Imeneo, Vienna, van Ghelen, 1727

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 ARCESILAO
 
 ARCESILAO
 Son cosa buona e dolorosa i figli.
 Per prova ’l so. Quanto sostenni e piansi
 lieve mi sembra, a petto
 del caro figlio, ahimè! perduto o morto.
385Sentor mi giunse di poterlo in queste
 contrade rinvenir. Faccianlo i numi;
 e rendan vano un certo
 presentimento... Ah! Figlio,
 amor, di gioventù sprone ed inciampo,
390certo ti ha tratto a periglioso varco.
 Ben tel diss’io; ma non giovò, che è troppo
 difficile virtude,
 nel fior degli anni e dal gentil sembiante,
 spargere amori e non sentirsi amante.
 
395   Ne la canuta età
 sappiamo a gioventù
 gridar che da beltà
 difenda il core.
 
    Né ci sovviene or più
400che nella fresca età
 ne consigliò virtù;
 ma vinse amore.
 
 SCENA lI
 
 ODRISIO, ERASTO e poi ALISA
 
 ERASTO
 Poco non fu l’indurla ad ascoltarti.
 ODRISIO
 Chi fugge d’ascoltar vinto è, se ascolta.
 ERASTO
405Cor, che in sua guardia stia, mal si sorprende.
 ODRISIO
 Taci. Ella viene. Io nol credea; ma temo.
 ERASTO
 Se non temessi, non saresti amante.
 ODRISIO
 (Reggimi, amor, le voci). Illustre Alisa...
 ALISA
 Erasto, non partir. Quantunque, o prence,
410vano sia che tu parli e ch’io ti ascolti,
 pure il saper che partir dei da questa
 a te, che sei stranier, terra or vietata,
 e che, s’io non mi astringo
 sofferente ad udirti, essere in colpa
415posso de’ tuoi mal risoluti indugi,
 vo’ compiacerti. Eccomi attenta. Parla.
 Ma fora meglio assai che risparmiassi
 a me un gran tedio, a te un’inutil pena.
 ERASTO
 (Buon che Dorisbe mia non è sì fiera).
 ODRISIO
420Come, o bella, parlar, se già spaventi
 fin sul primo sospiro i chiusi affetti?
 Vengo a dirti che t’amo; e col mio core
 vengo a gittarti una corona al piede.
 Dono è questo sì vil che con disprezzo
425mirar tu ’l debba? Un principe a te parla
 di Tracia, un cui son ligie
 più genti, o per retaggio o per valore.
 Se nieghi amarlo, non lo amar. Pazienza.
 Ma almen di’ che ’l gradisci e disacerba
430l’aspro tuo non voler con un: «Non posso».
 ERASTO
 (A sì grande amator basta assai poco).
 ALISA
 E qual pro dal mio dirlo? A mal, che serpe,
 ferro si chiede e foco. Il lusingarti
 un tradirti saria. Pur se un «non posso»
435ti basta, io tel raffermo; e dirò ancora
 che di questa m’incresce
 necessità, in cui sono,
 di rifiutar col donatore il dono.
 ODRISIO
 Ma chi a ciò ti costrigne?
 ALISA
                                                Un voler fermo.
 ODRISIO
440Alisa, se è voler, da te dipende.
 ALISA
 Ciò che vogliam non sempre è in poter nostro.
 ODRISIO
 Il consenso ho del padre e ’l tuo sol manca.
 ALISA
 Questo impetrar non puoi né quel ti giova.
 ODRISIO
 Te la corona renderia beata.
 ALISA
445Né porpore né gemme egro fan sano.
 ERASTO
 (Beltà ostinata si consiglia invano).
 ODRISIO
 Con sì rari del cielo e sì pregiati
 doni vivrai solinga in queste selve?
 ALISA
 Selve più d’ogni reggia a me gradite.
 ODRISIO
450Perdendo il meglio de l’età fiorita?
 ALISA
 La perde più chi in vaneggiar la perde.
 ODRISIO
 O presto o tardi giugneratti amore
 e forse, a scorno tuo, per vil pastore.
 ALISA
 Odrisio...
 ODRISIO
                     E ti risenti?
455Che sì...
 ALISA
                  Già assai dicesti. Io troppa diedi
 baldanza in ascoltarti a tanto orgoglio.
 Non ti basta il «non posso»? Abbi il «non voglio».
 
    Non voglio. M’intendi?
 Va’. Cerca altra sposa
460più grata e amorosa,
 più degna di te.
 
    Da me che più attendi?
 Sincero è ’l cor mio.
 Per te non son io;
465né tu sei per me.
 
 SCENA III
 
 ODRISIO ed ERASTO
 
 ODRISIO
 E tanto osò colei? Tanto io soffersi? (Tra sé)
 E sarò sceso a la viltà dei preghi,
 per riportarne tal ripulsa e scorno! (Sta pensoso)
 ERASTO
 Che far vuoi? De le belle oggi è ’l costume,
470superbia, ingratitudine, disprezzo.
 ODRISIO
 Me di provincie e mari (Tra sé)
 dominator, me regnator possente,
 me rifiuta una femmina? Me insulta?
 ERASTO
 Così femmina fa; segue il suo peggio.
 ODRISIO
475Né mi vendicherò? Né con Eleusi
 tutta distruggerò l’attica terra?
 La Grecia tutta?
 ERASTO
                                 Eh! Modera il gran core.
 Con beltà risentirsi è debolezza. (Odrisio si avvede di Erasto)
 ODRISIO
 (Ah! Quasi l’ira mi tradia). Nei casi
480subiti anche i gran cori
 hanno il loro trasporto.
 Ma son gl’impeti lor vampa che nata
 muor tosto e di sé lascia
 poca cenere appena.
 ERASTO
485Di tua virtude...
 ODRISIO
                                Erasto, addio. Per sempre
 queste lascio al mio core infauste rive.
 A l’ingrata dirai che sospirando
 le lascio... Ah! No... Dirai che sprezzo a sprezzo
 già rendo e che d’obblio
490spargo la sua memoria e l’amor mio.
 
    Quella d’amore
 nemica e mia
 novo orgoglio prenderia
 dal saper che sospirai.
 
495   Dille sol che quel sospiro
 d’odio fu, perché l’amai.
 
 SCENA IV
 
 ERASTO, poi DORISBE con IMENEO
 
 ERASTO
 Quanto per farsi amar giovi grandezza,
 siane Odrisio oggi in prova. O me felice
 ne l’amor di Dorisbe.
500Ella a me viene appunto e sua indivisa
 compagna è seco la vezzosa Aglauro.
 IMENEO
 O nuova dolorosa! Ah! Se di Alisa
 in odio son...
 DORISBE
                           Che non ti senta Erasto.
 Taci; e a già caro amante
505mira strana accoglienza.
 ERASTO
 Bella Aglauro, avrei quasi
 a lagnarmi di te.
 IMENEO
 Gentil pastor, perché?
 ERASTO
 Col tormi ognor la mia Dorisbe.
 DORISBE
                                                            È vero.
510Aglauro a te la toglie;
 né al fianco suo più mi sovvien di Erasto.
 ERASTO
 Questa è troppa amistà, se ti è più cara
 di un amante un’amica.
 DORISBE
                                              Io trovo in lei
 l’oggetto, più che in te, dei piacer miei.
 ERASTO
515Con sì serio sembiante a me ragioni
 che mi fai dubitar...
 IMENEO
                                       Non vedi, Erasto,
 che ella gode scherzar.
 DORISBE
                                           Scherzo? Da vero (Ad Imeneo, poi ad Erasto)
 mai non dissi così. Voi sole, sole, (Ad Imeneo)
 mi piacete, mi ardete,
520bellissime pupille,
 e darei per voi sole
 e cento amanti e cento Erasti e mille.
 IMENEO
 Piace a lei tormentarti. (Ad Erasto)
 DORISBE
 Anzi disingannarti. (Ad Erasto)
 ERASTO
525Altro è ciò che amistà. Tu più non m’ami?
 DORISBE
 Che? Del mio amor ti lusingasti? O folle!
 Soffersi il tuo, nol resi.
 ERASTO
 E quando mi dicevi: «O caro Erasto»?...
 DORISBE
 Caro dico anche a un fior, caro a un agnello.
 ERASTO
530E quando mi giuravi affetto e fede?...
 DORISBE
 Giuramenti in amor son come voci
 ripercosse nel sasso.
 Il sasso le ripete e non le intende.
 ERASTO
 Ma qual fallo v’ha in me del non più amarmi?
 DORISBE
535Quel del non più piacermi.
 ERASTO
 Sleal...
 DORISBE
                Qui con Aglauro
 sola esser deggio. Se sleal mi credi,
 esser potrà ch’io cangi
 di nuovo in tuo favor. Va’, dura amante;
540e quando io torni a te, fa’ che ritrovi,
 per rossor del mio core, il tuo costante.
 ERASTO
 
    Poveri amanti, andate.
 Servite. Meritate.
 Voglion da voi le belle
545costanza e fedeltà.
 
    E vogliono l’ingrate
 potervi a lor talento
 pagar d’infedeltà.
 
    O legge iniqua e ria!
550Noi sempre in tirannia,
 sempre esse in libertà.
 
 SCENA V
 
 DORISBE e IMENEO
 
 IMENEO
 Dorisbe, e’ fa pietà.
 DORISBE
                                       Per gl’infelici,
 giovami che ti prenda
 un sì tenero affetto.
 IMENEO
                                       Io l’ho per altri,
555qual vorrei che per me l’avesse Alisa.
 DORISBE
 Da lei non lo sperar. Ti abborre e fugge.
 IMENEO
 O dio! Che mai d’atroce in me ravvisa?
 DORISBE
 Perché quello che sei scorge in Aglauro.
 Guai se sapesse mai quello che sei.
 IMENEO
560E ’l disse a te? Miseri affetti miei!
 DORISBE
 E più miseri ancor, se a te giugnesse
 ciò che pensa di te, ciò che ragiona.
 IMENEO
 Nol dir che, quale avviene
 a chi riman dal solo
565vapore impetuoso
 di fulmine cadente
 soffocato ed estinto,
 tal potresti, col solo
 suon di quell’aspre voci,
570uccidermi, o Dorisbe.
 DORISBE
 A che dunque ostinarti?
 IMENEO
 Ch’altro far posso?
 DORISBE
                                     Oggetto
 cangiando, uscir di ambascia e di rancore.
 Un comodo rimedio è un altro amore.
 IMENEO
575Ahimè! Non ho che un core;
 e questo è già di Alisa; e mi è più dolce
 per Alisa morire
 che per altra gioire.
 DORISBE
 Prova qual piacer sia
580amar chi ti riami e chi ti renda
 sospiri per sospiri,
 desiri per desiri.
 Sempre a tempo sarai
 di tornare a’ tuoi lai.
 IMENEO
585V’ha cui passa l’amaro
 assenzio in nutrimento;
 e a me viver è caro
 di amarezza e tormento.
 DORISBE
 E pur, vago Imeneo, ninfa è in Eleusi,
590cui fors’altra non v’ha che pareggiarsi
 possa o di pingui armenti o d’ampie messi.
 Se te ricchezza invoglia,
 tutto è per te. Se gioventù, le ride
 primavera nel volto; e se beltade,
595dicanlo i tanti e tanti
 suoi non curati amanti.
 E questa, o dio! per te languisce e more.
 IMENEO
 Soliti scherzi tuoi. Qual puote amarmi,
 noto solo a Dorisbe?
 DORISBE
600Crudel! Tu lo dicesti.
 Quella, quella son io. Nel ravvisarti,
 n’ebbi pietà. Pietate
 poscia divenne amore; e ’l cangiamento
 sì subito si fe’ che non mi avvidi
605se amor fosse o pietà quel del cor mio,
 già leggier movimento,
 or fervido disio.
 IMENEO
 Tirannide d’amor, quanto sei grande!
 facendone seguir chi da noi fugge,
610vietandone d’amar chi a noi si dona.
 O misera Dorisbe!
 Non era io dunque assai per me dolente,
 se non veniva ancora
 il tuo amore ad affliggermi? La sola
615speranza di quest’alma era Dorisbe.
 Dorisbe ora è mio affanno e mio periglio.
 DORISBE
 No no, caro Imeneo. Non ti dia tema.
 Pria morirò che m’esca il chiuso arcano.
 Ti lascio a te. Tu pensa a me. Da Alisa,
620da Alisa a te fatal guardati intanto;
 e un generoso sforzo
 tenta in favor di chi per te fa tanto.
 
    In lei, che ti sprezza,
 che cosa ami mai?
625L’austera bellezza?
 Il ben che non hai?
 Ah! Tu non ami in lei che la tua morte.
 
    Io che ti adoro,
 che per te moro,
630sarò, se ’l brami,
 sarò, se m’ami,
 tuo tesor, tuo piacer, tuo ben, tua sorte.
 
 SCENA VI
 
 IMENEO
 
 IMENEO
 Che più resta a sperar, misero core?
 Se tutto mi tradisce,
635se Alisa mi vuol morto,
 il timor di morir perdasi ancora.
 Sappia pur la crudele
 il mio ardir, la mia colpa e poi si mora.
 
    Su le sponde di placido fiume
640anche augello di candide piume
 dolce canta, vicino a morir.
 
    Ed un’eco pietosa e dolente
 fin da tronchi e da rupi si sente
 al suo canto compagna languir.
 
 SCENA VII
 
 ALISA e IMENEO
 
 ALISA
645(Ahimè! Qual vista!)
 IMENEO
                                         (Ahimè! Che incontro!)
 ALISA
                                                                                      (Oh! ’l passo
 ritrar potessi).
 IMENEO
                              (Oh! ’l piede
 non mi tremasse).
 ALISA
                                     (Che farò?)
 IMENEO
                                                             (Che penso?)
 ALISA
 (Senza un atto scortese io gir non posso).
 IMENEO
 (Non si perda l’onor di un bel morire).
 ALISA
650(Cor, perché tremi?)
 IMENEO
                                         (Ah! Non mancarmi, ardire).
 Quanto disio mi sprona,
 tanto timor mi arretra
 dal tuo aspetto che onoro e lungi e presso,
 o bellissima Alisa.
 ALISA
655Non son di Eleusi sì selvagge e schife
 le ninfe, qual tu pensi; ed io mi pregio,
 vie più che di beltà, di gentilezza.
 IMENEO
 Gentilezza, che regna in nobil core,
 non va disgiunta da pietà; e se questa
660tu mi ricusi, io la dispero altronde.
 ALISA
 (Che vorrà mai?) Duolmi che, fatta a pena
 ospite nostra, in ria fortuna incontri.
 IMENEO
 Qui non nacque il mio mal; ma quindi venne.
 ALISA
 E da Alisa dipende il darti aita?
 IMENEO
665Sta in tua man la mia morte e la mia vita.
 ALISA
 Fa’ che i tuoi casi intenda. (Ho in ascoltarla
 diletto insieme e pena).
 IMENEO
 O dio! Che udir senz’ira
 non puoi, lo so, voci di amor.
 ALISA
                                                       Di amante,
670dir vuoi; ma quale offesa
 mi fan voci di ninfa innamorata?
 Qui ne assordano i colli, i boschi, i prati;
 e april qui pria vedrei senz’erbe e fiori
 che donna senza amori.
 IMENEO
675(Non par sì ria qual la dicea Dorisbe).
 ALISA
 Favella e prendi ardire.
 IMENEO
 Solo per troppo ardir sono infelice,
 che dal basso esser mio
 alzai le brame a sì sublime oggetto
680che, come ogni altro di beltade avanza,
 così di grado sovra il mio si estolle,
 più che cipresso sovra umil virgulto.
 ALISA
 Né ti atterrì la troppa
 disparità?
 IMENEO
                      Tutto pareggia amore
685nel suo gran regno...
 ALISA
                                        (Oh! Fosse vero).
 IMENEO
                                                                          E vuole
 che s’ami, ov’egli sforza.
 ALISA
 Ma vuol ragione ancor che ne l’affetto
 s’usi modo e rispetto.
 IMENEO
 Del rispettoso amor facciati fede
690ch’io soffersi e languii, tacendo e amando.
 Ma se mi è dato un giorno
 dir, cadendo a’ suoi piedi: «O prima, o sola
 alma dell’alma mia,
 benché il ciel m’abbia dato
695nascer in basso stato,
 non ti offenda però l’offerta umile
 ch’io ti faccio del core,
 povero sì, non vile.
 Dacché degnossi amore
700scolpire in esso la tua bella immago,
 a lui stanno d’intorno
 fede, valore, gentilezza; e tutte
 l’idee, che in sé rivolge,
 grandi son, perché tue. Degno io te l’offro
705di te che tal l’hai reso;
 e se amante lo sdegni,
 servo lo accetta; e se per servo ancora
 tu lo rigetti, ei si condanni e mora».
 
    Oh! Se spirarti al piede
710l’anima tutta fede
 qui posso, idolo mio, che bel morire!
 
 ALISA
 Così parla il tuo cor; ma parla in guisa
 come l’idol tuo fossi e sono Alisa.
 IMENEO
 E se quel fossi tu, che mi diresti?
 ALISA
 
715   «Cor del mio cor» direi
 «troppo crudel sarei,
 se non amassi in te sì bell’ardire».
 
 IMENEO
 E al mio cor così Alisa? O care voci!
 ALISA
 Alisa no, ch’ella odierebbe un core
720che le potesse ragionar di amore.
 IMENEO
 (Misero me!)
 ALISA
                            Già è tempo,
 orché tanta pietà m’hai desta in seno,
 che tu mi sveli di chi t’arde il nome.
 IMENEO
 (Aita, amor, che questo è ’l duro varco,
725in cui perder mi debbo).
 ALISA
 Torni a temer? Ardisci.
 IMENEO
 Ti ubbidisco; e mi sia
 l’ubbidirti in discolpa. Ecco prostrato (S’inginocchia)
 scorgi...
 
 SCENA VIII
 
 ERASTO con ministri del tempio, EUMOLPO e i sopradetti
 
 ERASTO
                  Qual si punisca un scellerato. (Eumolpo rimane indietro)
730Legatelo, o ministri.
 IMENEO
 Che? Lacci a me? (Levandosi impetuoso)
 ALISA
                                    A donzella
 peregrina e gentile,
 quell’aspre funi ed adre,
 presente me?
 EUMOLPO
                            Sì, se ’l comanda un padre. (Avanzandosi)
 IMENEO
735Fermatevi, che indegne (Rispignendo i ministri)
 son queste mani di que’ vili nodi.
 Verrò dove mi voglia il rio destino.
 EUMOLPO
 Verrai dove ti tragga
 la meritata pena; e voi d’intorno
740vietategli ogni scampo.
 ALISA
 (Non anche intendo). Di qual fallo è rea
 costei?
 EUMOLPO
                Di noi, del tempio e de la dea
 e di te ancor, cui, se non fingi, ei scherne,
 mentendosi donzella.
 ALISA
745Padre... E fia ver?
 ERASTO
                                    Se ’l puote,
 lo nieghi. Io qui l’intesi.
 ALISA
 Che fai? Non odi? Non rispondi? Parla.
 Difenditi. Chi sei?
 (Ah! Che purtroppo il riconosco. O dei!)
 IMENEO
750La cagion de’ miei mali è troppo illustre,
 perché s’abbia a tacer. Più non mi celo.
 Pastor sono di Delo,
 figlio di Arcesilao, di Alisa amante;
 e mi appello Imeneo.
755Racchiusa in pochi accenti
 eccovi la mia sorte e la mia colpa,
 se pur è colpa. Io non mentii qui spoglie,
 sprezzator della vostra
 dea ma costretto da maggior possanza.
760Questo amor volle. Questo
 il patrio nume Apollo
 mi consigliò. Voi mi sforzaste a questo,
 amabili pupille, e seguii ’l fato;
 e seduttor non sono o scellerato.
 EUMOLPO
765Udite l’innocente,
 coronatel di fiori,
 dategli lode. Oh! ’l degno
 mio genero e tuo sposo. Al nobil nodo,
 su, apprestinsi le pompe; e in aureo nappo
770fa’, Erasto, che si rechi
 il pregiato liquor; ma questo sia
 venen che lo consumi e lo divori
 e ch’oggi i suoi punisca
 sacrileghi attentati e audaci amori.
 ERASTO
775Giusta vendetta. (Or piangane Dorisbe). (Parte)
 EUMOLPO
 Servi, delle mentite
 vesti colui si spogli e poi si guidi
 nel tempio e a’ piè de l’ara
 bea la cicuta amara.
780E tu, misero, vanne.
 ALISA
 (Ahimè! Ch’io vengo meno).
 IMENEO
 Rigido Eumolpo, ove m’invii non duolmi;
 duolmi donde mi togli. In questo addio
 sento, adorata Alisa, il morir mio.
 
785   Perdonami. Ti amai,
 forza de’ tuoi bei rai;
 ma puro fu l’amor;
 né il cor ti offese.
 
    Volgimi un guardo solo.
790A chi a morir sen va
 un guardo di pietà
 chi mai contese?
 
 SCENA IX
 
 EUMOLPO ed ALISA
 
 EUMOLPO
 Sì tacita e sospesa?
 ALISA
 E vero egli è che si ascondesse, o padre,
795in Aglauro Imeneo?
 EUMOLPO
 Purtroppo.
 ALISA
                       E che Imeneo fiamme abbia deste
 per me d’amor?
 EUMOLPO
                                 Colpevoli e perverse.
 ALISA
 E che periglio e morte
 atterrito non l’abbia?
 EUMOLPO
800Né della dea la riverenza.
 ALISA
                                                 E ch’egli
 soffrirà acerba morte?
 EUMOLPO
 In letal suco espressa.
 ALISA
 E morir lo farà l’amor d’Alisa?
 EUMOLPO
 E i riti offesi e i violati altari.
 ALISA
805Né sarà chi lo salvi?
 EUMOLPO
 Né meno il ciel, perché anche il cielo è offeso.
 ALISA
 Siasi. La tua equità ben ti consiglia.
 EUMOLPO
 O saggia! O degna...
 ALISA
                                       Ma... (Si ferma alquanto)
 Senza vita Imeneo, tu senza figlia. (In atto di partirsene frettolosa)
 EUMOLPO
810Come? O dei! Ferma. Ascolta. (Arrestandola)
 ALISA
 
    Che mi vuoi dir?... Lo so.
 «Tu figlia mia?»... Sì sì.
 «Amare un vil pastor?»...
 Piacque al destin così, così al mio core.
 
815   Morto tu ’l vuoi?... Su, mora;
 ma seco anch’io morrò.
 Vietar non mi si può morte né amore
 
 SCENA X
 
 EUMOLPO
 
 EUMOLPO
 Indegna figlia! S’altro in lui delitto
 non fosse che ’l tuo amore,
820questo sol basterebbe a condannarlo.
 E se tu perir vuoi, perdati pure
 il tuo basso disio, pria che ti salvi
 la mia vil compiacenza. Oh! Chi mai detto?
 Chi creduto l’avria? Che tu di amori
825e di re sprezzatrice,
 la dea prendendo, non che il padre, a gioco,
 ti abbassassi così? Ma questo è vero;
 altro è ’l dir delle figlie, altro il pensiero.
 
    La rosa vergognosa
830sta nel suo verde stelo;
 poi tutta baldanzosa
 si spiega ai rai del sole e non par quella.
 
    Così sta ritrosetta,
 modesta e timidetta,
835sinché non l’arde amor, la verginella.
 
 Ballo di contadini con instrumenti rusticali, in memoria e lode di Cerere inventrice dell’agricoltura.
 
 Fine dell’atto secondo