Gianguir, Venezia, Marciana, autografo

 ATTO QUINTO
 
 Cortile del palazzo imperiale.
 
 SCENA PRIMA
 
 ZAMA e ASAF con la sciabla alla mano, da varie parti
 
 ASAF
1190Vinto han gli avversi dii. Sconfitto è ’l campo.
 ZAMA
 Cieli! E ’l sultan?
 ASAF
                                  Prigione.
 ZAMA
 E tu in Agra?
 ASAF
                            Rapito
 da la turba fugace...
 ZAMA
                                       Ah! Tu dovevi
 difenderlo o morire.
 ASAF
1195Feci il dover...
 ZAMA
                             Si loda
 l’opra dal fin. Favor Grado, favor, grandezza,
 Alinda, onor, tutto in Gianguir perdesti.
 Che fai di quell’acciar che da la in man sì terso
 da la pugna riporti?
1200Volgilo in te. Fa’ un degno colpo alfine;
 e tu, che non sapesti
 vincer, sappji morir.
 ASAF
                                         Torsi di vita
 è furore o viltà. Vivendo, posso
 esser utile al regno, a te, al sultano a tutti.
1205Agra difenderò; né i mali miei
 m’hanno oppresso così...
 ZAMA
                                               Va’. Un vil tu sei.
 ASAF
 
    Vile a me? Ma non offende
 una donna imbelle che non sa
 qual sia ’l merto del valor.
 
1210   Che se osasse un reo coraggio
 rinfacciarmi di viltà,
 l’insolenza de l’oltraggio
 punirei dentro il suo cor.
 
 SCENA II
 
 ZAMA
 
 ZAMA
 In ceppi è ’l mio signor, forse anch’estinto.
1215O rei destini! O neghittosi dei
 che tanta iniquità... Ma il duol delira.
 Zama non si conosce e vuol vostr’ira.
 
    Voglio morir, s’è morto
 l’unico mio conforto,
1220l’anima del mio cor.
 
 SCENA III
 
 GIANGUIR con guardie e ZAMA
 
 GIANGUIR
 Vincitor io ritorno e tu sì mesta?
 ZAMA
 O dio!... Sposo... Gianguir... Quasi la gioia
 fa ciò che il duol non valse...
 GIANGUIR
 S’io tardava, il facea. Su. Cor ripiglia.
 ZAMA
1225Ma come? Io ti piangea. Tu in libertade?
 Tu vincitor? Qual dio? Qual braccio il fece?
 GIANGUIR
 Quello onde men l’attesi. Il generoso
 Mahobet. O seguiti
 avessi i tuoi consigli! Erano in fuga
1230mie schiere, io prigioniero tra catene. Ecco il gran duce
 d’Agra sortir. Stuol forte il segue; e tosto
 cangia faccia il conflitto, il fier Cosrovio
 vinto e prigion, me sciolto e trionfante.
 Cento de’ più felloni
1235pagar già col lor capo il fio di tanta
 malvagità. Chi gli ha sedotti attenda
 destino egual. Re non mi volle e padre.
 Giudice m’abbia.
 ZAMA
                                   Se negli alti arcani
 di tua mente sovrana aver può parte
1240zelo di fida moglie, ella si ascolti.
 GIANGUIR
 So il tuo senno e ’l tuo amor. Ma un vil perdono
 non consigliarmi.
 ZAMA
                                   Ah! Questo
 degno è di te.
 GIANGUIR
                            Quel perfido n’è indegno.
 ZAMA
 Offeso più, tanto più sii pietoso.
 GIANGUIR
1245Necessaria è sua morte al mio riposo.
 ZAMA
 Più in quel sangue ardaria l’odio vassallo.
 GIANGUIR
 Recider membro putrido è salute.
 ZAMA
 In vital sangue parte non si spinge il ferro.
 ZAMA
 Cosrovio è alfin tuo figlio.
 GIANGUIR
                                                 E di ubbidirmi
 maggior debito avea, perché mio figlio.
 ZAMA
 Se fra i delitti suoi conti Miraca...
 GIANGUIR
 Miraca, Asaf, il padre, il re e cent’altre
1250sue colpe e l’armi e ’l sangue e le ritorte.
 Mi sprezzò. Mi fu iniquo; e avrà la morte.
 ZAMA
 
    Benché sia donna e moglie,
 credi ai consigli miei.
 Tu sol l’oggetto sei
1255di quel sincero amor che parla in me.
 
    Me non invidia accende,
 non cupidigia o spene
 ma sol la gloria e ’l bene
 di te, mio sposo e re.
 
 SCENA IV
 
 MAHOBET GIANGUIR e poi MAHOBET con guardie in lontano
 
 GIANGUIR
1260La donna per instinto ama i soavi
 consigli, odia i severi;
 e non sa che del trono
 prima base è ’l timor.
 MAHOBET
                                          Là vi arrestate (Alle guardie in lontano)
 col prigionier; né sia chi avanzi il passo
1265sino ad altro comando. (Si avanza verso il re)
 GIANGUIR
 (Qui ’l duce. Rimembrando
 i torti e i benefici, io n’ho rossore).
 MAHOBET
 Se colui che poc’anzi discacciasti,
 qual traditor, dal tuo reale aspetto...
 GIANGUIR
1270Deh! Mahobet, compisca
 tua virtù il suo trionfo; e del passato
 non mi far sovvenir che in quella parte,
 ove tanto ti debbo.
 MAHOBET
                                     Io quello feci
 ch’era al mio re tenuto e a l’onor mio.
 GIANGUIR
1275Ciò ch’io pur debbo ad adempierò. Ripiglia
 e grado e stima e amor.
 MAHOBET
                                              Concedi ancora
 ch’io ripigli in favor di un infelice
 amicizia e pietà.
 GIANGUIR
                                 Che? Tu in difesa
 mi parleresti ancor di quel parleresti ribel mi parleresti ancora?
1280In esempio al Mogol, giust’è ch’ei mora.
 MAHOBET
 Esempio nel tuo regno e nel tuo sangue
 straniero e periglioso.
 Tacerò che clemenza
 è la virtù dei re, che su la preda
1285infieriscon le tigri e al generoso
 lion basta aver vinto.
 Dirò sol che in te stesso
 tu rifletta, o sultan. Tu fosti, e forse
 con pretesto minor, figlio ribello.
1290Cosrovio t’imitò. Tu imita il padre.
 Da’ il perdon, se l’avesti.
 GIANGUIR
 L’ebbi ma ravveduto, umil, prostrato.
 Non così l’empio. In rabbia ed in orgoglio
 vinto imperversa; e la sua morte io voglio.
 MAHOBET
1295E sarà questa morte
 d’altre stragi feconda. Io te l’annunzio,
 non ch’io pensi d’alzar di nuovo il braccio
 ma perché mille spade
 sento fischiare in [illeggibile] alto orribil suono
1300intorno al tronco busto e al regio trono.
 GIANGUIR
 S’ei non cade al mio piè, re più non sono.
 MAHOBET
 
    Mora, se vuoi così, mora il tuo figlio;
 ma un dì lagrime dal ciglio
 il dolor ti spremerà.
 
1305   Tardo inutil pentimento!
 cui sarà di più tormento
 l’affrettata crudeltà.
 
 SCENA V
 
 GIANGUIR, poi COSROVIO
 
 GIANGUIR
 Guardie, a me il regal seggio; (Partono due guardie)
 e al troppo reo Cosrovio omai preceda
1310il funesto apparato. (Vien recato a Gianguir il seggio imperiale)
 (Tua dignità sostieni, o re oltraggiato). (Siede. Dopo breve lugubre sinfonia, precedono Cosrovio le guardie, su la cima delle cui aste stan fitte le teste dei decapitati ribelli. Per mezzo queste, divise in due file, Cosrovio a lento passo si avanza, riguardandone or l’una, or l’altra e tacendo per qualche spazio di tempo)
 COSROVIO
 O a’ miei lumi!... O al mio core...
 funesto oggetto!... Ah! Quali
 periste, o fidi!... E tu, Jasingo, ancora?
1315Misero! Io ti serbava altra mercede.
 GIANGUIR
 (Cominci a sbigottir l’alma orgogliosa). (Cosrovio, veduto il padre, si avanza con impeto verso lui)
 COSROVIO
 Barbaro, cui non costa
 tanta strage che un cenno,
 del Mogol tu sei ’l re? Tu l’inumano
1320distruggitor ne sei.
 Tanto non v’infierir Persi né Sciti
 qual tu che di cotanti e de’ più prodi
 suoi guerrier lo spogliasti.
 GIANGUIR
                                                  Io? No. Costoro
 erano a me i più fidi, a me i più cari;
1325né stanco era il mio amor. Tu gli hai perduti.
 La tua malvagità fe’ la lor colpa
 e la loro sciagura.
 COSROVIO
                                   E i loro mali
 vendica in me. Da’ il colmo a tua fierezza.
 GIANGUIR
 Giust’è. Sol manca a questa
1330tragica pompa...
 COSROVIO
                                 Intendo. La mia testa.
 GIANGUIR
 Sì. Il più nobil suo fregio.
 Tua perfidia ed orgogl e alterezza abbian quel fine
 che macchinasti. Olà. Soldati. (Le guardie si accostano)
 COSROVIO
                                                         E sei
 tu ’l figlio di Akebar? N’hai la corona
1335ma non il cor. Di fellonia tu fosti
 nel sangue di Timur il primo esempio;
 e primo anche il sarai di crudeltade.
 GIANGUIR
 Partite; e de l’atroce (Le guardie tutte si ritirano in lontano)
 colpo non sia che spettatore il sole,
1340se pure anch’egli per orror nol fugga. (Si leva e snuda la sciabla)
 COSROVIO
 O fera, o mostro, o non mai padre, il mio
 carnefice già scorgo.
 Morte che mi atterrisse
 non v’è v’era. La trovasti. O me reo sempre,
1345e nascendo tua prole e che morendo
 non purgai prima di tal furia il mondo.
 GIANGUIR
 V’è tempo ancor. Prendi, empio figlio; e sazia (Gittandola a’ piè di Cosrovio)
 tua rabbia. Al trono ascendi
 sul cadavere mio. Troncane il capo.
1350Strappane la corona
 che usurpo; e del mio sangue
 stillante ancora, a te ne cingi il crine.
 COSROVIO
 (Giusto ciel! Qual orror!)
 GIANGUIR
                                                Che fai? Che tardi?
 Tu calpesti le leggi e la natura.
 In te tace virtù, spenta è pietade.
1355Son lontani i custodi.
 Soli qui siam. Sicuro è ’l tuo delitto.
 Chi ti ritien? Ferisci. Io son tuo padre.
 COSROVIO
 Ah! Troppo offeso e troppo (S’inginocchia)
 buon padre! Eccoti al piede
1360il troppo altero, il troppo reo Cosrovio.
 Ei non cerca pietà. Vuol pena e morte
 che lo tolga al suo orror. Ripiglia, o sire, (Raccoglie di terra la sciabla e la porge a Gianguir)
 il tuo ferro. In me il vibra
 e prevenga un mio tuo colpo e previeni un mio colpo
1365che esser deve opra tua. D’essermi padre
 scordati alfine. Io non son più tuo figlio.
 GIANGUIR
 (Le tue lagrime ascondi, o debol ciglio). (Volgesi all’altra parte, non vedendo Semira che sopraviene)
 
 SCENA VI
 
 SEMIRA e i suddetti
 
 SEMIRA
 (Che veggo? Il figlio a’ piè del padre? E in mano
 al padre il ferro ignudo?)
1370Cosrovio, a qual viltade indur (Alla voce di Alinda, Gianguir rivolta la faccia e Cosrovio si leva)
 indur ti lasci da un timor di morte?
 Supplice reo fa gloria ad un tiranno,
 pietà non mai. Sostieni
 con virtù la fortezza il destin. Son teco anch’io.
1375Sì. Qui vengo, o sultan, non per salvarlo,
 me di tutti aggravando i falli sui
 che miei pur son, ma per morir con lui.
 COSROVIO
 Che festi, o dio! Semira? Ed in qual punto
 giugnesti? Io chiedea morte; e di riposo
1380m’era il lasciarti in vita.
 SEMIRA
 Era egli giusto? A chi ben ama, i mali
 son comuni ed i beni.
 Gianguir, l’alma di lui con l’alma mia
 odio congiunse e amore.
1385Non le divida il tuo furor. Di un figlio
 feci un ribel. Se vivo,
 ti farò altri nemici. Io ne ho ’l potere.
 Guai per te, se mi lasci un breve instante,
 in cui dover mi sproni,
1390oltre del padre, a vendicar l’amante.
 COSROVIO
 Non l’ascoltar...
 GIANGUIR
                               Troppo anche udii. Contenti
 saran, perfida coppia, i vostri voti.
 Ne la reggia maggior tratti a l’aspetto
 d’altro giudice sien. Comune intanto
1395e rimorso vi lascio e tema e pianto.
 
    Un padre che condanni è troppo barbaro,
 che assolva è troppo debole.
 Un altro, anime ree, giudice avrete.
 
    Ma tal che in faccia a lui, per quanto siate
1400fiere, ostinate e perfide,
 confondere e tremar vi sentirete.
 
 SCENA VII
 
 SEMIRA e COSROVIO con guardie
 
 COSROVIO
 Semira, anima mia, son questi i nostri
 trofei? Queste le nozze? E questo il regno?
 SEMIRA
 Il destin non ne volle appien felici.
1405Ma temé o pur non seppe
 disgiugnerne il crudel. Questa era morte.
 COSROVIO
 La morte non avria con che atterrirmi,
 te salva, o del mio cor parte migliore.
 SEMIRA
 Lungi da te un disio che mi vorrebbe
1410più infelice o men forte o meno amante.
 COSROVIO
 Deh! Chi avrà mai sì di macigno il petto,
 cui non prenda pietà di sì bell’alma?
 SEMIRA
 Al giudice che avrem, farà più senso
 versar sangue real. Chi sa? Vi è ancora
1415scampo per te. Vi è un imeneo. Vi è Zama.
 Verrà tutta a sfogarsi in me la pena.
 COSROVIO
 No. Mille morti pria. Son di Semira.
 SEMIRA
 E di Cosrovio anch’io.
 A DUE
 Sia questo il nostro fato,
1420viver o morir teco, idolo mio.
 
    Placide a miglior vita
 passin nostr’alme fide.
 Morte non le divide;
 né a pianger resta amor.
 
 SEMIRA
 
1425   Ma se ne dividesse
 rabbia di avversa sorte,
 questa sarebbe morte,
 questo saria dolor.
 
 Salone imperiale con ricco trono.
 
 SCENA VIII
 
 GIANGUIR, ZAMA, ASAF e MAHOBET
 
 GIANGUIR
 A te, cui l’alto senno,
1430più che l’alma beltà, rese a me cara,
 lascio il poter sovra il destin de’ rei.
 Pesa i tuoi torti e i miei.
 Padre e re, tal son io che in me parrebbe
 o codardo o tiranna,
1435nel lor fato il perdono o la condanna.
 ZAMA
 Signor, nel gran giudicio, a cui mi eleggi,
 avrò a cor la tua pace e la mia gloria. (Gianguir sale sopra il trono, servito da Mahobet)
 ASAF
 Per Semira, o germana, umil ti priego.
 Ella è amabile oggetto a’ miei pensieri.
 ZAMA
1440Giusta esser deggio e l’amor tuo disperi.
 MAHOBET
 O del Mogol eccelsa regnatrice,
 serba al trono l’erede, al padre il figlio.
 ZAMA
 Già presi da equità norma e consiglio. (Ascende anch’essa sul trono, servita da Asaf)
 MAHOBET
 (Implacabile è sdegno in donna offesa).
 ASAF
1445(Semira è infida e pur ne piango il fato).
 
 SCENA ULTIMA
 
 COSROVIO e SEMIRA con guardie e i sopradetti
 
 SEMIRA
 Poco a soffrir ne resta. Estremo male
 questo ha di ben, che è breve.
 Vincer non puossi, Totollerar si deve. (Si avanzano verso il trono. Qui cominci a calar dall’alto e a dilatarsi all’intorno una densa oscura nuvolosa che, in gran globo aggirandosi, venga ad ingombrare tutto il prospetto della scena . A poco a poco dipoi essa dileguandosi, darà luogo alla veduta di luminosa macchina che scende pure dall’alto, rappresentante la reggia del Sole, deità adorata dagl’Indiani, col gran circolo del zodiaco all’intorno e altri simboli di essa deità)
 GIANGUIR
 Alza gli occhi, o rea coppia, e meco iln trono
1450vedi il giudice tuo. Spoglio me stesso
 del mio poter. Tutto il depongo in lei,
 per cui cotanto avesti odio e disprezzo.
 Ella vendicherà figlia e fratello
 e marito e sé stessa; e se mai pena
1455trovar saprà che i vostri falli adegui,
 fin la più atroce sembrerà pietosa.
 SEMIRA
 Qualunque sia, già siam disposti. Morte
 di tutto è ’l fin.
 COSROVIO
                              Sultana,
 dir ben puoi che sia giunto
1460al sommo di sua gloria
 quel genio fortunato, onde hai l’impero
 sul maggior de’ monarchi. Ecco in tua mano
 il destin la sorte di due vite, a dar le leggi
 nate, non a soffrirle. Or puoi col manto
1465ricoprir di giustizia ira e vendetta.
 SEMIRA
 Cosrovio...
 COSROVIO
                       E anch’io potrei
 da un tuoa sentenza a quella
 degli uomini appellarmi e degli dei.
 Ma questa mel divieta
1470sola di me regina. Io soffro e taccio.
 ZAMA
 Se dal vostro e mio re portata al trono,
 non avessi già appreso
 a regnar su me stessa, ostri e tesori invan per gli ostri
 mal mi distinguevi da la turba più vile bassa andrei distinta
 dal più ignobile volgo andrei distinta.
1475Voi per me non nudriste
 che dispregio e livor. Rispetto e stima
 non mi ottenne grandezza.
 Me l’acquisti virtù. Scordo le offese;
 e quanto o opraste iniqui,
1480tu del tuo re, tu del tuo padre in onta,
 vuol quel gran cor ch’io vi rimetta e doni,
 a te, che genuflesso
 scorse vide a’ suoi piedi, e a te, che spinta a l’ire
 fosti dal duol dei già sofferti danni.
1485E accioché al vostro amor nulla più turbi
 le speranze e i riposi,
 l’un de l’altro godete, amanti e sposi. (Scendono i due sultani dal trono)
 SEMIRA
 Da sì eccelsa bontà sorpresi e vinti,
 condanniam quei’ rancori
1490che giusti ne parean. Non l’avria fatto
 la pena e ’l fa il perdono.
 O magnanima donna, o nata al trono.
 COSROVIO
 Io che dirò, gran padre? Io, che, regina?
 Grazia trovar dove attendea gastigo?
1495O clemenza che colma
 me più di orror, voi più di gloria!
 GIANGUIR
                                                               Figlio,
 sii in avvenir più cauto.
 Doma fasto, ira vinci; e ben ti guarda
 da ricader per colpa in nuovi mali.
1500Abbiano in te, Semira,
 più poter le recenti
 che le antiche memorie; e in voi, miei fidi,
 cessi ogni affanno; e qual là su [illeggibile]d scorgeste
 a scure e dense nubi
1505succeder poi di di core, di miglior luce adorno il giorno; adorno,
 de l’India il maggior nume, autor del giorno,
 de l’India il maggior nume, autor del giorno,
 or godete in mirar che spenta alfine
 ogni torbida face
 riede a noi lieto amore e stabil pace.
 COSROVIO
1510Per quai vicende casi a tanto sono vicende a tanto ben siam giunti!
 SEMIRA
 Piacque agli dii nostra costanza e fede.
 MAHOBET
 Quanto di vostra sorte esulto anch’io.
 ASAF
 (Datti omai pace. Altro non puoi, cor mio).
 GIANGUIR
 Con la pompa si onori
1515un così fausto giorno, in cui di tanti
 nemici trionfai.
 TUTTI
 Più bel giorno al Mogol non sorse mai.
 CORO
 
    Per man de la gloria
 nei fasti si scriva
1520la lieta memoria
 di un dì sì beato.
 
    E quei che verranno
 intendan che al regno
 più eccelso monarca più degno
1525dal ciel non fu dato. (Gianguir e Zama vanno a sedere sul trono; e sotto loro pur siedono prima Cosrovio e Semira e poi Mahobet ed Asaf. Scendono intanto dalla macchina i seguaci del Sole, divisi in quattro squadriglie, le quali figurano ne’ loro abiti e movimenti le quattro stagioni dell’anno, e intrecciano fra di loro una danza allegra e bizzarra)
 
 Fine del dramma
 
 LICENZA
 
 Ma chi d’agili vanni
 mi dà il soccorso, onde da l’Indo a l’Istro
 prenda volo sublime e là col canto
 onori un più bel giorno, in cui di Carlo
1530si applaude al nome augusto?
 Gli ho da gloria e da fama. Eccomi a vista
 del maggior de’ monarchi. Il miro e quanto
 con l’alta maestà l’alme atterrisce,
 con l’amabil bontà tanto le affida.
1535Provvido invitto Carlo,
 tu la pace difendi la pace
 e la guerra spaventi, onde anche i tuoi
 faticosi riposi
 sono per te trionfi
1540e salute per noi.
 Ma dove m’alzo? Ove mi spingo? Assai
 dissi in voler. Meno è quant’oso; e come
 scorge che è l’ocean quell’occhio istesso
 che non sa quanto ei sia, così la mente,
1545che a quant’è il tuo gran cor giugner non puote,
 sa però che è ’l tuo core
 oggetto de l’ossequio e de l’amore.
 
    Sì, ad amarti, ad onorarti
 sforzi l’alme, o gran regnante,
1550nel cui cor, nel cui sembiante
 stanno amore e maestà.
 
    Tu sì amabile ne reggi
 che godiam ne le tue leggi
 quel più dolce e quel più caro
1555che fa idea di libertà.