Costantino (Pariati), Venezia, Rossetti, 1711

 ATTO PRIMO
 
 Galleria di statue imperiali, fra le quali nel mezzo quella di Massimiano. Trono a parte.
 
 SCENA PRIMA
 
 EMILIA con spada ignuda e LEONE
 
 EMILIA
 Difenditi, spergiuro.
 LEONE
 Col tuo Leon tanto disdegno, Emilia?
 EMILIA
 Tu mio? Menti, fellon. Dacché tradisti
 la fé di sposa a me giurata in Roma,
5sei mio nemico e tale
 o spietato mi uccidi o ingrato mori.
 LEONE
 Mi vuoi morto? Ecco il petto.
 EMILIA
 (Ahi! Manca al braccio il core, al cor l’ardire).
 LEONE
 (D’una fiera beltà queste son l’ire).
 EMILIA
10Vivi, barbaro, vivi
 ma impunito non già. Cesare, Fausta
 con gli dei spergiurati avrò in soccorso;
 e tradita da te, da te negletta,
 chiamerò terra e cielo in mia vendetta.
 LEONE
15(Può turbarmi costei gli alti disegni.
 Si lusinghi e si plachi). Emilia, è vero,
 dacché servo in Marsiglia a’ cenni augusti
 meno fedel ti son. Più nobil fiamma
 vinse quel che m’ardea foco amoroso.
 EMILIA
20(L’iniquo!) E qual rival n’ha la vittoria?
 LEONE
 Non hai, fuorché la gloria, altra rivale.
 EMILIA
 Menzogne!
 LEONE
                        Non temer. Lascia ch’io giunga
 ove aspira il desio. Di te più degno
 tutto, o bella, il mio core alora avrai.
 EMILIA
25E se per altra a me sleal tu sei?
 LEONE
 Teco irati gli dei sfido a’ miei danni.
 EMILIA
 Crudel, so che m’inganni e pur ti credo.
 LEONE
 E ben mi credi. Or sol la gloria adoro.
 (Fingo con lei quando per Flavia io moro).
 EMILIA
 
30   Se fido a me sarai,
 ancor potrai placarmi,
 o traditor.
 
    Amante ancor puoi farmi,
 se l’ira mia disarmi
35con più costante amor.
 
 SCENA II
 
 MASSIMIANO e LEONE
 
 MASSIMIANO
 Caro Leone, ecco vicino il giorno
 del tuo, del mio riposo.
 Morirà Costantino.
 Tua sarà Flavia. Io tornerò sul soglio
40che già fu mio possesso, or mio cordoglio.
 LEONE
 Non si tema, o signor, che il solo indugio.
 Massimo, Saturnin, Pompilio e gli altri
 complici de l’arcano affrettan l’opra.
 MASSIMIANO
 Son tutti fidi?
 LEONE
                             Il sono. E quando ancora
45tra lor vi fosse alma codarda e iniqua,
 nulla si tema. Al sol Leone è noto
 che tu sei capo e guida. A tutti ’l tacqui;
 e non abbiam nemico altro che il tempo.
 MASSIMIANO
 E tempo non si attenda.
50Sol si attenda Licinio. Egli a noi riede
 da le Gallie già dome.
 LEONE
 Ma che speriam da lui? Cesare il vuole
 a l’impero compagno e sposo a Flavia.
 MASSIMIANO
 Né a Flavia né a regnar Licinio aspira;
55Fausta è ’l suo amore, ei quel di Fausta; e al loro
 vicendevole affetto applausi anch’io.
 LEONE
 Ma perché poi tradirne i dolci voti?
 E unir l’illustre figlia a Costantino?
 MASSIMIANO
 Un suocero d’augusto
60meno è sospetto ed è più forte. Il trono,
 su cui regna la figlia,
 mezzo è del padre. Il resto
 avrò dal valor nostro e da Licinio
 che odierà in Costantino il suo rivale.
65Io più l’irriterò. Se non compagno,
 non mi sarà nemico. A me la cura
 lascia di lui. Gli altri tu tieni in fede.
 Me debitor del gran successo avrai.
 LEONE
 Flavia mi basta. Essa è la mia mercede.
 MASSIMIANO
70Non basta a Massimian. Puote l’impero
 più cesari capir.
 LEONE
                                 Servo a te sono.
 MASSIMIANO
 Chiamami amico.
 LEONE
                                    (Avrò con Flavia il trono).
 
    Amor di beltà
 mi rende ardito e forte;
75ma più vigor mi dà l’alta mia fede.
 
    Arbitro di mia sorte,
 nume de’ voti miei,
 mio cesare tu sei,
 se ben non empi ancor l’augusta sede.
 
 SCENA III
 
 MASSIMIANO e poi FAUSTA
 
 MASSIMIANO
80Remora a le grandi opre,
 tardo e vile rimorso,
 da me che vuoi? Che chiedi? Alor dovevi
 empiermi del tuo gel, quando il diadema
 mi strappai da la fronte. Ora qual vissi
85morir cesare io voglio.
 Tutto è virtù ciò che mi rende al soglio.
 FAUSTA
 Di quel non lieve affanno,
 onde spargi la fronte, io vengo a parte,
 padre e signor.
 MASSIMIANO
                               Mal favellasti. Augusta
90non ha più padre.
 FAUSTA
                                    Come?
 Fausta io non son? Tu Massimian non sei?
 MASSIMIANO
 Né Massimian né son di Fausta il padre.
 Quegli che colà miri
 padre è di Fausta. A lui sul crin risplende
95l’aureo diadema. A lui
 cuopre gli omeri eccelsi il regio ammanto.
 Tal era Massimiano,
 tal di Fausta era il padre. In me nol vedi
 qual lo vedi nel sasso. Ah! Venga il giorno
100ch’ei torni a ricalcar porpora e trono;
 e Fausta alor mi dica
 che Massimiano e che suo padre io sono.
 FAUSTA
 Qual favellar? In questi
 ambiziosi sensi, è ver, perdona,
105né veggo Massimian né trovo il padre.
 Ma che parlo? Il comando
 da te già rifiutato...
 MASSIMIANO
 Taci, che un tal rifiuto è ’l mio rimorso.
 FAUSTA
 Meno cesare or sei di quel che fosti?
110Non è per te di Costantin l’amore?
 Fuorch’il titolo augusto, e che ti manca?
 Né questo manca. Ove tu ’l voglia, questo
 pur anch’avrai.
 MASSIMIANO
                               No no, solo a me stesso,
 per ben regnar, voglio dover l’impero.
115Io vi riposi un piede
 quando ti diedi a Costantino e quando
 ti tolsi, ahi! troppo ingiusto,
 a l’amor di Licinio e forse al tuo.
 FAUSTA
 Memoria acerba!
 MASSIMIANO
                                   Al nome di Licinio
120Fausta sospira?
 FAUSTA
                                Ah! Padre,
 tu a cesare mi desti. Era tua figlia
 e t’ubbidii. Perdona
 un sospiro innocente al nostro amore;
 né tiranno ti far sul mio dolore.
 MASSIMIANO
125Io t’ho pietà più che non pensi, o figlia.
 Odimi. Costantino oggi a Licinio,
 a Licinio che t’ama,
 vuol che Flavia sia sposa. Io son tuo padre.
 Voglio... Più dir non posso. A figlia amante,
130se tace il genitor, parli il dovere.
 Addio. Regno ed amore,
 figlia, sposo ed augusta unir potrai.
 Pensa. Io son padre; e ’l tuo dover tu sai.
 
 SCENA IV
 
 FAUSTA
 
 FAUSTA
 Qual dover? Quai consigli? Infausto giorno,
135di qual luce fatale
 per me t’accendi? A quante pene esposto,
 povero cor, tu sei? S’arma a’ tuoi danni
 un padre ambizioso,
 un marito geloso,
140un amante tradito,
 una rival felice.
 Ma tutto s’armi. E Flavia e sposo e padre
 e l’impero e Licinio e fasto e amore,
 tutto mi sia crudel, tutto funesto.
145Che pro? Son moglie. Il mio dovere è questo.
 
    Amor di figlia, taci.
 Pietà di amante, parti.
 Più non ti ascolto, no, più non ti sento.
 
    Dover di moglie, parla.
150Mia fé costante, vieni.
 Tu sei ’l mio piacer, tu il mio contento.
 
 SCENA V
 
 COSTANTINO e FLAVIA, con seguito, e FAUSTA
 
 COSTANTINO
 Ubbidienza cerco e non consiglio. (A Flavia)
 FLAVIA
 Sinch’è giusto il fratel, Flavia ubbidisce.
 COSTANTINO
 Non più, Fausta, qui in brieve
155da noi si attende il vincitor Licinio.
 FAUSTA
 Vinse per te. Tu qui l’onora. Io parto.
 COSTANTINO
 No, l’onori anche augusta e sapia e vegga
 qual mercede preparo a sì gran duce.
 FAUSTA
 Vi applaudirò.
 COSTANTINO
                              (Si turba).
160Compagno a me regga l’impero; e Flavia
 sia consorte al suo trono ed al suo letto.
 FLAVIA
 Nel trono che gli dai, premio ha che basta.
 COSTANTINO
 A me dar premi, a me dar legi aspetta.
 Taci. Lo scettro io gli offrirò. Da Fausta
165la consorte ei riceva e l’abbia a grado.
 FAUSTA
 Io, signor?...
 COSTANTINO
                          Sì, tu dei
 de l’eccelso imeneo recar le faci.
 FAUSTA
 (Misera me!)
 COSTANTINO
                            Che? Ti confondi e taci?
 FLAVIA
 Troppo esigon da noi l’aspre tue leggi.
 COSTANTINO
170Meno d’ardir. (A Flavia) Che pensi? (A Fausta)
 FAUSTA
 Ubbidirti, mio sire.
 COSTANTINO
 (Ma con sua pena). A noi vicino è ’l duce.
 Fausta mi siegua al trono e Flavia attenda. (Costantino e Fausta ascendono sul trono)
 FLAVIA
 
    (La ragion dell’amor mio
175e si taccia e si difenda).
 
 SCENA VI
 
 LICINIO con seguito e li suddetti
 
 LICINIO
 (Fausta anche qui? Soffri, o Licinio). Eccelso,
 felice Costantino, a’ tuoi vessili
 gloria serve e fortuna. A’ fasti tuoi
 il Gallo debellato
180nuovi titoli aggiunga e in ferma pace
 godano un secol d’oro
 per te i popoli fidi e tu per loro.
 COSTANTINO
 Quando de l’armi nostre il sommo impero
 al valor di Licinio abbiam commesso,
185certi fummo che i passi
 al trionfo ei volgea, più che al cimento.
 Or diasi il premio a l’opra.
 LICINIO
 Signor, quel solo bene,
 che bramar io potea, per me è perduto.
190Tu me l’hai tolto e non men dolgo. Io debbo
 anche co’ mali miei farti beato.
 FAUSTA
 (Fido ma sventurato).
 LICINIO
 Pur se premio dar cerchi a l’opre mie,
 perdona, io stesso il chiederò; ma prima
195al tuo piè si ritorni
 questa d’alto comando illustre insegna
 ch’ora in mia mano è inutil peso e grave. (Porta lo scettro a’ piedi di Costantino che lo riceve da le mani di Licinio)
 FAUSTA
 (Non uscite, o sospiri).
 LICINIO
 Poi lascia, e questo sia
200tutto di mie fatiche il guiderdone,
 che di mia vita io vada
 a terminar gli ultimi e pochi avanzi
 nel più barbaro lido e più rimoto,
 a te, a la terra ed a me stesso ignoto.
 COSTANTINO
205Con noi rimanti al nuovo sol. Dimani
 in te un altro regnante abbia l’impero.
 LICINIO
 Signor, l’altra mercede...
 COSTANTINO
 Questa anch’è poca. Un maggior ben ti serbo.
 A te la man d’augusta
210più illustre il renda e più gradito. Fausta,
 se m’ami pur, se mi sei moglie, il dono
 fa’ che piaccia a Licinio.
 Flavia ancor resti. Opri qual dee ciascuno;
 e ugualmente ubbidito
215sia il fratello, il monarca ed il marito. (Discendono dal trono)
 
    Mia dolce sposa,
 su la tua fede
 tutto riposa
 l’amante cor.
 
220   Tu più contento
 puoi sola farlo,
 tu risanarlo
 da un fier tormento,
 da un gran rossor.
 
 SCENA VII
 
 FAUSTA, FLAVIA e LICINIO
 
 FAUSTA
225Licinio, (o fati rei!) d’augusto al cenno
 Flavia ubbidisce. In quella man...
 FLAVIA
                                                               Perdona,
 puote a’ sensi del duce, a’ sensi tuoi
 forse la mia presenza esser tiranna.
 Il mio sesso, il mio grado
230voglion ch’io parta. Ov’egli accetti il dono,
 provvedo al mio decoro. Ove il rifiuti,
 io mi sottraggo a l’onte.
 Tu libera proponi,
 ei libero risponda;
235e libera quest’alma
 il suo piacere o ’l suo dolor nasconda.
 
    Resti pur, resti al tuo core
 del suo sdegno o del suo amore
 un’intiera libertà.
 
240   Quando poi risposto avrà
 da cortese o da superbo,
 dolce amore o sdegno acerbo
 anche il mio risponderà.
 
 SCENA VIII
 
 FAUSTA e LICINIO
 
 FAUSTA
 Mi assisti, o mia virtù. Duce, è tuo affanno
245che intrepida io ti parli e Fausta (o dio!)
 di Flavia agl’imenei Licinio affretti?
 LICINIO
 (O ciel!) Non è mia pena
 che Fausta a me favelli;
 ma ch’io risponder debba a Fausta augusta,
250questa è gran pena mia, questa è mia morte.
 FAUSTA
 Ah! Sii più giusto. Intendo
 i rimproveri tuoi, le tue querele.
 Sono augusta, egli è ver; ma questo nome
 non costa all’alma mia quel d’infedele.
 LICINIO
255Rimproverar la mia sovrana? Al trono
 la mia ragion non giugne. Anche infelice,
 tradito ancor, so che vassallo io sono.
 FAUSTA
 Tradito ma dai fati. Odi, o Licinio.
 L’augusta, la sovrana
260si tolgan per momenti agli occhi tuoi.
 Teco qui Fausta è sola. A lei rinfaccia
 i tradimenti suoi. Dimmi che il soglio
 fu l’amor mio, ch’io stessa
 ti perdei senza duol. Chiamami ingrata.
265Accusami sleal. Dimmi, se ’l puoi,
 di’ che non ho pietà de’ mali tuoi.
 LICINIO
 Tanto non osa il labbro;
 ma il povero mio cor Fausta condanna.
 FAUSTA
 E Fausta si discolpa.
270Di’, che potea mia fé contro la forza
 di Costantin? Contro il voler di un padre,
 l’amor mio che potea? Da te lontano
 che mai sperar? Come sottrarmi a un nodo
 formato dal destin? Voi lo sapete,
275santi numi del ciel, se a l’are vostre
 fasto mi trasse o dura legge. Questa,
 Licinio, è la mia colpa. Or di’ s’io sono
 un’empia, un’incostante.
 Il duol di Fausta sposa
280sia la prova maggior di Fausta amante.
 LICINIO
 Dunque sperar mi lice...
 FAUSTA
 Nulla, nulla mai più. Ti basti, o duce,
 saper che ci perdiam con duolo eguale.
 Tu me sul trono, io te di Flavia in seno.
 LICINIO
285E Fausta mel consiglia?
 FAUSTA
 Grande necessità vuol gran virtude.
 LICINIO
 Perder con la tua mano anche il tuo core?
 FAUSTA
 Siegue il mio cor di Costantin la moglie.
 LICINIO
 Poco ti costa aver pietà del mio.
 FAUSTA
290Poco? La gloria mia costar potrebbe.
 LICINIO
 Fausta, mio ben, mia vita...
 FAUSTA
 Taci, Licinio, taci.
 LICINIO
                                   Ahi! Legge ingiusta!
 FAUSTA
 Fausta non è più sola. Or parla augusta.
 Te cesare sul trono
295guidi la man di Flavia. A lei la fede,
 a lei reca il tuo amore. Augusto il vuole.
 Io te ne priego; e quando
 il pregarti non giovi, io tel comando.
 LICINIO
 Soffri almen che infelice, abbandonato...
 FAUSTA
300Non più, duce, non più. Quanto ti lagni
 tanto mi fai pietà della tua sorte;
 e più che son pietosa, io son men forte.
 
    Non è il tuo cor, non è
 né solo a sospirar
305né a pianger solo.
 
    A la pena, al duol di te
 risponde il mio penar,
 parla il mio duolo.
 
 SCENA IX
 
 LICINIO
 
 LICINIO
 Licinio sventurato! Amar in Fausta
310non puoi che il suo rigore. Ogn’altro affetto
 è fellonia. La speme è tradimento.
 Partiam da questo ciel. Flavia, l’impero,
 senza Fausta che adoro, è mio tormento.
 
    Mi abbandona la speranza;
315ma da me non parte amor.
 
    Una inutile costanza
 e una fiera lontananza
 fan più acerbo il mio dolor.
 
 Fine del primo atto