Alessandro Severo, Venezia, Rossetti, 1717

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Logge imperiali.
 
 ALESSANDRO, e SALLUSTIA da varie parti
 
 ALESSANDRO
 (Sallustia... Aimè! Qual vista?)
 SALLUSTIA
480Sposo, ti lascio. Piace
 così al destin; così a la madre; quasi
 vorrei che così ancora
 piacesse a te, per non lasciarti in pianto.
 Il tuo pianto, il tuo duolo
485è la maggior mia pena,
 che, lontana da te, pur mi saria
 qualche piccol conforto
 il saperti contento, anima mia.
 ALESSANDRO
 Tu parti? Ah! Quest’annunzio è la mia morte.
490Senza te... Dai singhiozzi
 chiusa è la voce e s’apre il varco al pianto.
 SALLUSTIA
 E a me, la più dolente e la più afflitta,
 che non ho chi mi aiti e mi consoli,
 a me che tutto perdo,
495amici e patria e padre e regno e sposo,
 toccherà il duro ufficio
 di consolarti? Sì, caro Alessandro,
 rimanti, e te ne priego,
 lieto rimanti e fortunato; e quando
500abbia pur l’amor mio
 a turbar la tua gioia e ’l tuo riposo,
 perdine la memoria e vivi in pace.
 Ama la nuova sposa. Ama la prole
 che tardi a te succeda
505ne l’impero del mondo. Ama la madre,
 per cui vado in esiglio;
 né mai le rinfacciar la mia sventura.
 ALESSANDRO
 Io lieto? Io d’altra? E credi
 sì fiacco il mio martire?
510Ah! Senza te non amo
 né posso, senza te, se non morire.
 SALLUSTIA
 
    Tu morir? Crudel! Perché?
 
 ALESSANDRO
 
 Perché sei cor del mio core.
 
 SALLUSTIA
 
    Vivi in onta al tuo dolore,
515se pur hai pietà di me.
 
 ALESSANDRO
 
    Ti ho pietà; ma vuole amore
 ch’io non viva senza te.
 
 SALLUSTIA
 
    Tu morir? Crudel! Perché?
 
 SCENA II
 
 GIULIA con seguito e detti
 
 GIULIA
 Eccomi in tuo soccorso, eccomi, o figlio.
 ALESSANDRO
520Madre.
 GIULIA
                 Costei t’insidia;
 e con le sue lusinghe
 o ti rende infelice o ti vuol reo.
 Vanne, o donna, al tuo esiglio.
 Degna di te già l’Affrica ti attende.
525Son questi i tuoi custodi.
 SALLUSTIA
 Parto, mia augusta, parto.
 Solo pria di partir lascia ch’io baci
 la man che mi condanna.
 GIULIA
 Questa mano altre volte
530ti diè scettro e corona.
 SALLUSTIA
                                           Or la corona
 ripigliati e lo scetro.
 GIULIA
                                       Ella sul trono
 de’ cesari ti pose.
 SALLUSTIA
                                   Io ne discendo;
 né mi costa il lasciarlo
 una lagrima sola.
 GIULIA
535Ella il mio cor... Ma, ingrata,
 che più darti potea dopo il mio figlio?
 SALLUSTIA
 E questo, e questo è il dono
 che in perderlo mi costa e pianto e sangue.
 Vedilo, eccelsa madre. Io te lo rendo;
540e tel rendo innocente
 né d’altra colpa reo
 che di aver troppo amata un’infelice.
 ALESSANDRO
 L’ascolto e vivo?
 SALLUSTIA
                                 Augusta,
 a l’amor tuo lo lascio.
545Tu lo consola. Al vedovo suo letto
 scegli sposa più degna e più gentile.
 Questo il puoi far, ma più fedel non mai,
 che troppo, idolo mio, troppo t’amai.
 GIULIA
 Se la virtù, che hai nel tuo fato avverso,
550tra le prosperità serbata avessi,
 misera or non saresti.
 Io ti ho qualche pietà; ma a te più fasto,
 a me daria più tema
 un facile perdono.
555Vattene. Al tuo destino io ti abbandono.
 SALLUSTIA
 Addio, augusta; addio, sposo. Ah! Mi perdona,
 se ancor mi uscì dal labbro il dolce nome,
 nome che mai non mi uscirà dal core.
 Questa è l’ultima volta
560che il posso dir. Vado al mio duro esiglio.
 Là farò voti al cielo
 e per Roma e per Giulia e per il figlio.
 ALESSANDRO
 Tu parti, idolo mio?
 SALLUSTIA
 
    Io ti lascio, o sposo amato;
565dar vorrei l’ultimo amplesso;
 ma mi basta un guardo solo.
 
    Fa’ che almen mi sia concesso
 il saper che vivi e regni
 sposo altrui più fortunato;
570né saprai tu ’l mio gran duolo.
 
 SCENA III
 
 ALESSANDRO e GIULIA
 
 ALESSANDRO
 Madre, pietà.
 GIULIA
                            Col torti
 dal fianco di costei t’uso pietade.
 ALESSANDRO
 In che peccò la misera innocente?
 GIULIA
 La giudichi col tuo, non col mio core.
 ALESSANDRO
575L’amai per tuo comando.
 GIULIA
 Ora è comando mio che più non l’ami.
 ALESSANDRO
 Temi dunque il mio amor?
 GIULIA
                                                    Temo il suo fasto.
 Mi tolse il grado mio. Può tormi il figlio.
 Vada, vada in esiglio.
 ALESSANDRO
580Madre, ognor ti amerò. Troppo ti deggio.
 GIULIA
 Dovea molto a la madre anche Nerone;
 e pur materno sangue
 spruzzò il trono de’ cesari.
 ALESSANDRO
                                                  Quell’empio
 forse son io?
 GIULIA
                          Nol sei;
585ma un amor da Poppea temo in costei.
 Vada pure al suo bando.
 Il Senato lo approva. Io lo comando.
 ALESSANDRO
 Nulla potrà un augusto?
 GIULIA
                                              Io tal ti feci.
 ALESSANDRO
 Mi servirò del mio poter.
 GIULIA
                                                Su via,
590si ritratti il ripudio e la sentenza.
 Torni la sposa e vi anderà la madre.
 ALESSANDRO
 (O implacabile cor). Lagrime e preghi...
 GIULIA
 Non giovano.
 ALESSANDRO
                           Il mio sangue
 giovi dunque a placarti. Io corro al lido;
595e colà, sciolto il fatal legno appena,
 o questo ferro immergerò nel petto
 o me ancor rapiran l’onde frementi.
 GIULIA
 (Aimè! Di spaventarmi
 si è trovata la via). Ferma, o spietato.
 ALESSANDRO
600Non si può tor la morte a un disperato.
 GIULIA
 
    Ferma... Ascolta...
 
 ALESSANDRO
 
    Non ascolto che il tuo sdegno;
 seguo solo il mio dolore.
 
    Odio il giorno, abborro il regno
605e ’l dolor divien furore.
 
 SCENA IV
 
 GIULIA
 
 GIULIA
 Ferma, crudel. Son vinta.
 Torni... Che fo? Qual debolezza è questa?
 Qual disonore? Io rivocar l’esiglio?
 Ma se poi tratto il figlio
610dal suo furore?... Eh! Perdita di moglie
 non mai guida a morir. Parta la rea
 e con l’ombre ella parta.
 Né questo dì da l’ire mie si perda.
 L’aureo manto deponga;
615ed in grado servil Roma la vegga,
 ove augusta imperò, starsene ancella.
 Avvilita beltà non è più quella.
 
 SCENA V
 
 GIULIA, MARZIANO e CLAUDIO
 
 MARZIANO
 Augusta, onor del Tebro, amor di Roma...
 GIULIA
 Duce, non sei nel campo? In Roma forse
620ti richiama la figlia?
 MARZIANO
 Non è più figlia mia chi a te fu ingrata.
 Rispettar la superba in te dovea
 la sua benefattrice e la sua augusta.
 La man, che la punisce, è sempre giusta.
 GIULIA
625O degno genitor di miglior figlia!
 CLAUDIO
 (Cauto l’ire nasconde).
 MARZIANO
 Più non sa d’esser padre
 chi sa d’esser vassallo. A pro del trono
 sparsi sangue e sudor.
 GIULIA
                                           Giulia in te onora
630la difesa miglior del nostro impero.
 MARZIANO
 Contra i Parti nemici
 andrò duce e guerriero,
 purché l’augusta Giulia
 del mio cesare al voto aggiunga il suo.
 CLAUDIO
635Me pur cesare elesse
 duce de’ suoi custodi.
 Se ’l tuo cor non vi assente,
 rinunzio il grado.
 GIULIA
                                   Ambo mi siete amici,
 che, a chi serve con fede al figlio mio
640e di Roma a l’onor, grata son io.
 
    Non ho in petto un’alma ingrata.
 So punir e so premiar.
 
    Contra il fasto armo il rigor.
 Con la fede uso l’amor.
645L’arte è questa del regnar,
 saper farsi temer e farsi amar.
 
 SCENA VI
 
 MARZIANO, CLAUDIO e poi ALBINA in disparte
 
 MARZIANO
 Ne osserva alcun?
 CLAUDIO
                                    Siam soli.
 MARZIANO
 Qual m’infinsi, vedesti?
 CLAUDIO
                                               E ne stupii.
 ALBINA
 (Qui l’infedel?)
 MARZIANO
                                Per più celar le trame
650tradii natura e condannai la figlia.
 ALBINA
 (Vo’ sorprenderlo solo).
 CLAUDIO
 Sul labbro a Marziano
 Giulia trovò l’eroe ma non il padre.
 MARZIANO
 La vendetta più cauta è la più certa.
 CLAUDIO
655E la meno temuta è la più fiera.
 MARZIANO
 Tutto svelo al tuo core.
 ALBINA
                                           (Io tutto ascolto).
 MARZIANO
 Sul tramontar del giorno entro la reggia
 forte stuolo di armati
 per via segreta introdurrò. Le stanze
660occuperò di Giulia.
 Tu, cui commessa è la custodia interna,
 co’ tuoi mi assisti.
 CLAUDIO
                                    E ’l puoi sperar. Mi unisce
 a te lunga amistade.
 Dal favor di Sallustia ottenni il grado.
665L’altera Giulia abborro,
 donna odiosa al popolo e al Senato.
 ALBINA
 (Trame funeste!)
 CLAUDIO
                                   E pria che cada il giorno,
 ella forse morrà, senza che n’abbia
 il tuo braccio l’onor.
 MARZIANO
                                       Come?
 CLAUDIO
                                                       Valerio,
670un de’ primi ministri
 de la mensa real, da me già vinto,
 le porgerà ne’ primi sorsi il tosco.
 MARZIANO
 Piacemi, purché cada.
 Sarà vano il velen? V’è la mia spada.
 
675   L’alma corre a la vendetta
 ma costretta;
 né virtù le dà soccorso.
 
    A ragion preval natura
 e a l’amor cede il rimorso.
 
 SCENA VII
 
 CLAUDIO e ALBINA
 
 CLAUDIO
680Amistà, che non puoi?
 ALBINA
                                            Claudio.
 CLAUDIO
                                                              (Importuna!)
 ALBINA
 Il tradito amor mio viene a cercarti.
 CLAUDIO
 Fuor di tempo ei ti guida. Albina, parti.
 ALBINA
 Cerca ognor l’infedel tempo e pretesto.
 Vo’ che qui tu risolva. Il tempo è questo.
 CLAUDIO
 
685   Non mi parlar d’amor.
 Idee di più valor
 medita l’alma.
 
    Se il ciel mi arriderà,
 anche il tuo cor, chi sa?
690speri la calma.
 
 SCENA VIII
 
 ALBINA
 
 ALBINA
 Va’ pur. So le tue trame.
 Ho in man la mia vendetta.
 Sei perduto, se parlo; e parlar deggio
 vilipesa e schernita.
695Giulia il saprà. Ma qual trofeo, qual gloria
 sarà la mia, veder per altra colpa
 spirar quell’empio core
 che svenar deggio al mio tradito amore?
 Non importa. Egli cada
700e, se cade per me, mio n’è l’onore.
 Sappia Giulia... Che penso?
 Io di Sallustia il padre esporre a morte?
 Io far che si confonda
 col sangue reo di un’innocente il pianto?
705No, con miglior consiglio
 a Sallustia si sveli il reo disegno.
 Si consoli il suo duolo.
 Poi l’ira mia farà perir l’indegno.
 
    De l’infido a te s’aspetta
710la vendetta,
 mia oltraggiata fedeltà.
 
    Se tacendo or lo difendo,
 è furore e sembra amore,
 è fierezza e par pietà.
 
 SCENA IX
 
 Sala apparecchiata per convito.
 
 SALLUSTIA in abito servile, con seguito di ministri che vanno imbandendo la mensa
 
 SALLUSTIA
715Servi, a la ricca mensa in vasi d’oro
 recate i cibi eletti.
 Coronate le tazze; e ardete intorno
 odorosi profumi.
 Eccomi a voi compagna, ove poc’anzi
720sedea sovrana; e pur lo soffro in pace,
 non perché i mali miei
 stupida m’abbian resa e non li senta
 ma perché in rivederti,
 o mio dolce signor, sarò contenta.
 
 SCENA X
 
 ALBINA e SALLUSTIA
 
 ALBINA
725Impietosito è di tue pene il fato;
 i tuoi mali avran fine.
 SALLUSTIA
 Faccian gli dii; ma non lo spero, Albina.
 ALBINA
 Quando più l’innocenza
 dispera di conforto, alora il trova.
 SALLUSTIA
730Ah! Qual poter v’è mai che sia più forte
 di Giulia e del suo sdegno?
 ALBINA
                                                    Amore e morte.
 SALLUSTIA
 Qual morte, qual amor?
 ALBINA
                                              Quello del padre
 che tutto porrà in opra e tosco e ferro.
 SALLUSTIA
 Ferro e velen? Di’ tosto. In sen si scuote
735l’alma, s’agita il sangue; e gelo e sudo.
 Che sarà mai?
 ALBINA
                              Da questa
 turba servile allontaniamci alquanto,
 onde alcun non ci ascolti.
 SALLUSTIA
                                                O stelle! O dei!
 Crescer possono ancora i mali miei. (Si ritirano in disparte e parlano sottovoce. Poi Albina parte)
 
 SCENA XI
 
 ALESSANDRO, MARZIANO e le suddette in disparte
 
 ALESSANDRO
740Molto del giorno ancor rimane; e ancora
 spero placar la madre.
 MARZIANO
                                           E se costante
 ne l’ira ella persiste,
 ti accheta col mio esempio. Anch’io son padre;
 e del voler di lei pur mi fo legge.
 ALESSANDRO
745Oh! Fosse in me il tuo core!
 Ma forse in tal disastro
 abbiam tu più virtude ed io più amore.
 
 SCENA XII
 
 GIULIA e li suddetti
 
 GIULIA
 A la mensa, a la mensa. I gravi affetti
 stien lungi e ilarità condisca i cibi.
 ALESSANDRO
750I miei laverà il pianto.
 GIULIA
 Duce, con noi ti affidi.
 MARZIANO
 Al grande onor sol tua bontà m’innalza.
 GIULIA
 Ma Sallustia ritrosa
 al ministero imposto? Io non la veggo.
 SALLUSTIA
755L’hai pronta, umil tua serva.
 GIULIA
                                                      Il giuoco e ’l riso
 a la mensa real scherzino intorno;
 e si disciolga in liete danze il piede. (Siedono a mensa Giulia, Alessandro e Marziano e poi segue il ballo)
 Del più dolce Falerno
 empietemi la tazza, onde dal seno
760certa ne sgombri incognita amarezza.
 MARZIANO
 (Or punita vedrò la tua fierezza).
 SALLUSTIA
 (Eccomi al gran cimento. Alma, sta’ forte).
 Guardati. Al primo sorso
 ne la tazza letal berrai la morte.
 ALESSANDRO
765Che sento?
 MARZIANO
                        (O dei!) (Tutti levandosi)
 GIULIA
                                          Son queste
 di Tebe e di Tieste
 l’orride cene?
 SALLUSTIA
                            È di mortal veleno
 misto il dolce liquor che ti si porge.
 Fanne barbara prova
770in chi di morte è reo;
 e se di me non trovi
 chi più colpevol sia dentro il tuo core,
 porgilo a me che almeno
 finirò con la morte il mio dolore.
 MARZIANO
775(O troppo incauta figlia! E come il seppe?)
 ALESSANDRO
 Madre, la tua salvezza
 devi a tanta virtù. Deh! Placa l’ire.
 GIULIA
 Dal caso atroce istupidita io sono.
 A me tosco? A me morte? Ah! Da qual mano,
780da qual core esce il colpo?
 Tu che salvi i miei giorni,
 svelami il traditor. Da un’altra morte,
 che mi dà un rio timor, Giulia difendi.
 Se il reo mi occulti, il beneficio offendi.
 SALLUSTIA
785(Giulia è difesa. Or non si accusi il padre).
 GIULIA
 Parla, Sallustia, e attendi
 dal mio grato dover ciò che più brami.
 SALLUSTIA
 Ciò che più bramo è che nel cor sepolto
 mi resti il grande arcano;
790parlai non chiesta; tacerò costretta;
 e ’l mio forte silenzio
 sarà dovere e tu ’l dirai vendetta.
 GIULIA
 Non aspettar ch’io scenda,
 dopo un comando, a la viltà dei prieghi.
795Molto sperar, se parli,
 e puoi molto temer, se dura il nieghi.
 SALLUSTIA
 Vane son le lusinghe e le minacce.
 Parlai per zelo e taccio per virtude.
 GIULIA
 Sarà virtù celarmi un traditore?
 SALLUSTIA
800Già dissi il tradimento e ti salvai.
 GIULIA
 Chi asconde il reo, l’altrui delitto approva.
 SALLUSTIA
 Ciò che già oprai, di mia innocenza è prova.
 ALESSANDRO
 Deh! Salvami la madre e parla, o cara.
 SALLUSTIA
 La madre ti salvai. Più dir non posso.
 GIULIA
805O protervo silenzio!
 Tutto per te si fa mio rischio. Io temo
 de’ miei più cari. Temo
 e ministri e custodi
 e Marziano e quanto veggio e penso.
810Che più? Nel mio periglio
 mi è oggetto di spavento insino il figlio.
 MARZIANO
 Lasciatemi, o de l’alma
 stupidezze e ribrezzi. È tempo alfine
 che a figlia sì ostinata
815favelli il padre. Guardami e ravvisa
 chi ti parla e a chi parli.
 Da me forse col sangue e con la vita
 ricevesti l’esempio
 di reità, di fellonia proterva?
 SALLUSTIA
820(Anche il padre a’ miei danni?)
 MARZIANO
 Su, parla; e da l’infamia
 purga il mio sangue e l’onor mio. Che tardi?
 Nuova colpa diventa ogni dimora.
 Parla; tel chiede un padre.
825Ma prima di parlar guardami ancora.
 SALLUSTIA
 Padre, che dir poss’io? Sono innocente;
 e rio destin vuol che colpevol sembri.
 È delitto il silenzio; è colpa il dire.
 Altro non resta a me, se non morire.
 GIULIA
830E ben, morrai, superba. A le mie stanze
 guidatela, o custodi. Ivi dal seno
 a forza ti trarrò l’alma o l’arcano.
 SALLUSTIA
 Quella il puoi far. Questo lo speri invano.
 
    La mia augusta è mia tiranna.
835Anche il padre mi condanna.
 Altro scampo non ho
 che l’innocenza.
 
    Ma in tanta crudeltà
 forte mi troverà
840la ria sentenza.
 
 SCENA XIII
 
 GIULIA, ALESSANDRO, MARZIANO e CLAUDIO
 
 GIULIA
 Chi ’l veleno tentò, tentar può ’l ferro.
 Per Giulia è mal sicura anche la reggia,
 figlio, se l’amor tuo non la difende.
 ALESSANDRO
 A prezzo anche del sangue
845io la custodirò dal tradimento.
 Claudio, a tempo giungesti.
 Il tuo zel, la tua fede
 vegli a pro de la madre.
 Raddoppiale gli armati e le difese.
 CLAUDIO
850Signore, a man più forte e più fedele
 non puoi lasciarla. In me riposa e spera.
 GIULIA
 Tema, in alma real quanto sei fiera!
 
    In sì torbida procella
 cerco invano amica stella.
855Non ho porto e non ho sponda.
 
    Sol fra scogli ondeggio ed erro
 e dal legno, a cui m’afferro,
 mi rispinge il vento e l’onda.
 
 SCENA XIV
 
 ALESSANDRO, MARZIANO e CLAUDIO
 
 ALESSANDRO
 Son teco. Ah! Marziano,
860per racquistar la sposa,
 ecco aperta la via. Parli Sallustia
 e placata è la madre e lieto il figlio.
 MARZIANO
 Non parlerà. Sallustia è più che scoglio
 dal mar battuto e più che rupe al vento.
 ALESSANDRO
865Chi sa? Forse il mio amor ne avrà il trionfo.
 MARZIANO
 È nota al genitor l’alma ostinata
 e indegna del tuo amor sarà l’ingrata.
 ALESSANDRO
 
    Sia speme o inganno,
 lieti pensieri,
870voi dite a l’alma
 che non disperi.
 
    Col darvi fede,
 scemo l’affanno
 né sento il danno,
875benché siate menzogneri.
 
 SCENA XV
 
 MARZIANO e CLAUDIO
 
 MARZIANO
 Ci fu avversa la sorte
 nel primo colpo.
 CLAUDIO
                                 Lo schermì la figlia.
 MARZIANO
 Come a lei noto?
 CLAUDIO
                                  Io son confuso, o duce.
 MARZIANO
 Non si perda l’ardir. Mancato il primo,
880resta l’altro e più forte.
 CLAUDIO
 Né cadrà a voto. In poter nostro abbiamo
 Giulia e la reggia.
 MARZIANO
                                   E d’ogni parte a lei
 sarà chiuso lo scampo e la difesa.
 CLAUDIO
 Regga il destin la ben guidata impresa.
 MARZIANO
 
885   Cervetta timida
 in largo piano
 seguir talvolta
 si scorge invano
 dal cacciator.
 
890   Ma se ogni strada
 le è chiusa e tolta,
 convien che cada
 nel teso laccio
 o sotto il braccio
895del feritor.
 
 SCENA XVI
 
 CLAUDIO e ALBINA
 
 CLAUDIO
 Da qual labbro scoperte almen sapessi
 le infelici mie trame!
 ALBINA
 Claudio, gran turbamento
 ti leggo in fronte.
 CLAUDIO
                                  Il sol vedere Albina
900n’empie il mio seno e me ne sparge il volto.
 ALBINA
 Eh! Con occhio sì avverso
 so che non guardi Albina. Alfin non sono
 donna odiosa al popolo e al Senato;
 né col tosco m’insidi e non col ferro.
 CLAUDIO
905(Qual favellar?)
 ALBINA
                                A Claudio
 del mio amor più non parlo. Al degno amante
 de la gloria e di Roma,
 al nemico di Giulia
 opre grandi rammento e illustri imprese.
 CLAUDIO
910(Ah! Purtroppo a costei tutto è palese).
 ALBINA
 (Il perfido è confuso).
 Misero! Sei tradito.
 CLAUDIO
 Cieli! Da chi?
 ALBINA
                            Brami saperlo?
 CLAUDIO
                                                          Albina,
 deh! se pur m’ami...
 ALBINA
                                        Or quell’amore implori
915che tu tradisti? E quell’Albina or prieghi
 che ti colma di orror solo in vederla?
 CLAUDIO
 I rimproveri tuoi son giusti e atroci;
 ma dimmi il traditor.
 ALBINA
                                          Di Giulia al trono
 ei trar volea l’accusa. Io lo rattenni.
 CLAUDIO
920Quanto ti deggio!
 ALBINA
                                   Or più farò. Al tuo aspetto
 guiderò l’infedele e a la sua pena.
 CLAUDIO
 Sì, farò ch’egli cada
 sotto la mia vendicatrice spada.
 ALBINA
 Piacemi. In ravvisarlo
925vedi che il volto suo non ti confonda.
 CLAUDIO
 A te, più ch’ora il labbro,
 il mio core e ’l mio braccio alor risponda.
 ALBINA
 Vanne a le auguste terme e là mi aspetta.
 CLAUDIO
 E spettator ti avrà la mia vendetta.
 
930   Su le tue luci istesse
 l’infido svenerò;
 e al piè ti gitterò
 quel teschio esangue.
 
    Non troverà pietà;
935e la sua colpa enorme
 appena laverà
 tutto il suo sangue.
 
 SCENA XVII
 
 ALBINA
 
 ALBINA
 Detto avesse l’infido:
 «Albina, tu mi salvi e deggio amarti».
940Ei sol pensa a l’offesa e a la vendetta;
 ma la fede è negletta;
 si trascura il dover; si obblia l’amore.
 Proterva infedeltà! Povero core!
 
    Fidi amori, or sì dolenti,
945spero ancor di darvi pace.
 
    L’infedel non vi spaventi
 che, se in base di costanza
 fondo il core e la speranza,
 non son vana e non audace.
 
 Fine dell’atto secondo