generoso. Un cor vi porta
 degno di re che non imiti il mio.
 A me sol lascia i pianti, a me i dolori;
1395e insegnami costanza alor che muori.
 CASIMIRO
 
    Vado a morir, ti lascio
 la pace ch’ho nel cor.
 
    Tu della sposa intanto (Verso Venceslao)
 tergi l’amaro pianto,
1400consola il suo dolor.
 
 SCENA XIV
 
 VENCESLAO, poi ERENICE
 
 VENCESLAO
 Importuno dover, quanto mi costi.
 ERENICE
 Vengo...
 VENCESLAO
                  Erenice, ad affrettar se vieni
 del reo figlio la pena,
 risparmia i voti; a te de la vendetta
1405debitor più non sono.
 Il figlio condannato assolve il padre.
 ERENICE
 E te ne assolve ancora
 la pietà di Erenice.
 Per me non vegga il regno
1410la natura in tumulto,
 la patria in armi, la pietà in esiglio.
 A l’ombra di Alessandro
 basti il mio pianto e ti ridono il figlio.
 VENCESLAO
 No, con la tua pietade io non mi assolvo.
1415Se restano impunite,
 passan le colpe in legge;
 e non le teme il volgo,
 se l’esempio del re non le corregge.
 
 SCENA XV
 
 ERNANDO e detti
 
 ERNANDO
 Anch’io, sire...
 VENCESLAO
                             Opportuno
1420tu giugni, amico; in sì grand’uopo io cerco
 o ragione o conforto.
 ERNANDO
 Per chieder grazie al regio piè mi porto.
 VENCESLAO
 L’avrai quando anche fosse
 la metà del mio trono.
 ERNANDO
1425Ti chiedo...
 VENCESLAO
                        E che?
 ERNANDO
                                       Del principe il perdono.
 VENCESLAO
 Come?
 ERNANDO
                 N’han la tua fede i voti miei.
 In ciò non re ma debitor mi sei.
 VENCESLAO
 Tutto a te deggio e regno e vita. Solo
 la mia giustizia, l’onor mio, la sacra
1430custodia de le leggi io non ti deggio.
 ERNANDO
 Prencipe, al tuo destin scampo non veggio.
 
 SCENA XVI
 
 GILDO frettoloso e li suddetti
 
 GILDO
 Tosto, signore, tosto
 all’armi corri presto,
 se più tardi sei lesto.
 VENCESLAO
1435Gildo che fia?
 ERENICE
                             Che ascolto,
 o dei.
 ERNANDO
              Che avvenne.
 GILDO
                                         Il figlio.
 VENCESLAO
 Morì. Per esser giusto
 già finii d’esser padre.
 GILDO
                                            Eh non è questo,
 è più grave il periglio;
1440la corona perdesti e non il figlio.
 VENCESLAO
 Che? Vive Casimiro?
 GILDO
                                          E vivo il vuole
 la città tutta e rotti ha li suoi ceppi
 e guida è dell’altri
 Lucinda. Onde non s’ode
1445che strepiti e rumori,
 le donne e cavalier, l’armi e gl’amori.
 VENCESLAO
 Sì sì, popoli, Ernando,
 Erenice, Lucinda, (Da sé passegiando)
 dover, pietà, legge, natura, a tutti
1450sodisferò, sodisferò a me stesso.
 Seguiami ognuno. Il mondo
 apprenderà da me
 ciò che può la pietade in cor di padre,
 ciò che può la giustizia in cor di re.
 
1455   L’arte, sì, di ben regnar
 da me ’l mondo apprenderà.
 
    Ei vedrà che so serbar
 la giustizia e la pietà!
 
 SCENA XVII
 
 ERENICE e GILDO
 
 ERENICE
 Che sarà, o del mio sposo
1460adorata memoria.
 Non per viltà ma perdonai per gloria.
 
    Langue ne l’alma il fier
 di vendetta pensier,
 il cieco sdegno.
 
1465   Ma se cede il furor,
 più barbaro l’amor
 vi tien il regno.
 
 SCENA XVIII
 
 Salone con trono reale.
 
 CASIMIRO, LUCINDA, popoli, soldati escono al suono di militari stromenti
 
 LUCINDA
 
    Viva e regni Casimiro.
 
 POPOLI
 
 Viva, viva. (Con spada alla mano)
 
 CASIMIRO
1470Duci, soldati, popoli, Lucinda,
 qual zelo v’arma? Qual furor vi muove?
 Dunque in onta del padre
 vivrò più reo? Dovrò la vita al vostro
 tumultuoso amore?
1475Dopo un german con minor colpa ucciso,
 ucciderò con più mia colpa un padre?
 Non è questa la vita
 ch’io chieder posso. Ah prima
 rendetemi i miei ceppi,
1480traetemi al suplizio; e quando ancora
 v’è chi si opponga, questo,
 sì, questo acciar trafigerammi; in pena
 del mio, del vostro eccesso
 io carnefice sol sarò a me stesso.
1485E tu datti alfin pace,
 mio solo amor, mio sol dolore, in questa
 sorte mia dispietata,
 raro esempio di fé, sposa adorata.
 LUCINDA
 
   Non dir di amarmi più,
1490senza fé, senza pietà.
 
    Tu amor per me non hai
 né tu l’avesti mai.
 Perché con me? Perché tanta empietà?
 
 SCENA ULTIMA
 
 VENCESLAO, ERENICE, ERNANDO, GILDO e detti
 
 VENCESLAO
 Ed è vero? E lo veggio?
 CASIMIRO
1495Padre e signor, ritorno
 volontario a’ tuoi ceppi;
 depongo ancor la spada e piego il capo.
 Solo a questo perdona
 popol fedel; zelo indiscreto il mosse;
1500di me disponi; in me le leggi adempi,
 in me punisci il fallo.
 Fratricida infelice io morir posso,
 non mai figlio rubel, non reo vassallo.
 LUCINDA
 
    Viva, viva Casimiro.
 
 TUTTI
 
1505Viva, viva. (Venceslao va sul trono)
 
 VENCESLAO
 Popoli, da quel giorno, in cui vi piacque
 pormi in fronte il diadema, in man lo scettro,
 resi giustizia e fui
 ministro de le leggi e non sovrano.
1510Ora non fia ch’io chiuda
 con ingiusta pietade e regno e vita.
 Si deve un fratricida
 punir nel figlio. Il condannai. La legge
 re mi trovò, non padre.
1515Voi nol volete; ed ora
 padre, non re mi troverà natura.
 Figlio, ti accosta.
 CASIMIRO
                                 Al soglio
 piego umil le ginocchia. (Casimiro ascende due o tre gradini del trono e s’inginocchia dinanzi al padre)
 LUCINDA
 (Cor, non anche t’intendo).
 VENCESLAO
1520Qual re avesti, Polonia, il raro, il grande
 atto, per cui lo perdi, ora t’insegni.
 Volermi ingiusto è un non voler ch’io regni. (Venceslao si cava la corona di capo in atto di porla su quello del figlio)
 CASIMIRO
 Che fai, signor?
 VENCESLAO
                                Convien
 far cadere la tua testa o coronarla.
 CASIMIRO
1525Mora il figlio e tu regna.
 VENCESLAO
                                               Il re tu sei.
 Col voler di Erenice,
 con la virtù di Ernando,
 il popolo t’acclama. Io reo ti danno
 e assolver non ti posso;
1530or che tu se’ sovrano,
 assolverti potrai con la tua mano. (Venceslao corona il figliuolo al suono di timpani e trombe)
 LUCINDA
 Gioie non mi opprimete. (Preso per mano Casimiro discende con esso lui dal trono)
 CASIMIRO
 La corona io ricevo
 in deposito, o padre, e non in dono.
1535Tu sarai re. Io servo
 le leggi tue publicherò dal trono.
 ERNANDO
 Io pure in te, novo monarca, adoro
 l’alto voler del tuo gran padre.
 CASIMIRO
                                                         Ernando,
 non eredito re gli odi privati.
1540Ti abbraccio, amico. E tu, Erenice, in lui
 da me prendi uno sposo,
 se nel fratello un te ne tolsi.
 ERNANDO
                                                    O sorte!
 ERENICE
 Signor, erra insepolta
 ancor l’ombra amorosa; almen mi lascia
1545pianger l’estinto, anziché il vivo abbracci.
 ERNANDO
 Mi basta or sol che rea
 ne l’amarti non sia la mia speranza.
 ERENICE
 Tutto speri in amor merto e costanza.
 CASIMIRO
 Diletta sposa, cari
1550solo per te mi son la vita e ’l regno.
 LUCINDA
 Tanta è la gioia mia
 che parmi di sognar, mentre ti annodo.
 GILDO
 Col tuo giubilo, o patria, esalto e godo.
 CORO
 
    Vivi e regna fortunato,
1555nostro duce e nostro re.
 
    Te si unisca a far beato
 tempo e sorte, amor e fé.
 
 Fine dell’opera