Alessandro Severo, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO SECONDO
 
 Logge imperiali.
 
 SCENA PRIMA
 
 ALESSANDRO e SALLUSTIA da varie parti
 
 ALESSANDRO
 (Sallustia... Oimè, qual vista!)
 SALLUSTIA
480Sposo, ti lascio. Piace
 così al destin, così alla madre; quasi
 vorrei che così ancora
 piacesse a te, per non lasciarti in pianto.
 Il tuo pianto, il tuo duolo
485è la maggior mia pena,
 che, lontana da te, pur mi saria
 qualche picciol conforto
 il saperti contento, anima mia.
 ALESSANDRO
 Tu parti! Ah, quest’annunzio è la mia morte.
490Senza te... Da’ singhiozzi
 chiusa è la voce e s’apre il varco al pianto.
 SALLUSTIA
 E a me, la più dolente e la più afflitta,
 che non ho chi mi aiti e mi consoli,
 a me che tutto perdo,
495amici e patria e padre e regno e sposo,
 toccherà il duro uffizio
 di consolarti? Sì, caro Alessandro,
 rimanti, e te ne prego,
 lieto rimanti e fortunato; e quando
500abbia pur l’amor mio
 a turbar la tua gioia e il tuo riposo,
 perdine la memoria e vivi in pace.
 Ama la nova sposa. Ama la prole
 che tardi a te succeda
505nell’impero del mondo. Ama la madre,
 per cui vado in esiglio;
 né mai le rinfacciar la mia sventura.
 ALESSANDRO
 Io lieto? Io d’altra? E credi
 sì fiacco il mio martire?
510Ah, senza te non amo
 né posso, senza te, se non morire.
 SALLUSTIA
 
    Tu morir? Crudel! Perché?
 
 ALESSANDRO
 
 Perché sei cor del mio core.
 
 SALLUSTIA
 
    Vivi in onta al tuo dolore,
515se pur hai pietà di me.
 
 ALESSANDRO
 
    Ti ho pietà; ma vuole amore
 ch’io non viva senza te.
 
 SCENA II
 
 GIULIA con seguito e i suddetti
 
 GIULIA
 Eccomi in tuo soccorso, eccomi, o figlio.
 ALESSANDRO
 Madre.
 GIULIA
                 Costei t’insidia;
520e con le sue lusinghe
 o ti rende infelice o ti vuol reo.
 Vanne, o donna, al tuo esiglio.
 Degna di te, già l’Affrica ti attende.
 Son questi i tuoi custodi.
 SALLUSTIA
525Parto, mia augusta, parto.
 Solo pria di partir lascia ch’io baci
 la man che mi condanna.
 GIULIA
 Questa mano altre volte
 ti diè scettro e corona.
 SALLUSTIA
                                           Or la corona
530ripigliati e lo scettro.
 GIULIA
                                         Ella sul trono
 de’ cesari ti pose.
 SALLUSTIA
                                   Io ne discendo;
 né mi costa il lasciarlo
 una lagrima sola.
 GIULIA
 Ella il mio cor... Ma, ingrata,
535che più darti potea dopo il mio figlio?
 SALLUSTIA
 E questo, e questo è il dono
 che in perderlo mi costa e pianto e sangue.
 Vedilo, eccelsa madre. Io te lo rendo;
 e tel rendo innocente
540né di altra colpa reo
 che di aver troppo amata un’infelice.
 ALESSANDRO
 L’ascolto e vivo?
 SALLUSTIA
                                 Augusta,
 all’amor tuo lo lascio.
 Tu lo consola. Al vedovo suo letto
545scegli sposa più degna e più gentile.
 Questo il puoi far, ma più fedel non mai,
 che troppo, idolo mio, troppo t’amai.
 GIULIA
 Se la virtù, che hai nel tuo fato avverso,
 tra le prosperità serbata avessi,
550misera or non saresti.
 Io ti ho qualche pietà; ma a te più fasto,
 a me daria più tema
 un facile perdono.
 Vattene. Al tuo destino io ti abbandono.
 SALLUSTIA
555Addio, augusta; addio, sposo. Ah, mi perdona
 se ancor mi uscì dal labbro il dolce nome,
 nome che mai non mi uscirà dal core.
 Questa è l’ultima volta
 che il posso dir. Vado al mio duro esiglio.
560Là farò voti al cielo
 e per Roma e per Giulia e per il figlio.
 ALESSANDRO
 Tu parti, idolo mio?
 SALLUSTIA
 
    Io ti lascio, o sposo amato;
 dar vorrei l’ultimo amplesso;
565ma mi basta un guardo solo.
 
    Fa’ che almen mi sia concesso
 il saper che vivi e regni,
 sposo altrui più fortunato;
 né saprai tu il mio gran duolo.
 
 SCENA III
 
 ALESSANDRO e GIULIA
 
 ALESSANDRO
570Madre, pietà.
 GIULIA
                            Col torti
 dal fianco di costei ti uso pietade.
 ALESSANDRO
 In che peccò la misera innocente?
 GIULIA
 La giudichi col tuo, non col mio core.
 ALESSANDRO
 L’amai per tuo comando.
 GIULIA
575Ora è comando mio che più non l’ami.
 ALESSANDRO
 Temi dunque il mio amor?
 GIULIA
                                                    Temo il suo fasto.
 Mi tolse il grado mio. Può tormi ’l figlio.
 Vada, vada in esiglio.
 ALESSANDRO
 Madre, ognor ti amerò. Troppo ti deggio.
 GIULIA
580Dovea molto alla madre anche Nerone;
 e pur materno sangue
 spruzzò il trono de’ cesari.
 ALESSANDRO
                                                  Quell’empio
 forse son io?
 GIULIA
                          Nol sei;
 ma un amor da Poppea temo in costei.
585Vada pure al suo bando.
 Il Senato lo approva. Io lo comando.
 ALESSANDRO
 Nulla potrà un augusto?
 GIULIA
                                              Io tal ti feci.
 ALESSANDRO
 Mi servirò del mio poter.
 GIULIA
                                                Su via,
 si ritratti ’l ripudio e la sentenza.
590Torni la sposa e vi anderà la madre.
 ALESSANDRO
 (O implacabile cor!) Lacrime e preghi...
 GIULIA
 Non giovano.
 ALESSANDRO
                           Il mio sangue
 giovi dunque a placarti. Io corro al lido;
 e colà, sciolto il fatal legno appena,
595o questo ferro immergerò nel petto
 o me ancor rapiran l’onde frementi.
 GIULIA
 (Oimè! Di spaventarmi
 si è trovata la via). Ferma, o spietato.
 ALESSANDRO
 Non si può tor la morte a un disperato.
 GIULIA
 
600   Ferma... Ascolta...
 
 ALESSANDRO
 
    Non ascolto che il tuo sdegno;
 seguo solo il mio dolore.
 
    Odio il giorno, abborro il regno
 e il dolor divien furore.
 
 SCENA IV
 
 GIULIA
 
 GIULIA
605Ferma, crudel. Son vinta.
 Torni... Che fo! Qual debolezza è questa?
 Qual disonore? Io rivocar l’esiglio?
 Ma se poi tratto il figlio
 dal suo furore... Eh, perdita di moglie
610non mai guida a morir. Parta la rea
 e con l’ombre ella parta.
 Né questo dì dall’ire mie si perda.
 L’aureo manto deponga;
 ed in grado servil Roma la vegga,
615ove augusta imperò, starsene ancella.
 Avvilita beltà non è più quella.
 
 SCENA V
 
 GIULIA, MARZIANO e CLAUDIO
 
 MARZIANO
 Augusta, onor del Tebro, amor di Roma...
 GIULIA
 Duce, non sei nel campo? In Roma forse
 ti richiama la figlia?
 MARZIANO
620Non è più figlia mia chi a te fu ingrata.
 Rispettar la superba in te dovea
 la sua benefattrice e la sua augusta.
 La man, che la punisce, è sempre giusta.
 GIULIA
 O degno genitor di miglior figlia!
 CLAUDIO
625(Cauto l’ire nasconde).
 MARZIANO
 Più non sa di esser padre
 chi sa di esser vassallo. A pro del trono
 sparsi sangue e sudor.
 GIULIA
                                           Giulia in te onora
 la difesa miglior del nostro impero.
 MARZIANO
630Contra i Parti nimici
 andrò duce e guerriero,
 purché l’augusta Giulia
 del mio cesare al voto aggiunga il suo.
 CLAUDIO
 Me pur cesare elesse
635duce de’ suoi custodi.
 Se il tuo cor non vi assente,
 rinunzio il grado.
 GIULIA
                                   Ambo mi siete amici,
 che, a chi serve con fede al figlio mio
 e di Roma all’onor, grata son io.
 
640   Non ho in petto un’alma ingrata.
 So punir e so premiar.
 
    Contra il fasto armo il rigor;
 con la fede uso l’amor.
 L’arte è questa del regnar,
645saper farsi temer e farsi amar.
 
 SCENA VI
 
 MARZIANO, CLAUDIO e poi ALBINA in disparte
 
 MARZIANO
 Ne osserva alcun?
 CLAUDIO
                                    Siam soli.
 MARZIANO
 Qual m’infinsi, vedesti?
 CLAUDIO
                                               E ne stupii.
 ALBINA
 (Qui l’infedel!)
 MARZIANO
                               Per più celar le trame
 tradii natura e condannai la figlia.
 ALBINA
650(Vo’ sorprenderlo solo).
 CLAUDIO
 Sul labbro a Marziano,
 Giulia trovò l’eroe ma non il padre.
 MARZIANO
 La vendetta più cauta è la più certa.
 CLAUDIO
 E la meno temuta è la più fiera.
 MARZIANO
655Tutto svelo al tuo core.
 ALBINA
                                           (Io tutto ascolto).
 MARZIANO
 Sul tramontar del giorno entro la reggia,
 forte stuolo di armati
 per via segreta introdurrò. Le stanze
 occuperò di Giulia.
660Tu, cui commessa è la custodia interna,
 co’ tuoi mi assisti.
 CLAUDIO
                                    E il puoi sperar. Mi unisce
 a te lunga amistade.
 Dal favor di Sallustia ottenni ’l grado.
 L’altera Giulia abborro,
665donna odiosa al popolo e al Senato.
 ALBINA
 (Trame funeste!)
 CLAUDIO
                                   E pria che cada il giorno,
 ella forse morrà, senza che n’abbia
 il tuo braccio l’onor.
 MARZIANO
                                       Come?
 CLAUDIO
                                                       Valerio,
 un de’ primi ministri
670della mensa real, da me già vinto,
 le porgerà ne’ primi sorsi il tosco.
 MARZIANO
 Piacemi, purché cada.
 Sarà vano il velen? V’è la mia spada.
 
    L’alma corre alla vendetta
675ma costretta;
 né virtù le dà soccorso.
 
    A ragion preval natura
 e all’amor cede il rimorso.
 
 SCENA VII
 
 CLAUDIO e ALBINA
 
 CLAUDIO
 Amistà, che non puoi?
 ALBINA
                                            Claudio.
 CLAUDIO
                                                              (Importuna!)
 ALBINA
680Il tradito amor mio viene a cercarti.
 CLAUDIO
 Fuor di tempo ei ti guida. Albina, parti.
 ALBINA
 Cerca ognor l’infedel tempo e pretesto.
 Vo’ che qui tu risolva. Il tempo è questo.
 CLAUDIO
 
    Non mi parlar di amor.
685Idee di più valor
 medita l’alma.
 
    Se il ciel mi arriderà,
 anche il tuo cor, chi sa?
 speri la calma.
 
 SCENA VIII
 
 ALBINA
 
 ALBINA
690Va’ pur. So le tue trame.
 Ho in man la mia vendetta.
 Sei perduto, se parlo; e parlar deggio,
 vilipesa e schernita.
 Giulia il saprà. Ma qual trofeo, qual gloria
695sarà la mia, veder per altra colpa
 spirar quell’empio core
 che svenar deggio al mio tradito amore?
 Non importa. Egli cada
 e, se cade per me, mio n’è l’onore.
700Sappia Giulia... Che penso?
 Io di Sallustia il padre esporre a morte?
 Io far che si confonda
 col sangue reo di un’innocente il pianto?
 No, con miglior consiglio
705a Sallustia si sveli ’l reo disegno.
 Si consoli ’l suo duolo.
 Poi l’ira mia farà perir l’indegno.
 
    Dell’infido a te si aspetta
 la vendetta,
710mia oltraggiata fedeltà.
 
    Se tacendo or lo difendo,
 è furore e sembra amore,
 è fierezza e par pietà.
 
 Sala apparecchiata per convito.
 
 SCENA IX
 
 SALLUSTIA in abito servile, con seguito di ministri che vanno imbandendo la mensa
 
 SALLUSTIA
 Servi, alla ricca mensa in vasi d’oro
715recate i cibi eletti.
 Coronate le tazze; e ardete intorno
 odorosi profumi.
 Eccomi a voi compagna, ove poc’anzi
 sedea sovrana; e pur lo soffro in pace,
720non perché i mali miei
 stupida m’abbian resa e non li senta
 ma perché in rivederti,
 o mio dolce signor, sarò contenta.
 
 SCENA X
 
 SALLUSTIA e ALBINA
 
 ALBINA
 Impietosito è di tue pene il fato;
725i tuoi mali avran fine.
 SALLUSTIA
 Faccian gli dii; ma non lo spero, Albina.
 ALBINA
 Quando più l’innocenza
 dispera di conforto, allora il trova.
 SALLUSTIA
 Ah, qual poter v’è mai che sia più forte
730di Giulia e del suo sdegno?
 ALBINA
                                                    Amore e morte.
 SALLUSTIA
 Qual morte? Qual amor?
 ALBINA
                                                Quello del padre
 che tutto porrà in opra e tosco e ferro.
 SALLUSTIA
 Ferro e velen! Di’ tosto. In sen si scuote
 l’alma, s’agita il sangue; e gelo e sudo.
735Che sarà mai!
 ALBINA
                             Da questa
 turba servile allontaniamci alquanto,
 onde alcun non ci ascolti.
 SALLUSTIA
                                                O stelle! O dei!
 Crescer possono ancora i mali miei? (Si ritirano in disparte e parlano sottovoce. Poi Albina parte)
 
 SCENA XI
 
 ALESSANDRO, MARZIANO e le suddette in disparte
 
 ALESSANDRO
 Molto del giorno ancor rimane; e ancora
740spero placar la madre.
 MARZIANO
                                           E se costante
 nell’ira ella persiste,
 ti accheta col mio esempio. Anch’io son padre;
 e del voler di lei pur mi fo legge.
 ALESSANDRO
 Oh, fosse in me il tuo core!
745Ma forse in tal disastro
 abbiam tu più virtude ed io più amore.
 
 SCENA XII
 
 GIULIA e i suddetti
 
 GIULIA
 Alla mensa, alla mensa. I gravi affetti
 stien lungi e ilarità condisca i cibi.
 ALESSANDRO
 I miei laverà il pianto.
 GIULIA
750Duce, con noi ti affidi.
 MARZIANO
 Al grande onor sol tua bontà m’innalza.
 GIULIA
 Ma Sallustia ritrosa
 al ministero imposto? Io non la veggo.
 SALLUSTIA
 L’hai pronta, umil tua serva.
 GIULIA
                                                      Il gioco e il riso
755alla mensa real scherzino intorno;
 e si disciolga in liete danze il piede. (Siedono a mensa Giulia, Alessandro e Marziano e poi segue il ballo)
 Del più dolce Falerno
 empietemi la tazza, onde dal seno
 certa ne sgombri incognita amarezza.
 MARZIANO
760(Or punita vedrò la tua fierezza).
 SALLUSTIA
 (Eccomi al gran cimento. Alma, sta’ forte).
 Guardati. Al primo sorso
 nella tazza letal berrai la morte.
 ALESSANDRO
 Che sento?
 MARZIANO
                        (O dei!) (Tutti levandosi)
 GIULIA
                                          Son queste
765di Tebe e di Tieste
 l’orride cene?
 SALLUSTIA
                            È di mortal veleno
 misto il dolce liquor che ti si porge.
 Fanne barbara prova
 in chi di morte è reo;
770e se di me non trovi
 chi più colpevol sia dentro il tuo core,
 porgilo a me che almeno
 finirò con la morte il mio dolore.
 MARZIANO
 (O troppo incauta figlia! E come il seppe?)
 ALESSANDRO
775Madre, la tua salvezza
 devi a tanta virtù. Deh, placa l’ire.
 GIULIA
 Dal caso atroce istupidita io sono.
 A me tosco? A me morte? Ah, da qual mano,
 da qual core esce il colpo?
780Tu che salvi i miei giorni,
 svelami ’l traditor. Da un’altra morte,
 che mi dà un rio timor, Giulia difendi.
 Se il reo mi occulti, il benefizio offendi.
 SALLUSTIA
 (Giulia è difesa. Or non si accusi ’l padre).
 GIULIA
785Parla, Sallustia, e attendi
 dal mio grato dover ciò che più brami.
 SALLUSTIA
 Ciò che più bramo è che nel cor sepolto
 mi resti ’l grande arcano;
 parlai non chiesta; tacerò costretta;
790e il mio forte silenzio
 sarà dovere e tu il dirai vendetta.
 GIULIA
 Non aspettar ch’io scenda,
 dopo un comando, alla viltà de’ preghi.
 Molto sperar, se parli,
795e puoi molto temer, se dura il neghi.
 SALLUSTIA
 Vane son le lusinghe e le minacce.
 Parlai per zelo e taccio per virtude.
 GIULIA
 Sarà virtù celarmi un traditore?
 SALLUSTIA
 Già dissi ’l tradimento e ti salvai.
 GIULIA
800Chi asconde il reo, l’altrui delitto approva.
 SALLUSTIA
 Ciò che già oprai, di mia innocenza è prova.
 ALESSANDRO
 Deh, salvami la madre e parla, o cara.
 SALLUSTIA
 La madre ti salvai. Più dir non posso.
 GIULIA
 O protervo silenzio!
805Tutto per te si fa mio rischio. Io temo
 de’ miei più cari. Temo
 e ministri e custodi
 e Marziano e quanto veggio e penso.
 Che più? Nel mio periglio
810mi è oggetto di spavento insino il figlio.
 MARZIANO
 Lasciatemi, o dell’alma
 stupidezze e ribrezzi. È tempo alfine
 che a figlia sì ostinata
 favelli ’l padre. Guardami e ravvisa
815chi ti parla e a chi parli.
 Da me forse col sangue e con la vita
 ricevesti l’esempio
 di reità, di fellonia proterva?
 SALLUSTIA
 (Anche il padre a’ miei danni?)
 MARZIANO
820Su, parla; e dall’infamia
 purga il mio sangue e l’onor mio. Che tardi?
 Nova colpa diventa ogni dimora.
 Parla; tel chiede un padre.
 Ma prima di parlar guardami ancora.
 SALLUSTIA
825Padre, che dir poss’io? Sono innocente;
 e rio destin vuol che colpevol sembri.
 È delitto il silenzio; è colpa il dire.
 Altro non resta a me, se non morire.
 GIULIA
 E ben, morrai, superba. Alle mie stanze
830guidatela, o custodi. Ivi dal seno
 a forza ti trarrò l’alma o l’arcano.
 SALLUSTIA
 Quella il puoi far. Questo lo speri invano.
 
    La mia augusta è mia tiranna.
 Anche il padre mi condanna.
835Altro scampo non ho
 che l’innocenza.
 
    Ma in tanta crudeltà
 forte mi troverà
 la ria sentenza.
 
 SCENA XIII
 
 GIULIA, ALESSANDRO, MARZIANO e CLAUDIO
 
 GIULIA
840Chi ’l veleno tentò, tentar può il ferro.
 Per Giulia è mal sicura anche la reggia,
 figlio, se l’amor tuo non la difende.
 ALESSANDRO
 A prezzo anche del sangue
 io la custodirò dal tradimento.
845Claudio, a tempo giungesti.
 Il tuo zel, la tua fede
 vegli a pro della madre.
 Raddoppiale gli armati e le difese.
 CLAUDIO
 Signore, a man più forte e più fedele
850non puoi lasciarla. In me riposa e spera.
 GIULIA
 Tema, in alma real quanto sei fiera!
 
    In sì torbida procella
 cerco invano amica stella.
 Non ho porto e non ho sponda.
 
855   Sol fra scogli ondeggio ed erro.
 E dal legno, a cui mi afferro,
 mi rispinge il vento e l’onda.
 
 SCENA XIV
 
 ALESSANDRO, MARZIANO e CLAUDIO
 
 ALESSANDRO
 Son teco. Ah, Marziano,
 per racquistar la sposa,
860ecco aperta la via. Parli Sallustia
 e placata è la madre e lieto il figlio.
 MARZIANO
 Non parlerà. Sallustia è più che scoglio
 dal mar battuto e più che rupe al vento.
 ALESSANDRO
 Chi sa? Forse il mio amor ne avrà il trionfo.
 MARZIANO
865È nota al genitor l’alma ostinata;
 e indegna del tuo amor sarà l’ingrata.
 ALESSANDRO
 
    Sia speme o inganno,
 lieti pensieri,
 voi dite all’alma
870che non disperi.
 
    Col darvi fede,
 scemo l’affanno
 né sento il danno,
 benché siate menzogneri.
 
 SCENA XV
 
 MARZIANO e CLAUDIO
 
 MARZIANO
875Ci fu avversa la sorte
 nel primo colpo.
 CLAUDIO
                                 Lo schermì la figlia.
 MARZIANO
 Come a lei noto?
 CLAUDIO
                                  Io son confuso, o duce.
 MARZIANO
 Non si perda l’ardir. Mancato il primo,
 resta l’altro e più forte.
 CLAUDIO
880Né cadrà a voto. In poter nostro abbiamo
 Giulia e la reggia.
 MARZIANO
                                   E di ogni parte a lei
 sarà chiuso lo scampo e la difesa.
 CLAUDIO
 Regga il destin la ben guidata impresa.
 MARZIANO
 
    Cervetta timida
885in largo piano
 seguir talvolta
 si scorge invano
 dal cacciator.
 
    Ma se ogni strada
890l’è chiusa e tolta,
 convien che cada
 nel teso laccio
 o sotto il braccio
 del feritor.
 
 SCENA XVI
 
 CLAUDIO e ALBINA
 
 CLAUDIO
895Da qual labbro scoperte almen sapessi
 le infelici mie trame!
 ALBINA
 Claudio, gran turbamento
 ti leggo in fronte.
 CLAUDIO
                                  Il sol vedere Albina
 n’empie il mio seno e me ne sparge il volto.
 ALBINA
900Eh, con occhio sì avverso
 so che non guardi Albina. Alfin non sono
 donna odiosa al popolo e al Senato;
 né col tosco m’insidi e non col ferro.
 CLAUDIO
 (Qual favellar!)
 ALBINA
                               A Claudio
905del mio amor più non parlo. Al degno amante
 della gloria e di Roma,
 al nimico di Giulia
 opre grandi rammento e illustri imprese.
 CLAUDIO
 (Ah, purtroppo a costei tutto è palese!)
 ALBINA
910(Il perfido è confuso).
 Misero! Sei tradito.
 CLAUDIO
 Cieli! Da chi?
 ALBINA
                            Brami saperlo?
 CLAUDIO
                                                          Albina,
 deh, se pur m’ami...
 ALBINA
                                        Or quell’amore implori
 che tu tradisti? E quell’Albina or preghi
915che ti colma di orror solo in vederla?
 CLAUDIO
 I rimproveri tuoi son giusti e atroci;
 ma dimmi ’l traditor.
 ALBINA
                                          Di Giulia al trono
 ei trar volea l’accusa. Io lo rattenni.
 CLAUDIO
 Quanto ti deggio!
 ALBINA
                                   Or più farò. Al tuo aspetto
920guiderò l’infedele e alla sua pena.
 CLAUDIO
 Sì, farò ch’egli cada
 sotto la mia vendicatrice spada.
 ALBINA
 Piacemi. In ravvisarlo
 vedi che il volto suo non ti confonda.
 CLAUDIO
925A te, più ch’ora il labbro,
 il mio core e il mio braccio allor risponda.
 ALBINA
 Vanne alle auguste terme e là mi aspetta.
 CLAUDIO
 E spettator ti avrà la mia vendetta.
 
    Su le tue luci istesse
930l’infido svenerò;
 e al piè ti gitterò
 quel teschio esangue.
 
    Non troverà pietà;
 e la sua colpa enorme
935appena laverà
 tutto il suo sangue.
 
 SCENA XVII
 
 ALBINA
 
 ALBINA
 Detto avesse l’infido:
 «Albina, tu mi salvi e deggio amarti».
 Ei sol pensa all’offesa e alla vendetta;
940ma la fede è negletta;
 si trascura il dover; si obblia l’amore.
 Proterva infedeltà! Povero core!
 
    Fidi amori, or sì dolenti,
 spero ancor di darvi pace.
 
945   L’infedel non vi spaventi,
 che, se in base di costanza
 fondo il core e la speranza,
 non son vana e non audace.
 
 Il fine dell’atto secondo