Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Sala d’armi con due porte laterali nel prospetto. Trono magnifico nel mezzo, ove avranno a sedere Mitridate e Ladice, coperto al di sopra da baldacchino di porpora e d’oro.
 
 SCENA PRIMA
 
 APAMEA e DORILAO
 
 APAMEA
 Credo al tuo amor; ma l’hai sì generoso
 che amar possa Apamea, più che sé stesso?
 DORILAO
 Quanto di sangue e vita
 mi bolle in petto, a te si sveni...
 APAMEA
                                                           A prova
5sì crudel cimentarti a me non piace
 né giova. Una n’esigo
 più mite e più gentil, se bene anch’ella
 le sue punture avrà, le sue amarezze
 per l’amante tuo cor.
 DORILAO
                                         Soffra il meschino,
10purché meriti poi.
 APAMEA
 Già sai qual imeneo debba unir l’armi
 e gl’interessi di due regni. Avranno
 l’Armenia e il Ponto un solo spirto e moto
 in due gran re, se sposa di Farnace
15sarà Apamea. Ladice al nodo insiste;
 Tigrane il chiede; Mitridate il vuole;
 sol Farnace resiste.
 DORILAO
 E Apamea?
 APAMEA
                         Che far può, suora a Tigrane,
 figlia a Ladice? La feroce madre
20ti è nota. Esser regina
 vuole e d’esserlo sa. Suo è il darmi leggi,
 mio l’ubbidirle. Io mostro,
 per timor d’irritarla,
 d’amar Farnace e dolor mostro ancora
25di vedermi sprezzata.
 DORILAO
                                          Ah, chi mi accerta
 che sia finto il dolor, finto l’affetto?
 APAMEA
 Il mio, sì, Dorilao, solo è dispetto.
 A giovane beltà fa senso ognora
 l’altrui rifiuto e bella
30non v’è fra noi che di veder non ami
 tutti al suo carro incatenati i cori.
 DORILAO
 Ma che far deggio? Non intendo ancora.
 APAMEA
 Difender dallo sdegno
 di Mitridate il principe suo figlio.
35Reo ne sarà col ricusarmi. Il suo
 fallo, che gli altri irrita,
 piaccia a te solo. A petto
 siati il mio, dillo prego, dillo impero;
 né starmi a ricercar, se nel mio core
40ciò che il desta è virtù, pietade o amore.
 DORILAO
 
    Crudele! Ubbidirò; (Dopo aver alquanto pensato)
 e a costo di mia pace
 difenderò Farnace
 né cercherò di più.
 
45   E se dirà il mio core:
 «Guardati; questo è amore»,
 «No no» risponderò.
 «Servasi al bel comando;
 egli è pietà, è virtù».
 
 SCENA II
 
 APAMEA
 
 APAMEA
50Tutto sembra, o cor mio, ch’oggi cospiri
 per farti lieto. E pure
 cessa di lusingarti. Un tanto bene
 non è, credil, per te. Fa’ il tuo dovere.
 Ma ragion ti sia guida; e scorga il mondo
55che nella scelta dell’eccelso oggetto,
 qual ben sapesti amarlo,
 virtù non ti mancò per meritarlo. (Sta pensosa)
 
 SCENA III
 
 LADICE con guardie, GORDIO e APAMEA
 
 LADICE
 Vedila mesta. E che ogni via non tenti (A Gordio in disparte)
 per suo riposo? Eh, figlia,
60que’ begli occhi di terra alza e qui mira
 Gordio, di fausti eventi
 dai lidi armeni apportator felice.
 GORDIO
 Sì, da que’ lidi, ove, o gran donna, ancora
 col tuo figlio real regna il tuo nome.
 LADICE
65Caro Tigrane! Oh, fosse
 agli amplessi materni
 venuto anch’egli!
 APAMEA
                                  Oh, a’ miei pur anco il caro
 sospirato germano!
 LADICE
 Ei dunque assente (A Gordio)
70alla guerra con Roma?
 GORDIO
                                           E il nodo illustre
 di Apamea con Farnace
 unirà i due regnanti all’alta impresa.
 LADICE
 Apamea, sei beata.
 APAMEA
                                      (Ah, per mia pace
 manca il voto miglior, quel di Farnace).
 LADICE
75Lieta madre or potria dirsi Ladice,
 se in rivederti, della sua perduta
 Eupatra, oh dio, la rimembranza amara
 non la turbasse. E pur dieci anni e dieci
 son corsi omai, dacché ne piango il danno.
 GORDIO
80Spera. Chi sa? Tra il popol vario e folto
 di Eraclea questa mane
 veder mi parve Ostane.
 APAMEA, LADICE A DUE
 Ostane?
 GORDIO
                   Sì, quel generoso scita,
 cui nella notte, che improvvisi e cheti
85ne assaliro i Romani,
 in Colchide fidai l’alma fanciulla,
 senza svelarne la fortuna e il nome,
 perché di tanta spoglia
 men gisse altero il vincitor.
 LADICE
                                                    O cieli!
90Che non correr a lui? Che della figlia
 non chiedergli?...
 GORDIO
                                   Il potea, da guardie cinto
 pontiche e armene e atteso
 dal nostro re?
 LADICE
                            Gordio, deh, stanne in traccia
 e il guida a me. Troppo mi preme i casi
95saper d’Eupatra; e s’ami Aristia ancora...
 GORDIO
 Se l’amo? E il chiedi?
 LADICE
                                          L’imeneo del prence
 può farla tua. S’ei non s’adempie, inciampo
 temi possente al tuo riposo e al mio.
 Tu non m’intendi e dirlo non poss’io.
 GORDIO
 
100   Non intendo;
 ma serpendo mi va in seno
 certo gelido veleno,
 novo cruccio al mesto cor.
 
    Ei penò finor negletto;
105e dispetto lo agitò;
 or qual fia che a più crucciarlo
 vien sospetto e vien furor?
 
 SCENA IV
 
 LADICE e APAMEA
 
 LADICE
 Apamea, non ti scorgo
 con quella ilarità che suole in volto
110spargersi a chi ben ama ed è vicino
 a goder dell’oggetto, ond’ei sospira.
 APAMEA
 Ah, madre...  di Farnace
 LADICE
                                               Il so; ti affligge
 la lontananza. In breve
 dal Bosforo già vinto,
115a’ piè del padre ei recherà gli allori.
 APAMEA
 Ma speran poco i miei dolenti amori.
 
    Quando nel fitto verno
 spunta l’erbetta e il fior,
 nasce ad un punto e muor,
120che il gel l’opprime.
 
    Tal se un balen di spene
 mi viene a lusingar,
 tosto lo fan sgombrar
 dal tenebroso cor
125le nebbie prime.
 
 SCENA V
 
 LADICE, poi MITRIDATE, FARNACE, ARISTIA, seguito di capitani, di soldati, eccetera
 
 LADICE
 (Nel dolor della figlia
 sa Ladice i suoi torti.
 Ma tace ancor. Sia quanto vuole accorto,
 non fuggirà al mio sguardo
130quell’oltraggioso amor ch’arde in due petti.
 Basta... Accertar vo’ meglio i miei sospetti).
 MITRIDATE
 Regina, ecco in Farnace
 di Mitridate un degno erede. In esso
 ringiovenisco; e con tal figlio al fianco
135Roma più mi paventi.
 Tu qual madre l’accogli; e in lui non tanto
 di Mitridate il sangue
 che il valor suo, le sue vittorie onora.
 ARISTIA
 (Più bello il trovo in tanta gloria).
 LADICE
                                                               Illustre
140germe di chi fra i re primo risplende,
 vieni agli amplessi... (Si avanza verso Farnace)
 FARNACE
 Un tanto onor, perdona, (Ritirandosi modestamente).
 l’opre mie troppo eccede,
 se pur son opre mie quelle che han fatte
145l’armi del padre, la fortuna e il nome.
 LADICE
 (Modestia ostenta e livor copre).
 MITRIDATE
                                                             A tempo
 qui ’l ciel ti trasse. Oggi l’Armenia e il Ponto
 hanno a segnar di stabil pace i patti.
 Roma, che sovra i re d’alzar pretende
150un tirannico giogo,
 ne tremerà. Tu ancora
 udrai...
 FARNACE
                 No, sire. A me vassallo e figlio
 non convien che ubbidir. Non entro a parte
 de’ tuoi gravi consigli. Addottrinato
155dal lungo uso del regno e da cotanti
 ravvolgimenti della varia sorte,
 a tuo piacer disponi
 e di guerra e di pace,
 e dirò ancor di questa
160vita. Tu padre, tu signor mi sei.
 Sol lascia in libertà gli affetti miei.
 
 SCENA VI
 
 MITRIDATE, LADICE, ARISTIA, poi GORDIO e i due ambasciadori armeni col loro seguito
 
 ARISTIA
 (Che virtù!) (A piano)
 LADICE
                           Che insolenza! (A Mitridate)
 MITRIDATE
                                                        Andiam sul trono. (A Ladice)
 Gordio e i legati armeni entrino a noi. (Al capitano delle sue guardie)
 E di Farnace parlerem dipoi. (A Ladice. Presa per mano Ladice ascende seco sul trono. Suonano intanto i timpani e le trombe ed entrano Gordio e gli ambasciadori armeni, i quali si presentano al trono di Mitridate)
 GORDIO
165Del recente trionfo,
 che col braccio del figlio alla tua fronte
 gli allori accresce e le corone, o sempre
 re Mitridate invitto, il gran Tigrane,
 all’ombra del cui scettro un’aura etade
170vivon felici e l’una Armenia e l’altra,
 tutto sente il piacer. Per quei maggiori,
 che nel cor bellicoso
 volgi, in auspizio il prende e a secondarli
 quanto può moverà di forze e d’armi.
175Sui in avvenir saranno
 nimici i tuoi, comuni
 e le guerre e le paci. I sacri patti
 qui per lui segneranno Eumaco e Arasse.
 Per l’arduo impegno anticipato il prezzo
180nelle nozze ei ti chiede
 di Apamea sua germana
 col tuo figlio Farnace. In suon di gioia
 n’echeggino l’Eusin, l’Eufrate e il Tigri;
 i tiranni dell’Asia
185ne impallidiscan di spavento; e tanta
 parte di mondo ingiustamente oppressa
 risorga a nova spene
 d’infrante calpestar le sue catene.
 MITRIDATE
 S’io pregiarmi più debba
190di quanto mi concede
 o di quanto mi chiede il re Tigrane,
 non so. Sua regal madre
 passò dal soglio armeno a quel del Ponto
 e mia sposa divenne.
195Farnace, ch’è mio figlio, avrà per gloria
 che la germana di sì gran regnante
 il suo talamo onori.
 Vi applaudo e il voglio; e allora
 che del regio imeneo splendan le tede,
200oggi ciò fia, su l’are coronate
 porrem la destra e giurerem la fede. (Inchinati al re e alla regina, si partono Gordio e gli armeni; e quegli intanto scendono dal trono)
 
 SCENA VII
 
 MITRIDATE, LADICE e ARISTIA
 
 ARISTIA
 (Ho l’amor di Farnace e nulla temo).
 MITRIDATE
 A grado de’ tuoi voti,
 Ladice, io regno. Ecco prefisso il nodo,
205per cui sieno felici i miei più cari.
 LADICE
 Il figlio ancor?
 MITRIDATE
                              Puoi dubitarne?
 LADICE
                                                              Un poco
 di resistenza non prevedi, o sire?
 MITRIDATE
 E donde?
 LADICE
                     Dalla lunga
 indifferenza di quel cor feroce.
 ARISTIA
210(Oh, se sapesse di qual foco egli arda!)
 LADICE
 Vicino ad Apamea, tacito, austero,
 mai d’amore uno sguardo,
 mai d’amore un accento
 non le diè, non le disse.
 MITRIDATE
                                             Ei pien la mente
215di eccelse idee guerriere,
 ad un tenero amor fu muto e cieco.
 ARISTIA
 (Tal non fu già, felice Aristia, teco).
 LADICE
 Esser guerriero e amante
 si può. Tra i bellicosi
220spirti nutre Farnace i più soavi
 ma non per Apamea. Forse un segreto
 ostacolo ha nel cor per non amarla.
 MITRIDATE
 La sposi e l’amerà.
 LADICE
                                     Ma s’ei resiste?
 MITRIDATE
 Resistermi Farnace?
 LADICE
                                         I suoi ti chiese
225affetti in libertà.
 MITRIDATE
                                 Di qual mi turbi
 oltraggiosa incertezza? O dei! Ne fremo.
 Resistermi! Cotanto
 non si fidi il superbo
 nella sua gloria o nel mio amor. Da lui
230o l’ossequio cominci
 o la pena in esempio.
 L’augusta autorità, che mi sta in fronte,
 non soffre impune il minor torto e sprezzo;
 ed a sceglier costretto,
235a un re non si concede
 bilanciar tra un suo figlio e la sua fede.
 
    Resistermi un figlio?
 Funesto consiglio!
 Ubbidirà vassallo
240o perfido morrà.
 
    Dee re, ch’è negletto,
 cessar d’esser padre;
 e in sostegno del rispetto
 obbliar la natura e la pietà.
 
 SCENA VIII
 
 LADICE e ARISTIA
 
 LADICE
245Aristia, è tempo omai che tu mi tolga
 certi dubbi dall’alma e che mi sveli
 quell’arcano fatal, per cui riposo
 non ho. Tu di Farnace
 tutto godi il favor. S’ei me sovente
250degna di sua presenza,
 Aristia n’è cagion; ma gli occhi suoi
 al fianco di Ladice
 non cercano che Aristia. Ogni altro oggetto
 gli è indifferente o abbietto.
 ARISTIA
255Regina...
 LADICE
                    Ond’è che la real mia figlia
 egli solo disdegna?
 E pur, né mi fa inganno
 materno affetto, a quai sembianze il cielo
 largo più de’ suoi doni e più cortese
260fu mai? Qual altra ebbe più nobil core?
 Virtù più pura? Il men che in lei si ammiri
 è lo splendor di sua natia grandezza.
 Anche in sorte privata
 regnerebbe su l’alme. Il solo, il solo
265Farnace è che la sprezza. E perché mai?
 Vano è tacerlo più. Dillo. Tu il sai.
 ARISTIA
 E che dirti poss’io? Non è Farnace
 né selvaggio né ingiusto
 per la bella Apamea. Ne’ suoi pensieri
270penetrar non mi è dato.
 Ma sovente ei mi parla a core aperto
 di lei; n’esalta il merto,
 le virtù, la beltà. Ciò che tu stessa
 ne pensi, egli ancor pensa e a me lo dice.
 LADICE
275Lo dice a te? S’egli l’amasse, Aristia,
 perché dirlo a te sola?
 Guardati d’ingannarmi. Ei non ti parla
 di lei. Di te ti parla.
 ARISTIA
 O dei! Di me?
 LADICE
                             Sì, di te sola; o amante
280di lui ti credo; o tu colei mi addita
 su cui debba infierir. Sappil; tel giuro,
 qualunque sia, che ardisca
 co’ suoi mal nati affetti
 quei del prence sedur, vedrà sin dove
285giunger possano l’ire
 d’una regina e madre.
 L’altra figlia ho perduta.
 Mi è rimasta sol questa.
 Ella è per me gioia, tesoro e quanto
290amar posso e temer. Per vendicarla
 non v’è fren che mi arresti.
 I suoi torti son miei. S’anco ella stessa
 sofferirli potesse, io nol farei.
 Pensaci. O tu l’amante
295mostrami di Farnace o tu la sei.
 
    Guai per te, se tu sei quella.
 Strapperò dal sen quel core
 e ancor caldo, ancor fumante
 al tuo amante,
300dono infausto, il recherò.
 
    Sarà questo il fin funesto
 di quel vil superbo amore
 che ad un talamo reale
 spiegò l’ale e l’insidiò.
 
 SCENA IX
 
 ARISTIA, poi FARNACE
 
 ARISTIA
305Misera me! Che intesi? Oh, nell’orrore
 del mal vicino, almeno
 a tremar non avessi
 che per me sola... Ah, caro prence! Ah, vieni
 de’ miei spasimi a parte,
310tu che il maggior ne sei.
 FARNACE
                                              Qual ne sovrasta
 sciagura? I pianti tuoi non dicon tutto.
 ARISTIA
 Farnace... O dio!... Farnace,
 la tua sposa è perduta.
 FARNACE
 Perduta?
 ARISTIA
                    Ecco i fatali
315preveduti momenti
 dall’amor mio. Le nozze
 di Apamea son segnate. Il re fra poco
 a chiederti per lei verrà la fede,
 fé che tra noi giurata
320non è più in tuo poter né più nel mio.
 Questo anco è poco. Alla real matrigna
 son io sospetta. Oh, se ne avessi intese
 le furie, le minacce... Oimè! Fin dove
 non giungeria la rabbia sua gelosa,
325se cercando l’amante di Farnace
 ne trovasse la sposa?
 FARNACE
 Diletta anima mia, tanto di pena
 non darti. In tua difesa...
 ARISTIA
 No no. Giudica meglio
330del mio timor. Non temo i mali miei
 che come tuoi perigli. Ah, tel rammenta.
 Speme e orgoglio non fu d’esser un giorno
 sul trono tuo che mi fe’ tua sposa.
 In stato umile, ignara
335dell’esser mio, che intesi
 pria miseria che vita,
 non diedi orecchio a tue lusinghe. Allora
 che di ferro ti vidi armato il braccio,
 risoluto a vibrarlo entro il tuo petto,
340allor cedei. Dovea salvarti. Il feci;
 né me ne pento. Piaccia,
 piaccia agli dii, me sola
 scopo far di tant’ire: ond’io dir possa:
 «Aristia la fedele, al suo Farnace,
345e vivendo e morendo,
 diede felicitade e lasciò pace».
 FARNACE
 Che parli di morir? Tu sei mia sposa. (Risoluto)
 Questo nome mi è sacro
 più che ogni altro. Oprar tutto
350per me potesti; e tutto
 per te anch’io potrò osar. Né re né padre
 v’è sopra il mio dover, sopra il mio amore.
 Tremino di un tuo pianto (Fiero)
 le frenesie superbe
355d’una donna altrui madre. Avvezzo io sono
 e nato a comandar, non a soffrire.
 ARISTIA
 Frena, oh dio, frena l’ire.
 Fremer mi fai d’orror. Sai che sin quando
 sposo e signor ti accolsi,
360al tuo piè mi gettai; ti chiesi in dono
 l’essermi, sì, fedel; ma insieme io chiesi,
 e tu mel promettesti,
 di non porre in obblio che un re, che un padre
 tu avevi in Mitridate.
 FARNACE
365E pel padre e pel re tutto promisi, (Fiero)
 nulla già pel tiranno,
 s’ei tiranno esser voglia.
 
 SCENA X
 
 DORILAO e i suddetti
 
 DORILAO
 Principe, Aristia, a che sì lunghi indugi?
 Te chiede il padre; e te osservar gelosa
370fa Ladice. Potete
 da voi stessi tradirvi.
 ARISTIA
 Addio, Farnace. Armiamci di costanza.
 Amiamci sempre e riserbiamo il dolce
 piacer di rivederci a miglior tempo.
 FARNACE
375Sì, vi consento. Addio.
 ARISTIA
                                           Tu vanne al padre;
 l’amor nascondi e i fieri spirti affrena.
 FARNACE
 E tu, idol mio, su la mia fé riposa.
 ARISTIA
 L’arra ne prendo in quest’amplesso. (Si abbracciano)
 FARNACE
                                                                     O sposa!
 ARISTIA
 
    A te, diletto sposo,
380dissi altre volte addio;
 ma con martir sì rio
 nol dissi mai.
 
    E pur, mi dice il core,
 questo non fia l’estremo;
385ancor ci ridiremo
 i rischi e i guai.
 
 SCENA XI
 
 FARNACE e DORILAO
 
 FARNACE
 Andiamo; e a fronte di un poter tiranno
 il pudico amor mio vinca e trionfi.
 DORILAO
 Cauti consigli, o prence...
390In tal destin sceglier ti giovi. Il danno
 accrescono gli audaci.
 FARNACE
                                          Eh, di salute
 non ho altra via che il perdermi.
 DORILAO
                                                             E ti perdi,
 se al genitor contrasti. A lui ne’ primi
 impeti poco costa il dar comandi
395che la natura oltraggino. I rimedi,
 che non trova la forza, appresta il tempo.
 Se di te non ti move
 pietà, quella ti vinca
 del periglio di Aristia.
400Cedi per meglio vivere.
 FARNACE
                                              E sì vile
 sarò?...
 DORILAO
                 Poi penseremo i più sicuri
 mezzi a sfuggir periglio e uscir di affanno.
 FARNACE
 Lasciami. O crudel donna!
 O cara Aristia! O genitor tiranno!
 
405   Se mi togliete quella
 ch’è vostro dono, o dei,
 alma innocente e bella,
 tutte le colpe mie vostre saranno.
 
    A voi non fanno oltraggio
410i casti affetti miei;
 anzi adorando in lei
 del vostro lume un raggio, onor vi fanno.
 
 Il fine dell’atto primo