I due dittatori, Vienna, van Ghelen, 1726

 ATTO SECONDO
 
 Accampamento de’ Romani col padiglione del dittatore.
 
 SCENA PRIMA
 
 QUINTO FABIO, OSIDIO con soldati
 
 QUINTO FABIO
320Quel fosco ciglio, quel tacer pensoso
 osservasti, o tribuno?
 OSIDIO
 Al nostro dittator s’alzi, o soldati,
 il militar suggesto e gli si appresti
 la curul sella. Il vidi, Fabio. (I soldati romani apparecchiano il tribunale, ove dovrà ascendere e sedere il dittatore)
 QUINTO FABIO
                                                     A pena
325mi volse un guardo, mi degnò di brevi
 parole. In lui non riconobbi il padre.
 OSIDIO
 Per Minucio pavento.
 QUINTO FABIO
 E n’hai ragion. Chiamar codardo e vile
 il cauto dittator, fra le coorti
330diffamarlo, schernirlo
 fu ’l minor degl’insulti.
 OSIDIO
 È soggetto chi impera a le loquaci
 dicerie di chi serve. Ognun si crede
 di aver più senno; e non riflette quanto
335sia periglioso il provocar chi ha in mano
 la vendetta e ’l gastigo.
 QUINTO FABIO
 Né questo forse è il suo più grave eccesso.
 Pugnò in onta al comando; e la negletta
 disciplina tu sai se importi a Roma
340che non passi in esempio.
 OSIDIO
 E nel prode Minucio
 rinnovarsi vedrem que’ scempi atroci
 de la feroce austerità primiera?
 Roma in oggi è più umana; e i Giuni, i Manli
345son barbare memorie.
 QUINTO FABIO
 Non han luogo in mio cor volgari affetti.
 Mi offese, è ver; pur sua salvezza io bramo;
 e in suo scampo mi udrai far voti al padre.
 OSIDIO
 Pietà degna di Fabio.
350In Minucio, anche reo, perder un tanto
 guerrier parrebbe invidia; e chi del fiero
 Annibale l’audacia in parte ha doma,
 ha l’amor de l’esercito e di Roma. (Osidio entra nel padiglione del dittatore)
 QUINTO FABIO
 
    Alma mia, più che da amore,
355da virtù prendi consiglio.
 
    Nel rival, quantunque ingiusto,
 a me iniquo e al genitore,
 si preservi a Roma un figlio.
 
 SCENA II
 
 FABIO MASSIMO, QUINTO FABIO, OSIDIO, soldati e littori escono dal padiglione
 
 OSIDIO
 Romani, il dittator. (Suonano timpani e trombe e i soldati si pongono in ordinanza)
 FABIO MASSIMO
                                       Duci, soldati,
360pugnò dunque Minucio?
 QUINTO FABIO
 Pugnò e vinse, o signor.
 FABIO MASSIMO
                                              Contra il divieto?
 QUINTO FABIO
 Fu colpevol l’ardir ma fortunato.
 OSIDIO
 Cinquemila africani
 giacciono, quai nel campo e quai nel vallo.
 FABIO MASSIMO
365E con lor quattromila anche de’ nostri.
 Se così vince Roma, ella è perduta.
 A me venga Minucio.
 OSIDIO
 In me avanza il timor. Tu resta, o Fabio,
 e cerca di placare il padre irato. (Parte)
 
 SCENA III
 
 FABIO MASSIMO e QUINTO FABIO
 
 QUINTO FABIO
370Se di ciò, che ti offende, a parte io sia,
 creder lo puoi, non men signor che padre.
 Lo vuol sangue e ragion. Son figlio e servo.
 Ma di servo e di figlio al zelo ancora
 favellar si conceda.
 FABIO MASSIMO
                                     E che puoi dirmi?
 QUINTO FABIO
375Che se a punir di morte
 pensi il reo vincitor, l’odio avrai tutto
 del campo.
 FABIO MASSIMO
                       E a nol punir, ne avrò il disprezzo.
 QUINTO FABIO
 Che puoi tentar, se de’ soldati a l’uopo
 l’amor ti venga meno?
 FABIO MASSIMO
                                            E se il rispetto,
380che comandar?
 QUINTO FABIO
                               Ripiglieranno i Peni
 più ardir dal suo gastigo.
 FABIO MASSIMO
 L’ozio nostro finor fu dei trionfi
 di Annibale lo scoglio.
 Lo stanchiam col fuggirlo. Ei nulla cerca,
385più che i nostri cimenti.
 QUINTO FABIO
 Minucio...
 FABIO MASSIMO
                      Pervertì l’util consiglio;
 e ’l lasciarlo impunito
 me in dispregio porria, Roma in periglio.
 
    Troppo giovane tu sei.
390Son colpevoli trofei
 quei che lodi e che difendi.
 
    Di un roman sta il primo onore
 ne l’ossequio e non nel brando;
 e de l’arte del comando
395tu assai parli e poco intendi. (Fabio Massimo va a sedere sul tribunale preparatogli)
 
 SCENA IV
 
 MINUCIO seguito da’ soldati, OSIDIO e i suddetti.
 
 OSIDIO
 Piega il feroce cor. (In lontano a Minucio)
 MINUCIO
                                     Ch’io scenda ai prieghi? (In lontano a Osidio)
 No. Qual de’ Peni a fronte,
 sia in faccia al dittator Minucio invitto. (Si avanza)
 OSIDIO
 (Crescerà per audacia il suo delitto).
 MINUCIO
400Massimo, dittator, che là ti assidi
 a giudicarmi e a condannarmi, ho vinto.
 Vanto il mio error; non lo discolpo. Verghe
 vengano e scuri; eccoti dorso e capo.
 Ne la tua dittatura acciar romano
405va di sangue africano
 digiuno ancor. Cominci
 da quel di un cittadino; e Roma intenda
 che né tu vincer vuoi né ch’altri vinca.
 Chiuditi pur nel vallo; occupa pure
410l’erto de’ monti. Se sconfitto il Peno
 non fia dagli ozi tuoi, s’arso e distrutto
 grida invano alzerà l’ausonio suolo,
 basterà ai fasti tuoi Minucio solo.
 FABIO MASSIMO
 Chi già del dittator sprezzò la legge,
415strano non è ch’ora n’insulti il grado.
 D’uno in altro delitto
 s’apre facile il varco a cor superbo.
 Tu vanti i tuoi trofei ma rei d’impero
 negletto, ma funesti.
420Pena al tuo error si deve; e tal l’avrai
 che farà sbigottir la tua alterezza.
 A l’ossequio in mancar fosti spergiuro
 né sapendo ubbidir, demeritasti
 dal grado ch’io ti diedi.
425Scingiti e sago e brando e l’armi e tutti
 de la milizia gli ornamenti. Il nome
 tuo si cancelli. Esci del campo. A Roma
 ritorna; e quivi ostenta
 le tue vittorie, i miei riposi infama;
430e là più cresca al suono
 de le ignominie mie l’alta tua fama.
 OSIDIO
 A un vincitor qual pena!
 QUINTO FABIO
 Pallido, sbigottito e fiso a terra
 le luci... Altro egli sembra
435da sé poc’anzi minaccioso, invitto.
 FABIO MASSIMO
 Facciasi; e ’l banditor legga l’editto. (Sale il banditore su la tribuna e riceve dalle mani del dittatore l’editto; ma nell’atto del leggerlo, sopraviene Valerio, seguito da ventiquattro littori, e tiene in mano altro decreto del popolo romano)
 
 SCENA V
 
 VALERIO con ventiquattro littori e i suddetti
 
 VALERIO
 Altro editto che questo
 del popolo roman qui non ha luogo.
 FABIO MASSIMO
 Che fia? Valerio, altri littori al campo? (Levandosi)
440Altro impero che ’l mio? Non è più Fabio
 qui dittatore?
 VALERIO
                             Il dittator tu sei.
 Ma leggi. (Dà il plebiscito a Fabio Massimo)
 MINUCIO
                     (Ah! Duran anco i rischi miei).
 FABIO MASSIMO
 «I tribuni del popolo romano. (Legge in piedi)
 Tra Massimo sia pari e tra Minucio
445grado, titolo, impero. Ambo la guerra
 reggano dittatori.
 Abbia i fasci ciascuno, abbia i littori».
 Dei! La patria vuol perdersi. (Siede pensoso)
 MINUCIO
                                                       La patria
 riconosce il valor. Fabio era ingiusto.
 OSIDIO
450Due dittatori!
 QUINTO FABIO
                             Al genitor tal onta?
 FABIO MASSIMO
 (Massimo, è tempo d’usar senno ed arte.
 Autorità ne agguaglia,
 ne distingua virtude).
 MINUCIO
                                           Olà, un curule
 seggio anche a me.
 FABIO MASSIMO
                                     Vieni, o Minucio, e prendi
455gli auspici del comando, ove l’altrui
 aspro, ma retto, a giudicarti ascese. (Vien portata per Minucio altra sedia curule ed egli vi si asside a canto di Fabio Massimo)
 VALERIO
 Varian così di umana sorte i giri.
 MINUCIO
 Il passato si obblii. Quello, che a fronte
 nemico abbiam, ne vieta,
460non che un lungo consiglio, un ozio breve.
 FABIO MASSIMO
 A tuo piacer. La via proponi e ’l modo.
 MINUCIO
 Uno o più giorni alternamente in Fabio
 sia ’l sovrano comando; e per eguale
 intervallo in Minucio.
 FABIO MASSIMO
465Né men per un momento
 servirò a le tue leggi. A me diviso
 vien l’impero, non tolto.
 Quattro abbiam sotto l’armi
 legioni. Partiscansi egualmente.
470Due tu ne reggi, io due. Ne’ tuoi consigli
 né di onor né di biasmo aver vo’ parte.
 MINUCIO
 Piacemi; e ’l nome lor chiuso ne l’urna,
 ne decida la sorte.
 QUINTO FABIO
 A me, cui de la prima
475commesso è ’l tribunato, ah! si assicuri
 militar sotto il padre.
 MINUCIO
 L’approveran gli dii, se giusto è ’l voto. (Vien recata l’urna, ove si pongono i nomi delle quattro legioni, due de’ quali n’estrae Fabio Massimo e due Minucio. Intanto Quinto Fabio dice tra sé)
 QUINTO FABIO
 
    Fammi, empia sorte,
 il mal che puoi;
 
480   sarò più forte
 degli odi tuoi.
 
 MINUCIO
 In me, Osidio, in me, Fabio, il duce avrete.
 QUINTO FABIO
 Sinistri fati!
 FABIO MASSIMO
                          È indifferente, o figlio, (Levandosi e fa Minucio lo stesso)
 a chi ben sa ubbidir, l’un duce o l’altro.
 MINUCIO
485E so a valor dar ricompensa anch’io.
 QUINTO FABIO
 (Da un tal rival, che sperar puoi, cor mio?) (Parte. I due dittatori scendono dal suggesto)
 MINUCIO
 Massimo, addio. Vedremo
 se Annibale sedendo
 vincasi o combattendo.
 FABIO MASSIMO
490Un buon imperator guidar si lascia
 da mente e da ragion, non da fortuna.
 MINUCIO
 Lodo cautela anch’io, non timidezza.
 FABIO MASSIMO
 Chi per la patria teme,
 teme senza vergogna.
 MINUCIO
                                          E Roma e ’l campo
495sgridan la tua lentezza.
 FABIO MASSIMO
                                            Ingiuria al saggio
 non fan garrule voci; e l’alte imprese
 guasta temerità, matura il tempo.
 MINUCIO
 Ma che dirai, quand’io di nuovi allori
 getti fasci al tuo piede?
 FABIO MASSIMO
500Spesso, a chi assai presume, onta succede.
 MINUCIO
 
    Segui pur tardi consigli.
 
 FABIO MASSIMO
 
 Tenta pur ciechi perigli.
 
 MINUCIO
 
 Nome sempre avrai di vile.
 
 FABIO MASSIMO
 
 Scorno e danno alfin ne avrai.
 
 MINUCIO
 
505   Fu lentezza
 che alzò Roma a sua grandezza?
 O ardir pronto e cor virile?
 
 FABIO MASSIMO
 
    Se a la Trebbia e al Trasimeno
 si ardia meno,
510Roma or fora in tanti guai? (Partendo da varie parti)
 
 SCENA VI
 
 VALERIO e OSIDIO
 
 VALERIO
 Osidio, a che sì ratto a me t’involi?
 OSIDIO
 Del dittator segue il tribuno i passi.
 VALERIO
 O più tosto ad Arisbe amor ti chiama.
 OSIDIO
 Arisbe è una crudel. Guai per chi l’ama.
 VALERIO
515Un lontano rival ti fu opportuno.
 OSIDIO
 Basta ad esserle in odio esser romano.
 VALERIO
 Pur tua sorte tentasti.
 OSIDIO
                                          E fui mal visto.
 VALERIO
 Tenterò anch’io la mia.
 OSIDIO
                                             Ne avrai ripulse.
 VALERIO
 La più schifa beltà fa degli amanti
520ciò che fa de’ vestiti;
 lascia quel, sprezza questo, un poi ne sceglie.
 OSIDIO
 Tu non conosci ancor l’alma africana.
 VALERIO
 Ti preme spaventar gli affetti miei.
 OSIDIO
 Vedi. Ella è Arisbe; e tu roman pur sei.
 
 SCENA VII
 
 ARISBE e i suddetti
 
 ARISBE
525Sì. Valerio è romano;
 ma distinguerlo Arisbe
 sa da Osidio e dagli altri. A te si volle (A Valerio)
 defraudar tua ragione.
 Tu non eri nel campo. Io la difesi.
530Non è così? (Ad Osidio)
 OSIDIO
                         Nol so negar; né ’l festi
 spinta da facil genio
 ma per sparger tra noi discordie e risse;
 e Minucio presente, Arisbe il disse. (A Valerio)
 VALERIO
 Mi fu giusta però, se non amante. (Ad Osidio)
 ARISBE
535In faccia al campo io non dovea tal dirmi. (A Valerio)
 Era questo un arcano (Ad Osidio)
 ch’io serbava a Valerio.
 OSIDIO
                                             Ami il rivale?
 Per qual merto maggior? Volevi affetto?
 Ossequio? Fedeltà? Da me l’avesti.
 ARISBE
540È ver; ma agli occhi miei tu non piacesti.
 (Comincia il mio trionfo).
 OSIDIO
                                                  Ingiusta sei.
 ARISBE
 Perché? Forse beltade
 è tenuta ad amar ciascun che l’ami?
 Perché più degno sei? Se tal ti credi
545mal giudichi di te, peggio degli altri.
 Ma sia anche ver; nel tribunal d’amore
 non si consiglia il merto
 ma il cor. Chi piace più sempre è ’l migliore.
 VALERIO
 Ben ragiona.
 OSIDIO
                           Eh! Valerio,
550non tanto insuperbir. Di me sprezzato,
 tu più misero sei, perché ingannato.
 
    Quando l’amor favella
 sul labbro d’una bella
 per fare altrui dispetto,
555nol creder vero amor.
 
    Egli è con chi disprezza
 un’arte di fierezza;
 ed è con chi lusinga
 un vezzo ingannator.
 
 SCENA VIII
 
 ARISBE e VALERIO
 
 VALERIO
560S’ei rival non mi fosse, andrian già sparsi
 di amaro i miei contenti.
 ARISBE
 D’acuta vista è gelosia.
 VALERIO
                                            Vorresti
 ch’io credessi al rival, più che ad Arisbe?
 ARISBE
 Ma la punica fede è ognor sospetta.
 VALERIO
565In anima gentil non entra inganno.
 ARISBE
 Di Asdrubale son figlia e in odio ho Roma.
 VALERIO
 O diverso dal cor parlò il tuo labbro
 o ne l’odio comun me non confondi.
 ARISBE
 Forse torna in mio pro ch’io ti lusinghi.
 VALERIO
570Durerà con l’inganno il mio piacere;
 e godrò poi del tuo col disinganno.
 ARISBE
 Non ti credea sì generoso; e sento
 che si avanzano in me que’ primi impulsi
 del genio. Un cor, che tanto
575si fida in me, più non saprei tradire.
 Mi sarai caro; e per amarti appieno
 di vincer studierò le ripugnanze
 de la patria e del sangue.
 VALERIO
 M’ami, se ’l vuoi. L’amore
580col disio facilmente s’accompagna.
 ARISBE
 Restami un sol timore.
 VALERIO
                                            E qual?
 ARISBE
                                                             Vedermi
 spoglia ancora indecisa.
 VALERIO
 Ne l’amistà del dittator confido
 e mi assiste ragion.
 ARISBE
                                      Se il dittatore
585t’è ingiusto, hai spada al fianco e ardir nel core.
 VALERIO
 
    So che esser suole scaltro e bugiardo,
 di chi è più bella, cor, labbro e sguardo;
 ma non so credere
 in sì alma nobile sì vil pensier.
 
590   E quando ancora fosse in te inganno,
 voglio più tosto soffrirne il danno
 che farti ingiuria col mio temer.
 
 SCENA IX
 
 ARISBE
 
 ARISBE
 Un trattar sì sincero
 quasi potria... Che dir vorresti, Arisbe?
595Se Valerio è romano, abbia egli ancora
 con tutto l’odio mio tutto il mio scherno.
 Serva a la mia vendetta
 anche la sua virtù. Nel roman campo
 faccia i mali che può la scaltra Arisbe.
600Con l’amor de la patria
 difendermi saprò da quel rimorso
 che accompagna la frode.
 Un deluso nemico è sempre lode.
 
    Amor, che vedi e sai gli oltraggi tuoi,
605so che mi attenderai,
 per vendicarti un dì, nascoso al varco.
 
    Tormi potrai bensì la libertà;
 ma pur mi resterà
 l’onor di que’ trofei
610su cui ti spunto i dardi e frango l’arco.
 
 Fine dell’atto secondo