Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Campagna aperta con casino da una parte, per goder la caccia degli aironi, e dall’altra una collina, dove si figura che sieno don Chisciotte e Sancio.
 
 SCENA PRIMA
 
 IL DUCA, LA DUCHESSA, ALTISIDORA e GRULLO con seguito di falconieri
 
 IL DUCA
 Or che presso al meriggio il sol più ferve
 co’ suoi cocenti rai,
 solleciti partiam; sarebbe adesso
 fare un tormento d’un piacer,
 LA DUCHESSA
                                                        Ben sai
5che il mio l’è tuo voler.
 IL DUCA
                                            Ma qual vegg’io (Si volta verso la collina)
 sul vicin colle in così strano arnese
 vieppiù strano guerrier?
 ALTISIDORA
                                                Sarà quel folle,
 di cui leggemmo fino ad or con riso
 le stravaganti idee.
 IL DUCA
                                      Grullo, veloce
10corri a scoprirne il ver.
 GRULLO
                                            Pronto ubbidisco. (Si parte)
 LA DUCHESSA
 Quanto godrei che apposta
 si fosse Altisidora.
 IL DUCA
                                    Anch’io lo bramo;
 ma poi che meglio osservo, alle già note (Osserva novamente don Chisciotte)
 armi, all’aspetto, al portamento, agli atti
15esser altri non può. Segni sì certi
 non escono d’altronde.
 Venga, vedrem se la descritta copia
 al suo perfetto original risponde.
 
 SCENA II
 
 DON ALVARO, LAURINDO e i suddetti
 
 LA DUCHESSA
 Ben mi volea maravigliar che tanto
20star potesse don Alvaro lontano
 dal fianco della bella Altisidora.
 ALTISIDORA
 Ed io sorpresa fui da maraviglia
 come star mi poté tanto d’appresso.
 DON ALVARO
 Signora, il solo tempo...
 ALTISIDORA
25È quello che tradisce un vecchio amante;
 di già tu non sei tal.
 DON ALVARO
                                       Senza ferire
 sciorre un accento sol per me non puoi.
 ALTISIDORA
 E pur non v’è chi più di me ti stimi.
 DON ALVARO
 Se la stima è disprezzo, intiera godo
30questa grazia per te.
 LA DUCHESSA
                                        Sempre una faccia
 non suol tenere amor; copre talvolta
 col disprezzo la stima e il tempo solo...
 DON ALVARO
 È quello che tradisce un vecchio amante.
 IL DUCA
 Laurindo, qual piacer la nova caccia
35poc’anzi ti recò?
 LAURINDO
                                 Cosa più grata
 non seppi mai veder.
 IL DUCA
                                          Tua bella Italia
 fra le delizie sue questo non conta
 magnifico piacere.
 LAURINDO
 E fra i signori suoi pochi ne addita
40del tuo gran merto ancor.
 ALTISIDORA
                                                 (Che gentil tratto!)
 LA DUCHESSA
 Laurindo, i tuoi principi
 caminano a gran passi e il cor del duca
 han già tutto per sé.
 ALTISIDORA
                                       Premio ben degno
 a chi s’apre il sentier col proprio merto.
 DON ALVARO
45(Questa è favella di nascente amore;
 ah gelosia crudel!) Con piena mano
 sopra di Laurindo
 piovette il cielo i doni suoi più rari.
 IL DUCA
 Sono i doni del ciel semplici semi
50di ben che invan discende,
 se la virtù dipoi
 col ben oprar non gli feconda in noi.
 
    Se il sol non feconda
 col raggio sereno
55l’umor che ha nel seno
 la bella conchiglia,
 confuso coll’onda
 perduto sen va.
 
    Ma quando ferisce
60lo scoglio tenace
 dov’ella sen giace,
 passando il calore
 per fino all’umore,
 poi gemma si fa.
 
 SCENA III
 
 SANCIO, GRULLO e i suddetti
 
 GRULLO
65Questo signor scudiero (Al duca)
 or ti darà buon conto
 dell’altro cavaliero.
 SANCIO
 La duchessa qual è? (A Grullo)
 GRULLO
                                        Questa; e quest’altro
 è il signor duca.
 SANCIO
                                Bene.
70Di lui non n’ho che far. (S’inginocchia alla duchessa) Signora mia...
 (Sancio pian pian, signora mia l’è poco.
 Signora mia, padrona obbligatissima.
 Così va ben). Padrona obbligatissima,
 s’io non le dico che son Sancio Panza,
75già lei non lo saprà. Perché lo sappia
 adunque glielo dico.
 Ma parliamo più liscio e naturale;
 io son suo buono amico
 a cavallo ed a piè, come comanda,
80e la ragion... Parentesi, signora, (Si alza)
 sia detto qui fra noi con confidenza,
 questa mi pare un po’ d’impertinenza.
 LA DUCHESSA
 Cosa t’avvien?
 SANCIO
                              Costei
 mi par che si diletti di burlare,
85perché, mentre ti faccio l’ambasciata,
 ride sotto cappotto a tutto andare.
 LA DUCHESSA
 Olà, s’usi rispetto
 al signor Sancio ambasciador scudiero.
 ALTISIDORA
 Io di lui non ridea.
 SANCIO
90Così appunto hai da dir; ma i miei gattucci,
 sorella, è un pezzo ch’hanno aperto gli occhi;
 né s’ha da mangiar cavolo con ciechi.
 DON ALVARO
 Or segui tua ambasciata.
 SANCIO
 Chi ha fretta se ne vada;
95la seguirò se mi parrà, m’intendi?
 E se mi rompi niente gli stivali
 starò qui senza dire una parola.
 LA DUCHESSA
 Si lasci in libertà.
 IL DUCA
                                   Parla a tuo senno.
 SANCIO
 Ma dove son restato?
 LA DUCHESSA
100M’hai detto il nome tuo.
 SANCIO
                                               Sì, l’è verissimo.
 Adunque io son quel Sancio
 ambasciador scudiero,
 mandato dall’errante cavaliero
 che prima si chiamava
105il cavalier della figura trista
 ed or si chiama quello de’ leoni,
 però che tutti i cavalieri erranti,
 secondo che si dice,
 si mutano più nomi che camice.
 LA DUCHESSA
110Tu sei molto gentil.
 SANCIO
                                      Me l’hanno detto
 altre duchesse ancor. Voglio dir io
 che questo mio padron...
 DON ALVARO
                                                Come si chiama?
 SANCIO
 Si chiama don Chisciotte,
 più conosciuto assai della malerba.
 IL DUCA
115Egli è guerrier famoso?
 SANCIO
                                              Sì signore,
 è quel che ha combattuto
 col capo general de’ galeotti,
 Gines di Passamonte,
 quel diavol che lavora di sassate
120meglio di un romanesco,
 quello che dopo mi rubbò il mio Ruccio.
 DON ALVARO
 Cos’è questo tuo Ruccio?
 SANCIO
 Un asino, signore, per servirla.
 Or passando dall’asino al padrone,
125ha fatto di gran cose.
 Un giorno si trovò con mezz’orecchio
 che un certo manigoldo biscaglino
 glielo divise insieme
 con quell’elmo incantato di Mambrino.
 ALTISIDORA
130Insomma il tuo signor che cosa vuole?
 SANCIO
 Che abbiate più creanza
 e non interrompiate Sancio Panza.
 LA DUCHESSA
 Lasciatelo pur dir, ch’egli ha ragione.
 SANCIO
 Suol dirsi: «Chi ha ragion, Giove l’ammazzi»;
135io tengo mille torti.
 Tra la briglia e lo sprone
 consiste la ragione. Or come dico, (S’inginocchia di novo)
 don Chisciotte per me ti fa sapere
 che, se la tua grandezza gliel consente,
140si vuol incomodare
 per baciarti la mano; e ti assicuro
 ch’egli ti fa un favor particolare.
 LA DUCHESSA
 Inver, Sancio galante, hai bene esposta
 tua nobile ambasciata; alzati ormai,
145che non conviene a uno scudier sì degno
 stare in atto sì umile.
 IL DUCA
                                          Alzati, amico, (Sancio s’alza)
 e torna al tuo signor. Digli che questo
 loco non è dov’io ricever possa,
 colla duchessa mia, cotanto onore
150da un uom del merto suo. Di’ che l’attendo
 nel castello vicino e che a sua voglia
 potrà disporre in esso
 di chi serve e comanda a un tempo istesso.
 SANCIO
 Gli dirò tutto fino ad un finocchio;
155ma questo brutto nome di castello
 mi dà un po’ di fastidio,
 per via della coperta
 che in un altro castello mi fu data;
 ed in quella faccenda mi convenne
160volare in aria, senz’aver le penne.
 
    Quando avvien che mi rammenti
 di quel gioco maledetto,
 perdo tutti i sentimenti,
 mi si gela il cor nel petto
165e mi par fin di sentire
 quelle scosse e non so dire
 se sia dubbio o verità.
 
    Or se mai, per mio flagello,
 tal di questi copertari
170ti ritrovi nel castello,
 signor duca, patti chiari;
 o il furfante se ne vada
 o che Sancio, per la strada
 donde venne, tornerà.
 
 SCENA IV
 
 IL DUCA, LA DUCHESSA, ALTISIDORA, DON ALVARO e LAURINDO
 
 IL DUCA
175Tosto partiam; se don Chisciotte giunge,
 n’avrem lungo piacer.
 LA DUCHESSA
                                           Dono più bello
 al certo offrir non ci potea la sorte.
 IL DUCA
 Secondo il genio lor, vo’ che si pasca
 la folle idea che a vaneggiar gli guida.
180Tu, don Alvaro, intanto il passo affretta
 e nel castello il popolo previeni,
 onde concorde il mio voler secondi.
 DON ALVARO
 Forse di me Laurindo
 meglio potrebbe oprar.
 IL DUCA
                                             Sai che non tutti
185lo conoscono ancor. Parti, che al fianco
 presto anch’io ti sarò. (Si parte)
 DON ALVARO
                                           Come ti piace.
 (E con la donna ingrata,
 il felice rival si resti in pace). (Si parte lentamente, guardando sempre Altisidora)
 LA DUCHESSA
 Altisidora, inver questa è fierezza;
190don Alvaro partì senza un tuo sguardo.
 ALTISIDORA
 La credetti pietà; scemar tormento
 atto crudel non è.
 LA DUCHESSA
                                   Quel che a te pare
 risparmio di dolor, per lui che t’ama,
 fiero martir si fa. L’estrema parte
195della pupilla, immoto, in te raccolse;
 e quasi non sapea,
 senza prendere il sì dagli occhi tuoi,
 se, forzato a partir, partir dovea.
 
    In su l’arena
200poteva appena
 l’orma novella
 segnar col piè;
 
    e mille volte
 su l’orma antica
205gli vidi ’l piede
 senza fatica
 tornar da sé. (Si parte)
 
 SCENA V
 
 ALTISIDORA e LAURINDO
 
 ALTISIDORA
 Come, Laurindo! A sì fatal cimento
 poni la tua virtù? Restar qui solo?
210Che dovrà dir don Alvaro, per cui
 tanto riguardo usar ti sei proposto
 che, in sua presenza, appena
 osi di meco favellar?
 LAURINDO
                                        S’io fossi
 meno onesto per lui, di questa sorte
215lieto potrei goder.
 ALTISIDORA
                                    Ma tu non sai
 che in questo punto d’amistà la legge,
 sempre sacra per te, da te si offende?
 LAURINDO
 Per qual ragion?
 ALTISIDORA
                                 Quest’infelice volto
 potria forse rapir dagli occhi tuoi
220qualche piccolo sguardo inavvertito,
 onde avvenisse poi
 che imparasse il tuo cor qualche sospiro.
 LAURINDO
 Non ho di che temer, s’io non ti miro.
 ALTISIDORA
 Dura legge t’imponi.
 LAURINDO
225(Purtroppo dici ’l ver).
 ALTISIDORA
                                            Non perché io sia
 oggetto da forzar le tue pupille,
 che tanto non presumo.
 LAURINDO
 Il tuo poter conosci e mi deridi.
 ALTISIDORA
 Io deridere un uom ch’opra qual chiede
230giusto dover? Ma non parria ch’io fossi
 nimica di virtù? Che bella gloria
 sarà la tua, Laurindo,
 quando, già carco d’anni, il mondo intiero
 andrà mostrando in te fra mille lodi
235l’esempio raro di amistà perfetta.
 Sai che al pensarvi solo
 per te m’insuperbisco.
 LAURINDO
 Lascia, crudel, di tormentarmi. Oh dio!
 ALTISIDORA
 Laurindo, e che facesti?
240Dir sospirando «oh dio!»,
 se il sospiro è d’amore, ecco perduta
 quella gloria per te. Non tel diss’io
 che della tua virtù troppo ti fidi?
 LAURINDO
 Il tuo poter conosci e mi deridi.
 
245   Saria dolce ancor per me
 di portare i lacci al piè,
 pel tuo core che d’amore
 mi fe’ quasi sospirar.
 
    Ma se alcun de’ miei pensieri
250fia che ardito mai lo speri,
 il dover lo tronca in fasce,
 mentre nasce;
 e non sorge il bel desire
 che per nascere e mancar.
 
 SCENA VI
 
 ALTISIDORA
 
 ALTISIDORA
255Da sì austera virtù tuo cor dissente,
 barbaro, e tu mi sdegni.
 Crudele iniquo amor, perché non torni
 a questo cor la libertà primiera?
 Che tirannia di nume!
260Odio mortal m’ispira
 per chi per me sospira;
 per chi mi sprezza poi,
 questo crudel mi dona
 tutti gl’incendi suoi;
265e l’alma oppressa e in tanto foco accesa
 l’antica pace di trovar dispera.
 Crudele iniquo amor, perché non torni
 a questo cor la libertà primiera?
 
    Quel cor, che non vogl’io,
270presso al mio cor si fa;
 quel che piacer mi dà
 fugge lontan da me.
 
    L’onda così del rio
 dietro a un’altr’onda va
275e ognor fuggendo sta
 l’onda che ha dietro a sé.
 
 SCENA VII
 
 DONNA RODRIGUES e GRULLO
 
 GRULLO
 Ma, signora Rodrigues, cosa fa?
 La corte è già partita di tre ore.
 DONNA RODRIGUES
 Che vuoi far, Grullo mio, la vecchia età
280si lascia in un cantone.
 GRULLO
                                            Come a dire?
 Che? Si mette fra il numer delle vecchie?
 DONNA RODRIGUES
 Quando gioca la donna al passatrenta,
 fratel caro, va male.
 GRULLO
                                       (Oh vecchia strega!
 È vicina a’ sessanta).
 DONNA RODRIGUES
                                         E chi sta in corte,
285se prudenza non ha di ceder loco
 a chi ne vien più fresca,
 si diventa la favola d’ognuno.
 GRULLO
 (Qui bisogna grattare. Ha de’ denari
 e questi fan per me).
 DONNA RODRIGUES
                                         Cosa dicevi?
 GRULLO
290Stavo facendo i conti da me stesso,
 come possibil fia
 ch’ella passi trent’anni. Mi perdoni.
 La faccia non gli mostra.
 DONNA RODRIGUES
                                               Anzi la faccia
 troppo è mancata da quattr’anni in poi
295che Altisidora è capitata in corte.
 Tu sai che ne’ disgusti non s’ingrassa.
 GRULLO
 La compatisco, povera signora.
 Veramente colei
 è un diavol maledetto dell’inferno.
 DONNA RODRIGUES
300Vedi, non passa giorno
 ch’io non ingolli de’ bocconi amari
 per sua cagion. Si tratta ch’è maligna
 quanto mai dir si può.
 GRULLO
                                            Non me lo dica,
 che ancor io la conosco e tanto basta;
305ma che vuol fare? È corte
 e per nostro destino
 tutti quanti ci siam per un zampino.
 
    Lei peraltro si consoli
 che, siccome ha de’ denari,
310senza far tanti lunari
 può trovarsi un buon marito
 e goder la libertà.
 
 DONNA RODRIGUES
 
    Il mio tempo è già finito,
 son trent’anni e ancor più là.
 
 GRULLO
 
315   Mi perdoni. Ella è nel fiore.
 
 DONNA RODRIGUES
 
 Ma son troppo consumata.
 
 GRULLO
 
    Mi perdoni, è delicata,
 bella fresca e rugiadosa,
 che mi par giusto una rosa.
320Prenda, prenda il mio consiglio.
 
 DONNA RODRIGUES
 
    Non lo lascio e non lo piglio...
 Ma la gente che dirà?
 
 GRULLO
 
    Se badar vuole alla gente,
 stiamo freschi in verità.
 
 Il fine dell’atto primo