Meride e Selinunte, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO QUARTO
 
 Campagna. Dall’una parte, le mura di Siracusa, in qualche luogo mezzo rovinate dalla guerra e con ponte levatoio calato alla porta di essa. Dall’altra, veduta in lontano del palazzo di Ericlea ne’ sobborghi della città.
 
 SCENA PRIMA
 
 NICANDRO ed ARETA
 
 NICANDRO
 Tanto affanno, perché?
 ARETA
                                             Meride salvo,
 son traditi i miei voti
1065né vendicato è il padre.
 NICANDRO
 Di Selinunte il sangue...
 ARETA
 Con un sangue innocente
 non si placa ombra offesa.
 Meride è l’uccisor. Meride io voglio.
 NICANDRO
1070Il vuoi? Fa’ che al coltello
 la vittima ritorni. Ella è fuggita.
 Ma cadrà la rimasta.
 ARETA
 Vero non fia. Non amo,
 per parer vendicata, esser iniqua.
1075L’odio non cambia oggetto.
 L’ha sol nel suo nimico; e s’egli fosse
 senza legge e ragion, saria furore.
 NICANDRO
 Quanto è ingegnoso, allor che teme, amore!
 ARETA
 Teme, sì, teme il mio, ch’è amor di figlia,
1080perder la sua vendetta.
 NICANDRO
                                             Eh! Che sovente
 fiamma d’ira è pretesto ad altra fiamma.
 ARETA
 Di che mi accusi?
 NICANDRO
                                   Areta,
 conosco il mio rival. Mal lo tacesti,
 nel tuo dolor guardo geloso il vede.
 ARETA
1085Sospetto è cieco e gelosia travede.
 NICANDRO
 T’infingi? Ov’è la tua
 sincerità di core? I patti, i vanti
 già ponesti in obblio?
 ARETA
 Il cor non mi rinfaccia alcun delitto.
 NICANDRO
1090Selinunte è il tuo amor.
 ARETA
                                              (Deh! Come il seppe?)
 Io Selinunte amar?
 NICANDRO
                                      Dillo. Ti posso
 giovar più che non pensi. In poter mio
 sta l’una e l’altra vita.
 Vuoi Meride alla scure? Il darò estinto.
1095Temi per Selinunte? Il darò salvo.
 Spera in Nicandro un amator discreto,
 se in lui sprezzasti un amator fedele;
 né a chi ingrata mi fu sarò crudele.
 ARETA
 Tardi, in chi amar non posso,
1100ammiro un degno amante; e non potendo,
 giustizia almen ti fo, se non piacere.
 Ma tu, che a prova intendi
 qual sia d’amor la forza,
 scusa, se non ti amai. Scusa, se amando
1105il bel di Selinunte...
 NICANDRO
 Ah! Lo dicesti alfin. Questo pur ebbi
 piacer, che ti ho delusa e mi credesti.
 Il tuo arcano io sapea; ma a te lo chiesi,
 per più farti arrossir, quand’io il rinfacci,
1110per più farti doler, quando il punisca.
 Vuoi Meride alla scure? Il darò salvo.
 Temi per Selinunte? Il darò estinto.
 Lo prometto e il farò. Così, o spietata,
 piangerai l’odio tuo senza vendetta,
1115piangerai l’amor tuo senza speranza;
 e d’inutili pianti
 spargerai, disperata e taciturna,
 del padre e dell’amante il rogo e l’urna.
 ARETA
 Tu sei sempre Nicandro.
1120Ma non pensar di spaventarmi. Ancora
 non morì Selinunte.
 Meride può tornare. Appiè del trono
 giungeranno e avran forza i miei lamenti;
 e a te sai che dirò? Perfido, il senti.
 
1125   Con l’affetto, col dispetto,
 col terror,
 tu da me vorresti amor.
 Ma non temo del tuo sdegno
 né mi piace il tuo sembiante.
 
1130   Ciò che pensi e ciò che tenti
 e coll’opra e coll’ingegno,
 se nol son, fa ch’io diventi
 tua nimica e non tua amante. (Entra nella città)
 
 SCENA II
 
 NICANDRO
 
 NICANDRO
 Questo, beltà superba, è il tuo costume,
1135non temer di chi t’ama.
 In lui stupido credi
 un amor che tu irriti; e tel figuri
 come in siepe coniglio.
 Ma talor da la siepe esce anche serpe
1140che sa morder chi ’l preme.
 
    Quell’ape è innocente;
 ma punge anche l’ape,
 se offender si sente.
 
    Lambendo la sponda
1145sen va quel ruscello;
 ma a pioggia che inonda,
 si cangia in torrente.
 
 SCENA III
 
 ERICLEA dalla città e NICANDRO
 
 NICANDRO
 (Vien Ericlea).
 ERICLEA
                              Nicandro...
 NICANDRO
 Qui di Meride in traccia amor ti guida.
 ERICLEA
1150Ov’è?
 NICANDRO
               Là in tuo soggiorno
 o ti cerca o ti attende.
 ERICLEA
 Incontro che del par bramo e pavento!
 NICANDRO
 Ben può arrestarlo una sì cara amante.
 ERICLEA
 La vita dell’amico è a lui più cara.
 NICANDRO
1155Mira, Ericlea, chi a te rivolge il passo. (Le mostra Meride che, veduta di lontano Ericlea, si avanza verso di lei)
 ERICLEA
 Oimè!
 NICANDRO
                Tremi per lui?
 ERICLEA
                                             So che lo perdo.
 NICANDRO
 Vivo il brami?
 ERICLEA
                              Anche a costo
 di tutto il sangue mio.
 NICANDRO
                                           Pianga il tuo amore.
 ERICLEA
 Consigliando perfidia, io vil sarei.
1160Mancando a fede, egli sarebbe indegno.
 NICANDRO
 Ciò che nega l’amor, farà lo sdegno. (Entra nella città)
 
 SCENA IV
 
 ERICLEA e MERIDE
 
 MERIDE
 Anzi ch’io rieda ove dover mi attende,
 pur mi è dato, Ericlea,
 il piacer di vederti. Io n’era in pena
1165e ne partia dolente.
 Con sì bel dono i duri fati assolvo;
 né a temer più mi resta
 che il tuo dolor, ma tua virtù lo vinca,
 né più a bramar che il tuo riposo; e questo
1170lo avrai da Selinunte, a cui ti lascio.
 Ecco l’ultimo prego
 del fedele amor mio. Vivi e a lui vivi.
 Se pria che del suo fral l’alma si sciolga,
 tu mi dai questa fede e stretta io vegga
1175te, del mio cor dolce metà, con l’altra,
 che ne tien Selinunte,
 non vi è morte per me. Se mel ricusi,
 per me non v’è più vita.
 ERICLEA
 Nel fiero estremo addio
1180io tutt’altro che oltraggi
 dal tuo amor attendea. Meride ingiusto,
 in breve a morte andrai. Se al tuo dovere
 contrastasse il mio pianto e in te volessi
 a costo del tuo onor destar pietade,
1185lo faresti per me? Vattene pure
 ove fede ti chiama, ove amistade.
 Adempi il tuo dover. Vi applaudo anch’io;
 ma in tal destin tu pur rispetta il mio.
 MERIDE
 E qual altro dover t’impone amore?
 ERICLEA
1190Quello di morir tua.
 MERIDE
                                       Taci. Morendo
 forse mi dai piacer? Mi rendi vita?
 ERICLEA
 Viver non deggio altrui, se a te non posso.
 MERIDE
 Vivendo a Selinunte, a me pur vivi.
 ERICLEA
 Se mi volevi sua, perché al suo braccio
1195non lasciarne l’onor di meritarmi?
 Ti avrei perduto, è ver, d’altro io sarei;
 ma la tua morte almen non piangerei.
 MERIDE
 Vedi se ingiusta sei.
 Potea Meride vil darti all’amico,
1200nol può Meride forte.
 Ma chi forte mi fe’? Chi svegliò l’ire?
 Chi Timocrate uccise?
 Non di Ericlea l’amor, non il comando
 ma dell’amico i torti. A me quel colpo
1205non dei ma a Selinunte. Ei, me presente,
 vendicava Ericlea. Meride il tenne.
 Che vuoi di più? Sin quest’estremo addio
 di Selinunte è dono.
 Deh! Renditi a ragion. Renditi a’ prieghi.
1210Sia il caro amico ad Ericlea consorte.
 Tua fé mel giuri; e vo contento a morte.
 ERICLEA
 A te morte? A me nozze? A te feretro?
 A me talamo? E il credi? E mel consigli?
 Uccidimi, o crudel, senza oltraggiarmi.
 MERIDE
1215Orsù, resta, Ericlea; rimanti, ingrata. (Fiero)
 Non con addio di pace
 ma d’ira e di dolor Meride lasci
 te per l’ultima volta.
 Io nol credea né il meritava.
 ERICLEA
                                                      Ascolta. (Lo ferma)
 MERIDE
1220No. Volano i momenti e per te sono (Più fiero)
 già misero abbastanza.
 ERICLEA
 
    Senti.
 
 MERIDE
 
                  Vivrai?
 
 ERICLEA
 
                                  Nol so.
 
 MERIDE
 
 Sarai?...
 
 ERICLEA
 
                   Se lo potrò.
 
 MERIDE
 
 Di Selinunte?
 
 ERICLEA
 
                             O dio! (Pensosa e poi risoluta)
                                           Sarò... di morte.
 
 MERIDE
 
1225   Fermati. Sei crudel.
 
 ERICLEA
 
 Lasciami. Son fedel.
 
 MERIDE
 
 Che pertinace cor!
 
 ERICLEA
 
 Che barbaro disio!
 
 A DUE
 
                                     Che iniqua sorte!
 
 ERICLEA
 Cedo, Meride, cedo.
 MERIDE
1230O alfin giusta Ericlea!
 ERICLEA
                                           Là ti precedo,
 ove del nostro amor s’agita il fato.
 Mi unirò a Selinunte. Al re prostrata,
 pregherò, piangerò. Della mia fede
 farò l’ultime prove; e poi quand’altro
1235ad oprar non rimanga al dover mio... (Fermandosi)
 MERIDE
 Vivrai di Selinunte?
 ERICLEA
 Vivrò... Vivrò... Ma posso
 in sì amara partita
 di morte assicurar ma non di vita.
 
1240   Al sol pensiero
 del tuo morir,
 mi sento l’anima
 in sen languir.
 
    Ma quando il fiero
1245tuo caso io vegga,
 che l’alma regga
 non è possibile
 al suo martir. (Entra nella città)
 
 SCENA V
 
 MERIDE
 
 MERIDE
 Vanne, Ericlea. Seguir tuoi passi è rischio.
1250Arrestarli è delitto.
 Se tanto non ti amassi,
 meno ti temerei. Sacra amistade,
 i più teneri affetti ecco a te sveno;
 e ciò che il nume tuo da me richiede,
1255tutto core or mi trovi e tutto fede. (Incamminandosi per entrare nella città, vede alzarsi il ponte e chiuderglisi in essa l’entrata)
 Che veggio? Il ponte alzarsi...
 Al piè chiudersi il varco... Oimè! Fermate.
 A me tocca morir. Ma qual dall’alto
 stral mi si getta e di quai note impresso
1260foglio?... Che sarà mai? Sciagure e mali. (Vedesi cadere al piede una freccia lanciata fuor delle mura, alla quale sta legata una lettera che vien raccolta e letta da lui)
 «Meride, in Siracusa entrar ti è tolto. (Legge)
 Morir deve in tal giorno
 Selinunte di ferro e tu di scorno». (Dopo letto sta alquanto sospeso)
 Tradimento esecrabile! Non uomo,
1265demone o furia il concepì. L’amico
 non potea dell’amico
 carnefice mai farsi.
 Si è trovata la via. Di Selinunte
 cade reciso il capo
1270e Meride il recide. Il re, le genti
 che ne diran? Che Selinunte? O dio!
 Qui potessi morir!... Morir qui posso;
 ma non salvo l’amico.
 Nol salvo? No. Già piega il giorno. A morte
1275forse or vien tratto. Or forse
 al feral palco... Oimè! Febo, il tuo corso
 non affrettar. Da me difese in guerra,
 mura, apritemi un varco.
 Re, tu sospendi il cenno,
1280tu la scure, o ministro. Ecco, già vengo.
 A me quel ferro. A me quel colpo. Io porgo
 il collo. Io piego il capo.
 E col nome sul labbro
 di Selinunte... Ah! Ch’io vaneggio; e intanto
1285vola il tempo; il mal preme; il rischio cresce;
 e nuoce il disperar. Deh! Che far deggio?
 Degno ne son, se col mio duol vaneggio.
 
    Nel grave periglio
 fermezza e consiglio,
1290non ira e dolor.
 
    Lo so, iniqua sorte,
 l’amico va a morte,
 la fede è tradita,
 perduto è l’onor.
 
1295   Ma tutto salvarmi
 può ingegno e valor.
 
 Il fine dell’atto quarto