Mitridate, Venezia, Marciana, autografo

 ATTO QUINTO
 
 Deliziosa che guida agli appartamenti della regina.
 
 SCENA PRIMA
 
 ARISTIA e DORILAO
 
 DORILAO
 Da te, ch’esserne stanca
 dovresti omai, fugga spavento; e vanne
1360al tuo sposo e al tuo re.
 ARISTIA
                                            Vizio di lunga
 miseria siasi o di vicini mali
 siasi presentimento,
 aprir non posso al l’allegrezza il petto.
 DORILAO
 Mali ti vai fingendo,. E di che temi?
 Ove non è ragion, di che paventi?
 ARISTIA
1365Che saper posso? Anche tra i fior sta l’angue.
 Entro pronube tazze
 v’è tosco ancor. Va coronata a l’ara
 la vittima e vi cade.
 DORILAO
 Intendo. Ti è sospetta
1370la regal fede.
 ARISTIA
                           E ’l mio protervo fato.
 DORILAO
 Rassicurati. Incombe
 a me solo apprestar quanto fia d’uopo
 al rito nuzial; né di me credo
 che in te dubbio esser possa.
 ARISTIA
1375Esser può forza Forza si adopra, ove non vaglia inganno.
 DORILAO
 Né di ciò ti affanna paventar. Son ne la reggia
 del campo i primi duci, armati e pronti
 di Farnace in difesa.
 Il re nulla oserà, s’anche il volesse.
 Che più t’affanni?
 ARISTIA
                                    È ver; quello che temo,
1380o troppo indarno o troppo tardi il temo.
 
    Parmi d’esser quel fanciullo
 che non sa se a madre irata,
 che lo chiama e che lo guata,
 ora fiera or lusinghiera,
1385andar debba opur restar.
 
    Per far cor si appressa e cede
 ma poi tardi e invan si pente,
 quando sente
 da la man, che baciar crede,
1390sé aspramente flagellar.
 
 Ovvero
 
    Cento pensieri e cento,
 quai da contrario vento
 nubi qua e là sospinte,
 intorno a l’alma mia vengono e vanno.
 
1395   L’un l’altro incalza; or viene
 smania, or timore, or spene;
 questo alfin cede e quello e resta affanno.
 
 SCENA lI
 
 DORILAO e poi APAMEA
 
 DORILAO
 Tanto agli affetti altrui diedi sinora
 che il mio... Vien chi l’accese. (E tra sé parla).
 APAMEA
 
1400   Dimmi il vero, or che siam soli;
 amor mio, come stai tu?
 
    Di’ se piangi il ben che perdi
 o se è ver che ti consoli
 una misera virtù.
 
 DORILAO
1405Sì pensosa, Apamea?
 APAMEA
                                          Dimmi: «E sì mesta?»
 DORILAO
 Di che?
 APAMEA
                  E mel chiedi? Amo Farnace e ’l perdo.
 DORILAO
 Non credea che potesse esserti in pena (Questi versi benché cancellati si trascrivano)
 opra ch’era in tuo voto.
 APAMEA
 Eh! Prence, altro è ’l dovere, altro è l’amore;
1410il dover fa i suoi sforzi;
 ma l’amor si risente; e alfin vien tempo
 che si accorge del danno e ne sospira.
 DORILAO
 Ma se ne pente alor?
 APAMEA
                                         No, che il pentirsi
 senza pro gli torria quel suo di gloria
1415miserabil conforto.
 DORILAO
 Ti ammiro e ti compiango.
 APAMEA
 Pietà rendanmi tutti; un fido amante
 siami in util consiglio e diami pace.
 DORILAO
 Cancella di Farnace
1420l’immagine dal core.
 APAMEA
 Sì altamente vi sta che ne dispero.
 DORILAO
 Altra ponvi in sua vece.
 APAMEA
 Altra? Ma quale? Altra? Ma quale?
 APAMEA
 Di merto almeno eguale Ma qual? Di merto almeno egual l’addita.
  sia a l’oggetto che perdo.
 DORILAO
 Io tal non sono Di tanto io non mi pregio.
1425Ma se conti in mio pro la lunga fede,
 le sofferenze...
 APAMEA
                             È questo
 quel generoso amor, ch’io ti richiesi,
 di amar solo sempre Apamea più che te stesso?
 DORILAO
 Nol feci in ubbidirti?
1430Per un rival mi esposi,
 e ciò che è più, per un rival che amavi.
 APAMEA
 Perché appunto io l’amava,
 quest’era il tuo dover.
 DORILAO
                                           Di Mitridate
 l’ire in me provocai.
 APAMEA
                                        Qual è l’amante,
1435cui per l’amato oggetto
 non sia caro il morir? Lo vantan tutti;
 e se pochi lo fan, vuoi tu de’ vili
 seguir l’esempio? Onorerò, se muori,
 di lagrime il tuo rogo
1440e la tua tomba spargerò di fiori.
 DORILAO
 Pietosa inver mercede!
 APAMEA
 Ritienti il tuo consiglio e vanne omai
 e sollecita pur le per me infauste
 nozze, onde alcun di speme
1445adito non mi resti.
 DORILAO
 E poi verrò dal tuo dolore a udirne
 rimproveri e querele...
 APAMEA
 E a soffrirle e a compiangere il mio amore
 e del tuo a non parlar.
 DORILAO
                                           Beltà crudele!
 
1450   Quando a voler amar s’indusse il core,
 piacer mi presentò, mi ascose affanno.
 
    Or che penando ei sta: «Cor mio» gli dico
 «meschin, mi fai pietà, se il tuo fu errore;
 crudel, sdegno mi fai, se il tuo fu inganno».
 
 
 SCENA III
 
 LADICE e APAMEA
 
 Apamea a destra, Ladice a sinistra
 
 LADICE
1455Te appunto io qui volea. Forza è che sgridi
 la viltà, con cui soffri i gravi oltraggi,.
 e puoi per vani numi e idee fallaci
 di virtù e di pietà tradir te stessa.
 APAMEA
 Madre....
 LADICE
                    Vedrai ben tosto
 qual da me si punisca
 un’ingiuria del trono.
 APAMEA
                                          E che? Delusa
1460mi avresti?
 LADICE
                        Taci. A noi vien Gordio.
 APAMEA
                                                                     E ’l segue
 uom di aspetto e di vesti a noi straniero.
 
 SCENA IV
 
 GORDIO, OSTANE e le suddette (1 Apamea, 2 Ladice, 3 Ostane, 4 Gordio)
 
 GORDIO
 Attendi. A la regina, (In lontano ad Ostane)
 che colà vedi, renderai ragione
 del pegno a te commesso. (Ostane vuol fermar Gordio; ma questi si avanza verso Ladice e le parla all’orecchio presente Apamea)
 OSTANE
1465(A la regina?... Io dovrò a lei di Aristia (Tra sé) (Ostane resta sempre in lontano)
 dir gli affetti? La fuga? Ecco in me tutta
 la colpa altrui. Sempre i[illeggibile] meschini han torto).
 LADICE
 Lasciami respirar. Tutta commossa (A Gordio)
 mi si è l’anima in petto.
 APAMEA
1470Di abbracciar la germana
 datemi, o dei.
 LADICE
                             Fa’ che si avanzi. (A Gordio che va ad Ostane) In volto (Ad Apamea dopo mira aver mirato fiso Ostane)
 turbato par.
 APAMEA
                         Timore
 che al primo incontro un regio sguardo imprime. (Ostane si avanza alquanto)
 LADICE
 Appressati, o stranier. Libero e senza
1475mentir rispondi.
 OSTANE
                                  È pregio
 de la gente, ov’io nacqui, esser un dir sincero.
 LADICE
 Donde sei tu?
 OSTANE
                             Scita, o regina. Ostane
 mi appello; e Colco è la mia patria.
 LADICE
                                                                 Hai figli?
 OSTANE
 Figli non ho; ma quanto
1480sia amor di padre, il provo.
 LADICE
 E se figli non hai, chi in cor ti ha desto
 un sì tenero amor?
 OSTANE
                                      Vaga fanciulla
 che ancor non eccedea l’anno secondo,
 in ricche fasce avvolta.
 LADICE
                                            Onde l’avesti?
 OSTANE
1485Gordio il sa. Fu in quel tempo
 che de la patria mia fatal conquista
 fecer l’armi romane.
 LADICE
 Che di te? Che di lei nel giro avvenne
 di vent’anni omai scorsi?
 OSTANE
                                                 Ambo cattivi
1490abbiam seguito il vincitor.
 LADICE
                                                   Vi tolse
 di lunga servitù riscatto o fuga?
 OSTANE
 Emilio, un de’ più illustri
 romani, in cui poter sorte ne pose,
 a me diè libertade.
 LADICE
                                      E a lei?... Tu taci?
1495Fors’ella è morta? O prigioniera in Roma
 core avesti a lasciarla?
 OSTANE
 No, regina, ella gode
 di libertà e di vita.
 LADICE
 (Respiro). In Eraclea
1500l’avrai condotta da l’ausonia terra.
 OSTANE
 È in È in Eraclea; né ve la tra né ve la trasse Ostane.
 LADICE
 Da sé venne o con altri?
 GORDIO
 Sì ben la custodisti?
 OSTANE
 Regina, eccomi al duro
 varco, ove il cor vacilla.
 GORDIO
1505Non v’è luogo a timor, dicendo il vero.
 OSTANE
 Male è, se parlo, e male ancor se taccio.
 LADICE
 Con tuo danno il dirai, se ancor resisti.
 APAMEA
 Che fia?
 OSTANE
                   Pietà. Sedotta (A’ piè della regina)
 fu l’infelice. Amore
1510ne’ petti giovanili
 trova facile accesso. Io tardi il seppi,
 che infermo alor giacea. Ma un nodo sacro
 al suo amator l’avvinse e ascostamente
 seco fuggì di Roma seco fuggì di Roma. Io dopo lungo...
 Io E Io dopo lungo errar qui la rinvenni.
 LADICE
1515Seco fuggì di Fuggì? Dove? Con chi?
 OSTANE
                                                                    (Dirlo pur deggio?)
 LADICE
 Non frammetter più tempo.
 OSTANE
 Col principe Farnace.
 LADICE
 Con Farnace?
 OSTANE
                            A lei sposo.
 LADICE
                                                   E qual si appella
 colei? Su. Tosto. Di’.
 OSTANE
                                        Pietà, o regina, (S’inginocchia) (S’inginocchia)
1520de l’infelice Aristia.
 GORDIO
                                       Aristia?...
 OSTANE
                                                           È quella
 che a me fidasti...
 LADICE
                                   Ahi lassa!
 Ahi lassa! Dubbio non v’è più.
 APAMEA
                                                         Qual pena!...
 LADICE
 Gordio, Apamea, seguitemi. Se a tempo
 non giungo, o feral gemma! O scellerate
1525nozze! O rea madre! O sfortunata figlia! (Parte furiosa)
 APAMEA
 Nol permettete, o dei. (Parte)
 GORDIO
                                            Tu ne recasti (Ad Ostane)
 col tuo tardo venir cotante angosce. (Parte)
 
  (Ostane si leva, partiti tutti)
 
 SCENA V
 
 OSTANE
 
 OSTANE
 Così va. Nei gran mali (Qui solamente si comincia a levarsi in piedi)
 la colpa è dei più deboli. Ma poco
1530di ciò, di Aristia ho pena. Ella esser deve
 certo in qualche aspro rischio.
 Me ne avvidi a le smanie
 de la regina; e in queste
 di ravvisar mi parve anche la madre.
1535Insomma è ver che, se se non bada al saggio
 parlar di chi da l’uso e da l’etade
 è addottrinato, gioventù si perde.
 Statene in guardia, o voi
 di fresca guancia e di bel volto adorne.
1540Siavi Aristia in esempio. A lei sol venne
 onta, danno e periglio
 dal seguir genio e dal fuggir consiglio.
 
    Qual pro da cocchio aurato,
 senza una man che ’l regga
1545e i fervidi destrier freni e corregga?
 A rompersi egli va tra balze e sassi.
 
    Beltà, qualor rigetti
 da sé consiglio e guida,
 spinta dai caldi affetti,
1550ove non dee trascorre e a perder vassi.
 
 Salone con logge all’intorno.
 
 SCENA VI
 
 MITRIDATE sedente ad un tavolino
 
 MITRIDATE
 Son io più Mitridate? Irresoluti
 perché così, miei forti affetti? Io quasi
 più non mi riconosco.
 Non furono più giuste
1555mai l’ire mie. Puniti
 ho cori meno perfidi. Se questa
 viltà, se queste smanie
 tu sapessi, o Farnace... Ah.! Qual ne l’alma (Si ferma alquanto)
 vien vienmi pensier!... Così convien. Si faccia; (Risoluto)
1560e se possibil fia, basti al mio sdegno
 che dia pianto, non sangue, il figlio indegno. (Si leva)
 
    Quest’anima atroce
 ancor non sapea
 che fosse pietà.
 
1565   Ne l’atto feroce [illeggibile]
 di perder un figlio
 già ’l sente e lo sa. (Volendo Nell’atto di voler ripigliar l’aria, viene interrotto dalla sinfonia dell’accompagnamento che siegue. Mitridate interrotto da una lunga allegra e strepitosa sinfonia, da cui vengono preceduti Farnace ed Aristia sedenti sopra un’alta maestosa macchina, nella quale siedono essi rappresentante la reggia del Piacere e dell’Allegrezza [illeggibile] accompagnata da lungo corteggio di popoli e di soldati e da coro che canta e che danza rappresentante. Preceduti da lungo corteggio di popoli e di soldati e da una allegra sinfonia, accompagnati dipoi da coro e da ballo, si avanzano supra una macchina luminosa e riccamente ornata, la quale rappresenta la reggia del Piacere e dell’Allegrezza, Farnace ed Aristia nell’alto di essa seduti, col coro a’ piedi de’ musici che formano il coro. Giù per le logge calano nello stesso tempo dall’una e dall’altra parte le guardie reali)
 
 SCENA VII
 
 FARNACE, ARISTIA, MITRIDATE, coro dei seguaci del Piacere e dell’Allegrezza, che poi cantano e danzano, popolo, soldati, eccetera
 
 CORO
 
    Venga la coppia amante; Si canta la prima parte senza ballo. Nella seconda parte si canta, si suona, si balla
 e a tante pene e tante
1570per lei succeda e stabile
 sia ilarità e piacer. (Suonan di nuovo gl’instrumenti)
 
    Amor le scuota inante
 la bella sua facella;
 e sien gli andati spasimi
1575ragion di più goder. (Di nuovo la sinfonia. Scendono Farnace ed Aristia, rimanendo il coro sopra la macchina)
 
  ARISTIA
 E pur vincer non posso,
 né so perché, me stessa. (A Farnace ragionando seco in lontano)
 MITRIDATE
 Ai preghi di Ladice, (Si avanza verso di loro)
 agli affetti del figlio, al comun voto
 e più che ad altro, Aristia,
 al tuo cor generoso,
1580vinti i sospetti rei, mi arresi alfine.
 Lieta vieni e sicura, a quella sorte,
 da te bramata assai, sperata poco,
 ch’io t’accolga e t’abbracci, al figlio erede
 degna compagna e sposa.
 ARISTIA
1585Signor, la cui bontade
 discopre il generoso animo regio,
 se d’esserti umil serva
 mi degni, io stimo il dono
 più che la vita, a cui mi rendi, e al pari
1590del figlio, a cui mi unisci.
 Ma, sire, al mio perdona
 pusillanimo cor. So che ne l’alta
 tua mente, usa ai trionfi
 di un aperto valor, non può aver luogo loco
1595fraude, d’alme plebee costume iniquo.
 Pur, se la mia viltà, s’altro interesse
 di regno ti astrignesse,
 diasi liberamente
 questa misera salma [illeggibile] ai forti impegni
1600de la grandezza tua. Ti basti Aristia;
 e Farnace a te serba, almo sostegno
 del tuo onor, del tuo sangue e del tuo regno.
 MITRIDATE
 Del tuo timor si sdegneria qualunque
 Mitridate non fosse. Omai per fermo
1605tienti, e ti do mia féde, che per Farnace
 conservo amor di padre
 e che seco vivrai lunghi e felici
 giorni, se da la man del figlio istesso
 non ricevi la morte.
 FARNACE
                                       Ah! Che a me stesso
1610prima vita torrei che a te, mio bene.
 Questo ormai ti rincori. (Piano ad Aristia)
 ARISTIA
                                                                    Il fin si attenda. (Piano a Farnace. Dorilao, seguito da due paggi, i quali depongono poscia sopra il tavolino due bacini d’oro, in nell’uno de’ quali sono un vase e una tazza e nell’altro una ghirlanda di edera)
 
 SCENA VIII
 
 DORILAO, MITRIDATE, FARNACE e ARISTIA
 
 DORILAO
 Eccoti, sire, il verde serto, il sacro
 liquore e l’aureo nappo.
 MITRIDATE
 Tutto colà si posi.
 Io sacerdote e re, dei coniugali
1615numi ai riti ministro, e Giuno invoco
 e Lucina e Imeneo
 e Cupido e Lieo.
 Quella di verdeggiante edra tu prendi
 ghirlanda, o figlio, e ne corona il vaso;
1620e poi lascia ch’io ’l vino
 versi nel nappo e lo ricolmi. Intanto
 suon ne accompagni e canto. (Farnace prende la ghirlanda e la mette intorno il vaso; lo presenta dipoi a Mitridate che n’empie versa [illeggibile] versato versa nella tazza)
 DORILAO e ’L CORO
 
    Auspici e liete
 a noi scendete,
1625Giuno e Lucina;
 e tu Imeneo
 col buon Lieo;
 
    e Cupidine ancor qui batta intorno
 l’ali festose e scuota l’arco adorno.
 
 MITRIDATE
1630Ecco, la tazza or prendo; e se or v’è inganno,
 odanmi ognuno tutti; e se or v’è inganno, scenda
 sovra il mio capo ogni sciagura. Io primo,
 fido mallevador, ne beo gran parte.
 DORILAO
 Qual dubbio or più rimanti?
 ARISTIA
1635Comincio a respirar.
 MITRIDATE
                                         Prendila, o figlio;
 e pria quello che in dito anel ti splende
 riponvi e di tua man poscia la porgi
 a l’amabile sposa. (Farnace cavasi l’a di dito l’anello, datogli da Mitridate, e lo pone nella tazza che poi da lui vien presentata ad Aristia)
 ARISTIA
 Prence, da la tua man venirmi cosa
1640che mi offenda non può. Di ardir già piena,
 se non di gioia, ecco l’accosto... (In atto di voler bere, vien fermata da Ladice che impetuosa correndo arriva a tempo di torle di mano la tazza e di gittarla a terra, insieme con l’anello ripostovi)
 
 SCENA ULTIMA
 
 LADICE, poi APAMEA, GORDIO, OSTANE e i suddetti (1 Dorilao, 2 Apamea, 3 Mitridate, 4 Ladice, 5 Aristia, 6 Farnace, 7 Ostane, 8 Gordio)
 
 LADICE
                                                           Ahimè!
 Fermati. Ahimè! Vanne, empia tazza, e teco
 la ma venefica gemma.
 FARNACE
 Viene a sturbarmi questa furia ancora?
 MITRIDATE
1645Ladice...
 LADICE
                   O dolce figlia! O cara Eupatra!
 Io t’ho quasi in un punto
 ritrovata e perduta.
 ARISTIA
 (Son fuor di me).
 MITRIDATE
                                   Che dici? (A Ladice)
 LADICE
 Mitridate, sì, questa è quella Eupatra,
1650pianta da me vent’anni.
 Il ciel m’ebbe pietà, quand’io più indegna
 n’era. Viscere mie, t’ho quasi uccisa
 col reo veleno in quell’anel racchiuso.
 Qual pianto, qual supplicio
1655purgato avria sì abbominevol colpa?
 FARNACE
 (Falso non era il suo dolor).
 ARISTIA
                                                    Regina,
 madre, non l’oso ancor, né ciò che’io pensi
 né ciò che dica or or so. Passar repente
 da l’esser di tua serva a quel di figlia?
 MITRIDATE
1660Principessa, se i forti
 riguardi de l’impero
 mi rendettero avverso a’ tuoi desiri,
 questo, che senza inganno
 nel diletto soave tuo sposo a te offerisco,
1665pregevol dono ogni altro error corregga.
 ARISTIA
 Per lui, gran re, mali soffersi e mali
 maggiori soffrirei. (Qui solamente giunga Apamea, poi Gordio, poi Ostane. Apamea dopo l’abbracciamento ad Aristia va presso tra Dorilao e Mitridate)
 FARNACE
 Reser giustizia a tue virtù al nostro amor gli dei.
 APAMEA
 Salva sei; pur t’abbraccio.
 ARISTIA e APAMEA
1670Mia diletta germana. (Si abbracciano)
 GORDIO
 In te Gordio anche onori
 la suora di Tigrane.
 OSTANE
 Si lasci anche ad Ostane
 goder, se pianse. Aristia,
1675che Aristia sempre a me sarai.
 ARISTIA
                                                          D’amore
 e tu sempre a me padre.
 GORDIO
 Quanti a noi beni apporta un sì felice
 discoprimento!
 FARNACE
                               A te assicura un figlio. (A Mitridate)
 ARISTIA
 A me consorte e madre.
 LADICE
1680Odio in me spegne e lutto.
 APAMEA
 Reca pace al mio amor.
 DORILAO
                                             Speranze al mio.
 MITRIDATE
 Ma tante gioie in me ricadon tutte
 quai linee in centro. Io serbo I patti
 così serbo a Tigrane,
1685unendo il figlio a la real germana,
 per dover poi meglio far guerra a Roma
 e di lauri più illustri ornar la chioma.
 
    Lieti godano gli amori;
 e poi Marte i suoi furori
1690svegli a l’armi e intuoni guerra.
 
 CORO
 
    Lieti godano gli amori;
 e poi Marte i suoi furori
 svegli a l’armi e intuoni guerra.
 
 MITRIDATE
 
    Da l’Arasse e da l’Eusino
1695scenda il turbine e vicino
 tu ’l paventa, ausonia terra.
 
 Segue il ballo dei seguaci del Piacere e dell’Allegrezza.
 
 LICENZA
 
 Pace, pace da l’Istro a noi risponde
 quel pacifico invitto augusto Carlo,
 cui più recan di gloria e di contento
1700i popoli salvati
 che i nemici prostrati.
 Non è già che in lent’ozio egli abbia spesi
 i verd’anni e i robusti,
 tra gli agi e le lusinghe
1705di sua grandezza, o che a lui pur non piaccia
 quel suon guerrier che gli fe’ sempre, ovunque
 rivolse l’armi, a le vittorie invito.
 Ma di tutti i trionfi,
 il più illustre è per lui far che lontano
1710il sanguinoso Marte agiti l’asta
 e che i riposi al suo felice impero,
 dati dal senno e dal valor difesi,
 sieno anche norma a la divisa Europa.
 V’è chi ne freme e occulti
1715semi di [illeggibile] guerra in suo pensier nudrisce
 e attento veglia e come possa e quando
 spargerli in altri; ma l’augusto Carlo
 là volge un guardo, alza la destra e «Pace»
 grida; il furor non osa e siede e tace.
 
1720   Bel veder per la tua gloria
 te de l’Istro in su la riva
 star, gran Carlo, e nol varcar.
 
    E di là star la vittoria
 che ti chiama e che ti aspetta;
1725né tu ’l vuoi, sì inferma pace ti diletta
 e ti piace e ti diletta
 più che al mondo, a Dio regnar.