Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO QUARTO
 
 Giardino con fontane e con deliziosi ritiri di verdura.
 
 SCENA PRIMA
 
 CRATE, ARGENE, CALANDRA e NILO con paggi che portano gli abiti per vestir Crate
 
 ARGENE
1155Nelle stanze a vestirti incominciasti.
 CRATE
 Là incominciai; qui finir voglio. Nilo.
 CALANDRA
 Qui vestirsi vuol Crate? A ciel scoperto?
 NILO
 Peggio in Tebe ei facea, peggio in Corinto.
 ARGENE
 Ma di te che dirassi?
 CRATE
1160Non bada il saggio al «che dirassi». Nilo. (Voltandosi, vede Nilo che parla a Calandra)
 Ah, sta in cervel. Ti sedurran le donne.
 NILO
 (Buono!) E Fenicia è un uomo?
 CRATE
 (Nilo ha ragione). Prendi.
 NILO
 (Lodato il ciel. Questo è il mio gran nimico). (Ricevendo il bastone dalle mani di Crate)
 ARGENE
1165Or quei cenci deponi.
 CRATE
 Cenci? È il cinico pallio. (Ed io lo lascio?
 Perché? Per chi?) Non posso. (Ad Argene)
 ARGENE
 Non puoi? Potrà Aristippo. A me qui venga. (Ad un paggio che finge di partire)
 CRATE
 Ferma. Oh pallio onorato! Ecco ti bacio;
1170e ti chieggo perdon, s’io ti abbandono. (Bacia il suo pallio e lo dà a Nilo)
 NILO
 Che deggio farne?
 CRATE
                                    Nilo... Io te lo dono.
 CALANDRA
 Così. Da generoso. Viva Crate.
 ARGENE
 Getta quel rozzo sacco.
 CRATE
 Sì, ma di lui qualche memoria io voglio. (Vuol cavar qualche cosa dal sacco)
 CALANDRA
1175Eh, che far vuoi? Cibo miglior ti aspetta.
 CRATE
 Prendi. Così la fame tua satolla. (Dà il sacco a Nilo)
 NILO
 Sguazza, Nilo. Tre rape e una cipolla.
 ARGENE
 Vedi quanto disdice
 al tuo saper lacera veste e vile.
 CRATE
1180Questa è la toga mia filosofale.
 (E la posso lasciar?) La toga io voglio.
 ARGENE
 Sì, tu l’avrai ma non Fenicia. Andiamo. (In atto di partire)
 CRATE
 Pian. Prendi questa ancor. Godete, o belle. (Dà la sua toga a Nilo)
 NILO
 Darà per una donna anche la pelle.
 CALANDRA
1185Questa sì ti conviene. Oh bello! Oh bello! (Mettono a Crate la prima veste)
 CRATE
 Tal piacerò a Fenicia?
 ARGENE
 E più con questa ancor. Va’. Sembri Amore. (Li mettono la sopraveste)
 CALANDRA
 Quel cencio al suol. Questo è di te più degno. (Le dà un berrettone ch’egli si mette a sproposito)
 CRATE
 Così?
 NILO
              Più in su.
 CRATE
                                  Sta ben così?
 CALANDRA
                                                            Più a basso.
 NILO
1190Dal filosofo al matto è un breve passo.
 CALANDRA
 Passeggia un poco. Bene! Oh che bel garbo!
 ARGENE
 (Gioco prender ne voglio).
 Crate, ascolta. Civil! Vago! Leggiadro! (Crate, accostandosi ad Argene, fa molti inchini)
 (De’ finti saggi ’l senno è questo). Ammiro
1195la tua bella avvenenza. Oh quanto aggiunge
 di decoro e di stima
 l’esterno culto alla beltà dell’alma!
 Quanto pregio al saper dà gentilezza!
 Tal molto più si apprezza illustre pianta,
1200se di frondi e di fiori ella si adorna.
 Godi, sì. N’hai ragion. Dirsi felice
 può ben Fenicia. Oh dio! S’io men l’amassi
 o se men rispettassi
 la sua fortuna ed il piacer di lei,
1205te lo confesso, io sua rival sarei.
 
    Sol per te potrebbe amore
 disarmar il mio rigore;
 e potrei fra sue catene
 sospirar solo per te.
 
1210   Ma il nascente dolce affetto
 io svenar mi deggio in petto,
 perché so che un sì gran bene
 non destina il cielo a me. (Crate l’accompagna con altri inchini)
 
 NILO
 Crate, a fé tu deliri.
 CRATE
1215Parti di qua. Colui ben disse; i servi
 tutti sono malvagi ed anche i buoni.
 NILO
 Ma disse meglio ancor circa i padroni. (Si parte Nilo con gli abiti di Crate)
 CRATE
 
    È un vanto di follia
 il dir che un bel sembiante
1220non può con dolci guardi
 toccar del saggio il cor.
 
    Non v’ha filosofia
 che dia valor bastante,
 per non sentir quei dardi
1225che vibra a tutti amor.
 
 SCENA II
 
 CRATE e ARISTIPPO, con seguito di macedoni e sidoni
 
 CRATE
 (Ah, ah, viene Aristippo).
 ARISTIPPO
 (Oh, oh, qui veggo Crate).
 CRATE
 (E vien da re. Superba idea di fasto!)
 ARISTIPPO
 (E colto il trovo. Oh cecità di senso!)
 CRATE
1230(Oh Socrate il vedesse! In Anticira
 lo mandarebbe a ricovrare il senno).
 ARISTIPPO
 (Oh Antistene qui fosse! Un laccio al folle
 consigliar ben potrebbe o una catena).
 CRATE
 Posso chieder al re dov’è Aristippo?
 ARISTIPPO
1235Sapria dirmi il zerbin dove andò Crate?
 CRATE
 Per Giove, in quel diadema
 la cirenaica setta ha un gran maestro.
 ARISTIPPO
 Per gli dii, nel tuo ammanto
 ha la cinica scuola un bel seguace.
 CRATE
1240Sei re; ma dov’è il regno?
 Negli antipodi forse o nella luna?
 ARISTIPPO
 Qui avrò il mio regno e qui Fenicia ancora.
 CRATE
 Oh, per aver Fenicia,
 se ti manca il suo amor, molto ti manca.
1245Vergognati, Aristippo.
 
 SCENA III
 
 ALESSANDRO, FENICIA in disparte e i suddetti
 
 FENICIA
 Eccoli. Or tu gli ascolta; e poi decidi. (Ad Alessandro)
 ARISTIPPO
 lo vergognarmi? Osserva. (A Crate. Al voltarsi di Aristippo s’inchinano a lui i suoi seguaci)
 CRATE
 Sembra ossequio al superbo anche lo scherno.
 ARISTIPPO
 Vedi quanto corteggio.
 CRATE
1250Orso, che balli, ugual corteggio ha spesso.
 ARISTIPPO
 Se da aquila vuol far, si acceca il gufo.
 CRATE
 E se vuol far da bue, creppa il ranocchio.
 ALESSANDRO
 Qual garrir? Regio manto? (Ad Aristippo) Estrana pompa? (A Crate)
 CRATE
 (Cieli!)
 ARISTIPPO
                 (Non mi confondo).
 FENICIA
                                                       (Or che diranno?)
 ARISTIPPO
1255Se chiedi a lui chi l’adornò, fu il senso. (Ad Alessandro)
 CRATE
 Vuoi tu saper chi re lo fece? Il fasto. (Ad Alessandro)
 ALESSANDRO
 Tu, Crate, in queste spoglie?
 CRATE
 Colpa di Crate è di Fenicia il bello.
 ALESSANDRO
 Chi discolpa il suo fral, già lo confessa.
 FENICIA
1260L’un confondesti. All’altro... (Ad Alessandro)
 ALESSANDRO
 Tu con le regie insegne? (Ad Aristippo)
 ARISTIPPO
 Il voto di Alessandro è mia difesa.
 ALESSANDRO
 Maturarsi ei dovea. Chi lo previene
 temerario si mostra. (Li filosofi in atto di voler parlare)
1265Non più. Crate non è, non è Aristippo
 quel saggio che si vuol. Tutto è impostura
 o maschera del vizio il lor sapere.
 Oggi avrai teco un maggior savio in trono. (A Fenicia. Si parte Alessandro col seguito di Aristippo)
 FENICIA
 (Se Addolonimo avrò, felice io sono).
 CRATE
1270Fenicia, mi tradisti.
 FENICIA
 Più non sai che dell’uomo
 viva insidia è la donna? Io, come tale,
 lusingarti potei; ma tu, qual saggio,
 non dovevi dar fede a mie lusinghe.
 CRATE
1275(Questo di più). La tua bellezza sola...
 FENICIA
 Taci. Per tutto il bel spender non dei
 pur una sol filosofal parola.
 ARISTIPPO
 (Ben lo schernisce). Io voglio... (A Fenicia)
 FENICIA
 Ricorri ad Alessandro. Egli qui regna;
1280e avrai dal suo favor Fenicia e soglio.
 
    Tu il regno amasti in me, (Ad Aristippo)
 tu solo il tuo piacer. (A Crate)
 Questo non è saper né questo è amore.
 
    Sai tu, sai tu cos’è?
1285Un fasto ambizioso, un vil furore.
 
 SCENA IV
 
 ARISTIPPO e CRATE
 
 ARISTIPPO
 Poco il gaudio durò delle tue nozze.
 CRATE
 Quanto il corteggio tuo, quanto il tuo regno.
 ARISTIPPO
 Odi; come in teatro, oggi in Sidone,
 io di re, tu di sposo
1290rappresentammo il personaggio e il grado.
 La favola finì. Plauda chi vuole.
 CRATE
 Ma i plausi son fischiate.
 ARISTIPPO
 Diciam noi pur ciò ch’altri suol; gli errori
 della favola son, non degli attori.
 CRATE
1295Eh, non ci lusinghiam. Nostro è il difetto.
 ARISTIPPO
 Convien dissimularlo e far buon viso.
 CRATE
 Tu però mangi i guanti. È fame? O sdegno?
 ARISTIPPO
 Sdegno? Perché? Perché Fenicia è ingrata?
 Perdono in lei ciò ch’è natura ed uso.
1300Perché un re mi disprezza?
 Sputommi un altro in faccia; e il presi a gioco.
 CRATE
 Tanto finger non so. Me più non veggia
 di Sidone la reggia.
 ARISTIPPO
 Io no. Tra il male e il ben meglio discerno.
1305Qui vo’ restar. Qui voglio
 rider del riso e qui schernir lo scherno.
 
    Quando cada in qualche error,
 né rimorso né rossor
 mai non mostri agli altri il saggio.
 
1310   Franco volto e salda fronte
 toglie all’onte
 la baldanza ed il coraggio.
 
 SCENA V
 
 CRATE
 
 CRATE
 Crate, che mai facesti?
 Tu dal piacer, tu da l’amor sedotto
1315sino a vestir spoglie sì vili e strane?
 Una femmina, oh duolo!
 del tuo austero rigor trionfa e gode.
 Un garzone, oh vergogna!
 ad un saggio rinfaccia i falli suoi.
1320Ma qual saggio? Ove il senno? Il pallio? Il sacco?
 Cinica povertade, io ti ho tradita.
 Filosofiche leggi, io vi ho neglette.
 Antistene, a’ tuoi dogmi ecco un ribelle.
 Diogene, a’ tuoi esempi ecco un ingrato.
1325I frutti vostri, i vanti miei son questi.
 Crate, che mai facesti?
 
    Che facesti? Io tel dirò.
 Perdesti, nei seguir bellezza e amore,
 de’ studi e dell’onore i vanti e i passi.
 
1330   Infelice! Or che farò?
 Correte, o funi, o lacci, a incatenarmi.
 Volate a lapidarmi, o pietre, o sassi.
 
 SCENA VI
 
 ADDOLONIMO
 
 ADDOLONIMO
 Son delusi i miei voti. (Vede in uscendo di lontano Alessandro con Efestione e Stratone)
 Con Straton qui Alessandro. Il regio fianco
1335non cingono i custodi.
 Che farò? In quel ritiro,
 de’ suoi riposi or mal sicuro albergo,
 cauto mi asconderò. S’uopo il richiegga,
 all’innocente re diasi soccorso;
1340e non resti al mio core un fier rimorso. (Entra in un gabinetto di verdura)
 
 SCENA VII
 
 ALESSANDRO, EFESTIONE e STRATONE
 
 STRATONE
 (Sta sospeso Alessandro e, qual chi teme
 di agguato, intorno si riguarda e tace.
 Ah, tradito io sarei?)
 ALESSANDRO
                                         Stratone, in questo
 loco, lo crederesti?
1345v’è chi macchina insidie.
 STRATONE
 (Oh perfido Addolonimo).
 EFESTIONE
                                                   Si turba. (Piano ad Alessandro)
 ALESSANDRO
 E insidie alla mia vita.
 STRATONE
 (Core, a te non mancar, s’altri ti manca).
 Re, non intendo. A me tu parli in guisa
1350che o il reo credi presente o tal lo fingi.
 ALESSANDRO
 Noi siam qui soli. Efestion mi è fido.
 STRATONE
 E Straton ti è nimico
 ma un nimico ch’è re. Se giù del trono
 ti potesse balzar forza e valore,
1355far saprei di quest’armi uso in tuo danno;
 ma per alma real vile è l’inganno.
 EFESTIONE
 Chi sa d’esser tradito
 e ignora il traditor, lo teme in tutti.
 ALESSANDRO
 E Alessandro qui ’l teme.
1360Leggi. E tu là ricerca (Ad Efestione. Dà a Stratone il foglio di Addolonimo)
 se, qual angue entro siepe, altri si appiatti.
 EFESTIONE
 Sol qui lasciarti?
 ALESSANDRO
                                  Eh, vanne. A regio petto (Stratone legge)
 una forte difesa è un gran sospetto. (Efestione entra nel gabinetto)
 
 SCENA VIII
 
 ALESSANDRO e STRATONE
 
 STRATONE
 (Scrisse il fellon; ma non osò nel foglio
1365por di Stratone il nome e il suo pur tacque).
 ALESSANDRO
 Leggesti?
 STRATONE
                     Lessi. A te chi scrisse?
 ALESSANDRO
                                                               Ignoto
 mi è del par chi m’insidia e chi mi salva.
 STRATONE
 Il lasciarti in timor non è un salvarti.
 
 SCENA IX
 
 EFESTIONE, tenendo per un braccio ADDOLONIMO, e i suddetti
 
 EFESTIONE
 Vieni, o malvagio, al tuo castigo. I numi
1370veglian, sire, a tuo pro. Torsi a’ miei lumi
 l’empio volea. Tacito e chino il veggo.
 Corro. L’afferro. Il traggo. Ei non resiste.
 Non parla; e gli esce solo
 qualche sospir, non so se d’ira o duolo.
1375Eccolo.
 ALESSANDRO
                Che rimiro!
 Addolonimo? Oh cieli! Il credo appena.
 STRATONE
 (Ah, se fia ch’ei mi sveli...)
 ADDOLONIMO
 (A soffrir e a tacer l’alma dispongo).
 ALESSANDRO
 Come ben già sapesti,
1380qual non eri, mentir? Dunque in quel punto
 che più vantava il labbro
 innocenza e virtù, volgevi in mente
 sì esecrabile idea?
 ADDOLONIMO
                                     Sono innocente.
 ALESSANDRO
 E allor che di tua sorte impietosito,
1385io pensava all’avito
 soglio di alzarti, a mia rovina e morte
 meditavi di alzar braccio omicida;
 perché? Da qual sedotto
 dolce lusinga? Da qual rabbia ardente?
1390In che ti offesi? Di’.
 ADDOLONIMO
                                       Sono innocente.
 EFESTIONE
 Innocente? Rispondi.
 Non sei tu di questi orti
 e custode e cultor?
 ADDOLONIMO
                                     Nol nego.
 EFESTIONE
                                                         In uso
 non ha il re sul meriggio
1395qui goder le fresch’aure?
 ADDOLONIMO
 È vero.
 EFESTIONE
                 E là sovente
 adagiarsi al riposo?
 ADDOLONIMO
                                       E prender sonno.
 ALESSANDRO
 Colà dunque celarti,
 perché? Perché in quest’ora? Il tuo misfatto
1400abbia qualche discolpa.
 È facile il pretesto al delinquente.
 ADDOLONIMO
 Altro dir non poss’io. Sono innocente.
 STRATONE
 (Si spaventa l’accusa in su quel labbro).
 EFESTIONE
 Ceppi e tormenti ’l mal guardato arcano
1405gli traggano dal cor, s’egli ancor tace.
 STRATONE
 Più non taccia Straton. Vedi, Alessandro,
 di mia virtù se dubitasti a torto.
 Il perfido è costui. Quella, ch’ei vanta
 ragion sul regno, al suo livor sinora
1410scopo mi fece e oggetto. Or che il diadema
 ti sfavilla sul crine, ei te lo insidia.
 ADDOLONIMO
 Ah, Stratone, Straton, non abusarti
 del mio silenzio.
 STRATONE
                                 Parla.
 Mi accusa. Fammi reo del tuo delitto.
1415Tra un uom vile ed un re, cerchi Alessandro
 chi è di noi il traditore.
 ADDOLONIMO
 (Ti condanno a soffrir, povero core).
 ALESSANDRO
 Falsa virtù più non mi abbaglia. Ingiusta
 fu, Straton, la mia tema. Io te ne assolvo.
1420Tu, fellon, l’empio sei.
 ADDOLONIMO
 (S’io l’empio sia, voi lo sapete, o dei).
 ALESSANDRO
 Si consegni a’ custodi.
 EFESTIONE
                                           Indi alla scure;
 e al tuo sì folle orgoglio
 sarà un laccio il diadema, un palco il soglio. (Si parte)
 ALESSANDRO
 
1425   Se miro, se ascolto
 quel labbro, quel volto,
 ti credo innocente.
 
    Ma l’empio tuo core
 mi toglie di errore
1430e fa ch’io non creda
 né a volto, che inganna,
 né a labbro che mente. (Escono le guardie di Alessandro)
 
 SCENA X
 
 ADDOLONIMO e STRATONE
 
 STRATONE
 Ben ti sta tua sciagura.
 ADDOLONIMO
 Signor, non insultarmi.
1435Il mio solo tacer mi fa infelice.
 STRATONE
 No no, rompi ’l silenzio. In uom sì vile
 qual fede avrà l’accusa? Ov’hai le prove?
 In te sol sta il mio arcano. Io nulla temo...
 ADDOLONIMO
 E nol devi temer. Troppo rispetto
1440chi fu mio re, chi di Fenicia è padre.
 STRATONE
 Tacer dovevi. Io te l’avea prescritto.
 ADDOLONIMO
 Non tacer fu virtude. Ora è delitto.
 
 SCENA XI
 
 FENICIA e i suddetti
 
 FENICIA
 Ahi, che intesi! Che veggio!
 Tra custodi Addolonimo?...
 STRATONE
                                                    Sì, figlia.
 
1445   Figlia, sì, vedi un perfido
 che il suo signor tradì,
 che il tuo imeneo sprezzò
 e morte in pena avrà.
 
    Negagli anche una lagrima.
1450L’empio, che un lieto dì
 d’esser con te sdegnò,
 indegno è di pietà.
 
 SCENA XII
 
 FENICIA e ADDOLONIMO
 
 FENICIA
 Addolonimo ingrato
 ma più misero ancor! Ti perdo adunque,
1455quando mio ti sperava?
 Quando esser mio potevi? Erano un prezzo
 sì vil Fenicia e il regno
 che più dolce ti parve, oh dio! morire,
 e morir con la nota
1460di perfido e di reo? Pur tutto in pace,
 te salvo, io soffrirei;
 ma tua morte è il maggior de’ mali miei.
 ADDOLONIMO
 Fenicia, se l’amarti
 è colpa nel mio cor, moro, il confesso
1465in questo di mia vita ultimo giorno,
 moro reo di gran colpa. Altro delitto
 fuor di questo non ho. La mia sciagura
 fece la mia innocenza.
 FENICIA
 Ah, se innocente sei, perché lo taci?
 ADDOLONIMO
1470Me colpevol farei, te sfortunata.
 FENICIA
 Sfortunata son io nella tua morte.
 ADDOLONIMO
 Viver con l’odio tuo mi saria pena;
 morir da te compianto è mio conforto.
 FENICIA
 Viver con l’odio mio? Salvati; e tutti
1475gli oltraggi di fortuna a te perdono.
 ADDOLONIMO
 Puoi perdonar, se parricida io sono?
 FENICIA
 Che sento?
 ADDOLONIMO
                        Sì, se parlo,
 ti uccido il genitor. Moro, se taccio.
 FENICIA
 In quali angustie, oh dei, metti ’l mio core?
1480Dimmi...
 ADDOLONIMO
                    V’ha chi ne ascolta. Altrove udrai
 la serie de’ miei mali.
 Or ti basti saper che due gran beni
 avrò meco al sepolcro,
 la mia innocenza e l’amor mio.
 FENICIA
                                                          Deh, vivi.
 ADDOLONIMO
1485E che il padre tradisca?
 FENICIA
 Salva il padre e te stesso.
 ADDOLONIMO
 Di questi mali è inevitabil l’uno.
 FENICIA
 Qual fuggo? Quale abbraccio?
 ADDOLONIMO
 Morrà il padre, se parlo, od io, se taccio.
 
1490   Tu sei figlia e sei
                                     amante.
 FENICIA
    Figlia sono e sono
 ADDOLONIMO
 Ti spaventi ’l mio
                                   parlar;
 FENICIA
 mi spaventa il tuo
 ADDOLONIMO
 e ti piaccia il mio
                                   tacer.
 FENICIA
 e mi affanna il tuo
 
 ADDOLONIMO
    Ho nel sen cor sì
                                    costante...
 FENICIA
    Il tuo cor troppo è
 ADDOLONIMO
 che tradir saprà il suo
                                           amore...
 FENICIA
 se tradir ei può il suo
 ADDOLONIMO
1495pria che manchi al
                                     suo dover.
 FENICIA
 per serbar il
 
 SCENA XIII
 
 CALANDRA e NILO
 
 CALANDRA
 Tanto agitato è Crate?
 NILO
 Quanto un mastin, cui venga tolto un osso.
 CALANDRA
 Per Fenicia era grande in lui l’amore.
 NILO
 Eh, Fenicia. Lo scherno è la sua rabbia.
1500Un filosofo, amore? Aman costoro
 per lor capriccio e, come gli altri fanno,
 per bellezza crudel pianger non sanno.
 CALANDRA
 No no, piangono anch’essi,
 spargon sospiri ardenti,
1505porgon suppliche umili; e que’ gran cori,
 che son per vanità diamante e bronzo,
 di una femmina al piè son vetro e cera.
 NILO
 Se aman tanto le belle,
 perché dir mal di quelle e dell’amore?
 CALANDRA
1510De’ filosofi, o Nilo,
 le belle altri disprezza e quei favori
 che pretender non puote
 o non sa meritar. Altri le accusa,
 perché appresso di lor sempre è infelice.
 NILO
1515Infelice? Perché?
 CALANDRA
                                   Grazia e vaghezza,
 servitù, gentilezza e leggiadria,
 più che filosofia piace al bel sesso.
 NILO
 E pur la bella Ipparchia arde per Crate.
 CALANDRA
 Misero gusto! Anch’essa
1520vorrà forse parer filosofessa.
 Ma Crate arde per lei?
 NILO
 Non può vederla; ed or che in Grecia ei torna...
 CALANDRA
 Parte Crate? E tu il segui?
 NILO
 Schiavo di lui son io. Ma nel palazzo
1525mi asconderò. Là non verrà; e se viene
 e se vorrà che a lui
 gli abiti suoi filosofali io renda,
 anch’io vorrò che in libertà mi ponga.
 CALANDRA
 E allor tu sarai mio...
 NILO
1530Servo fedel.
 CALANDRA
                         No. Mio...
 NILO
 Platonico amator.
 CALANDRA
                                   No no. Mio sposo.
 NILO
 Io sposo tuo?
 CALANDRA
                           Perché?
 NILO
                                            Non ci pensare.
 Questo appunto sarebbe
 uscir da un fiume e poi cader nel mare.
 CALANDRA
 
1535   Mio Nilino bello, bello,
 se rifiuti il viver meco
 un ingrato affé sei tu.
 
 NILO
 
    Calandrina cara, cara,
 teco a pranzo e a cena teco
1540io starò ma non di più.
 
 CALANDRA
 
    Per mio sposo, sì, ti accetto.
 
 NILO
 
 Per padrona ti prometto.
 
 CALANDRA
 
 Ma per altro?
 NILO
 Ma per moglie?
 
 A DUE
                               Guarda. Oibò.
 Non ti cerco, non ti vo’.
 
 CALANDRA
 
1545   Odi; tu non hai cervello.
 Sei indegno, mascalzone,
 di una sposa di tal sorte.
 
    Tu rifiuti un bel partito;
 ma farai la penitenza.
1550Senza te mel troverò.
 
 NILO
 
    La bevanda è troppo amara.
 Più che il legno del padrone
 mi spaventa una consorte.
 
    Da uno schiavo ad un marito
1555io non trovo differenza.
 E di quello io riderò.
 
 Il fine dell’atto quarto