Scipione nelle Spagne, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Atrio vagamente ornato di trofei militari, a cui si entra per un magnifico portone corrispondente al gran cortile del palazzo, con arco trionfale, ove si vede la statua equestre di Scipione.
 
 SCENA PRIMA
 
 SCIPIONE, MARZIO con seguito di littori, di soldati romani, di schiavi cartaginesi, eccetera
 
 SCIPIONE
 Duci, nel suolo ispano
 vinta è Cartago e di un sol giorno è il frutto
 sì grande acquisto. Appena
 l’altra, del nostro impero emula antica,
5Cartago il crederà. Seco ne trema
 l’Africa, ond’ella è cinta; e il valor nostro,
 già fra quanti ella chiude, è il suo gran mostro.
 MARZIO
 Che alle leggi di Roma
 abbia il mondo a servir scritto è ne’ fati.
10Signor, la tua virtude
 ne affretta il corso. In sì verdi anni oprasti
 tai cose e tante...
 SCIPIONE
                                 Oprolle
 col zelo mio, col braccio vostro, il grande
 genio di Roma. A lui dell’opra il merto,
15a noi l’uso ne resti.
 Marzio, tua cura intanto
 sia la turba cattiva. Avvinti e domi
 vegga Cartago i suoi, Roma li vegga,
 quella in suo disonor, questa in suo fasto.
20Gli altri sien custoditi
 più in ostaggio che in odio. Il lor riscatto
 sarà per voi, forti guerrieri, un nuovo
 premio della fatica e del trionfo.
 MARZIO
 Grande hai la fama ed hai più grande il core.
 SCIPIONE
25(Ma fra le glorie il fe’ suo schiavo amore).
 
 SCENA II
 
 ELVIRA e i detti
 
 ELVIRA
 Invitto eccelso duce, a’ tuoi trionfi
 altro fregio non manca
 che il ben usarli. Ispana son. Mi diede
 pari al natal spiriti illustri il cielo.
30L’esser tua prigioniera
 non è l’affanno mio. Stretto anche il piede,
 anche reciso il crine,
 seguirò Scipio e soffrirollo in pace;
 ma che sovra la mia
35sacra onestà, la militar licenza
 mediti nuove palme,
 questa, è questa, o signor, mia pena e tema.
 Ah! Tu mi sii custode,
 tu difensor. Se l’umil voto e giusto
40o ti irrita o ti offende,
 sappi che a me rimane
 dall’armi illeso e dal poter di Roma
 un magnanimo core,
 cor che a difender basta,
45anche a costo di sangue, il proprio onore.
 SCIPIONE
 (In sen di donna ha cor di eroe). Qual fia,
 Marzio, costei che ha tutta
 la beltà del suo sesso e tutta insieme
 la fortezza del nostro?
 MARZIO
                                          In lei tu scorgi,
50signor, la bella Elvira,
 a Cardenio germana,
 che in fertil suolo agl’Illergeti impera.
 Nella vinta Cartago
 mio fu l’onor del suo servaggio. (Ah! Ch’io
55restai sua preda e tu lo sai, cor mio).
 SCIPIONE
 Regal vergine, Elvira,
 bando al nobil timor. Roma ha per legge
 di onorar la virtù, non di oltraggiarla.
 Marzio, a te qui l’affido,
60anzi alla tua virtude. Essa tra noi
 ospite sia, non schiava. Amisi in lei
 il cor più che il sembiante;
 e la rara beltade a noi soggetti
 vegga, al par de’ nemici, anche gli affetti.
 ELVIRA
65Ben degno sei della tua fama...
 
 SCENA III
 
 TREBELLIO e detti
 
 TREBELLIO
                                                          Ah! Duce...
 SCIPIONE
 Che fia, Trebellio?
 TREBELLIO
                                     O Sofonisba è morta
 o, vicina a morir, lotta con l’onde.
 SCIPIONE
 Che?... Sofonisba?... O dio!... Come?...
 TREBELLIO
                                                                       Poc’anzi
 dall’alta torre, onde sul mar si stende
70libero il guardo, ella gittossi e il fece
 con sì subito salto
 che invan si accorse a rattenerla...
 SCIPIONE
                                                               Ah! Basta.
 Già troppo intesi. Empio destin, trovasti
 con che atterrirmi. Invan sei forte, o core;
75né in te sento l’eroe, sento l’amante.
 Misera Sofonisba!
 Misero Scipio!
 ELVIRA
                              È degno
 di sì illustre dolor sì strano caso.
 SCIPIONE
 Che giova inutil pianto? Ite, Romani;
80della bella al periglio
 cerchisi scampo. Ite. Pietoso il mare
 forse l’accoglie. Almeno
 l’onor non se gli lasci
 del suo sepolcro. Ite veloci. (Ah! Scipio (Partono alquanti de’ soldati romani)
85restar tu puoi? Colà ti chiama, o core,
 il tuo amor, la tua pace, il tuo dolore).
 
    Non mi giova d’esser forte;
 sento al duol che sono amante.
 
    Se nel rischio del mio bene,
90vo’ far fronte alle mie pene,
 crudel sembro e non costante.
 
 SCENA IV
 
 ELVIRA e MARZIO
 
 MARZIO
 Aman anche gli eroi. Scipio anche serve
 alle leggi di amore.
 ELVIRA
 Fiamma gentil, che a nobil cor si apprende.
95(Tal per Luceio anche quest’alma avvampa).
 MARZIO
 E sol la bella Elvira
 si sdegnerà che Marzio n’arda e l’ami?
 ELVIRA
 Arda egli pur; ma per Elvira ei formi
 voti di ossequio e saggio
100corregga il volo a’ suoi mal nati affetti.
 MARZIO
 Nacquer da voi, begli occhi,
 gl’incendi miei. Non condannate un’opra
 del poter vostro o la punite in voi.
 ELVIRA
 E in me la punirò. Da Sofonisba
105prenderò esempio e legge. In sì ria sorte
 il men che mi spaventi è la mia morte.
 
    Se il tuo amore è mio delitto,
 nel mio sen lo punirò.
 
    Questo volto ho già in orrore,
110perché piacque al tuo vil core
 né col mio si consigliò.
 
 SCENA V
 
 MARZIO
 
 MARZIO
 Con ritrosa beltà non giovan preghi;
 gioveran le minacce.
 I torti dell’amante
115vendichi il vincitor. Mia voglio Elvira.
 Sia ragione o vendetta,
 piace e lice il consiglio, amor lo inspira.
 
    Amar per sospirar
 non è che vanità,
120che frenesia.
 
    Se amor non compra amor,
 vincasi col rigor
 beltà che è ria.
 
 Campagna con la veduta della città da una parte e spiaggia di mare dall’altra, ingombrata dall’armata romana. Tugurio pescareccio al fianco, dond’escono Sofonisba e Luceio.
 
 SCENA VI
 
 SOFONISBA e LUCEIO
 
 LUCEIO
 Tu, Sofonisba mia?
 SOFONISBA
                                      Tu, mio Luceio?
 A DUE
 
125   Non lo credo agli occhi miei
 e pur sei l’idolo mio.
 
    Ho timor che un tanto bene
 sia lusinga della spene,
 sia fantasma del disio.
 
 LUCEIO
130Ma qual barbara legge
 nel sordo mar quasi ti trasse a morte?
 SOFONISBA
 Quella del mio destin. Veggo in un giorno
 la città presa, i miei disfatti, il padre
 ferito e schiavo. I ceppi suoi compiango,
135compiango i miei. Scipio mi vede e accresce
 con l’amor suo le mie sciagure. Il grido
 mi giunge alfin della tua morte. A questo
 funesto ultimo colpo
 più non resisto. Odio la vita. A’ flutti
140mi spingo in seno, o disperata o forte.
 Mi opprime il mar. L’onda qua e là mi volve;
 perdo il dì; manca il senso;
 poi non so come in sulla spiaggia asciutta
 riapro gli occhi e a te mi trovo accanto,
145a te, mio ben, sì sospirato e pianto.
 LUCEIO
 Non fur meno de’ tuoi strani i miei casi.
 Dacché all’armi romane
 cedé il punico Marte e il Marte ibero,
 lasso anch’io dalla pugna
150ritraggo il piè. Giungo ove giace un nostro
 soldato estinto e col favor dell’ombre
 copro me del suo usbergo e lui del mio.
 Corre intorno la fama
 che morto io sia. Questa mi giova. Intanto
155chieggo di te. T’odo prigion. Mi aggiro
 presso Cartago. Entro quell’onde veggio
 donna cader dall’alta torre. All’uopo
 non tardo accorro e a morte
 te in lei sottraggo, anzi me stesso, o cara,
160che la morte più ria
 nel sen di Sofonisba era la mia.
 SOFONISBA
 Or che salvo è Luceio,
 del rigor vostro, o dei, più non mi dolgo.
 LUCEIO
 Né dolerci convien. Salda costanza
165provano i casi avversi.
 SOFONISBA
 Oimè! Scipio qui giunge.
 LUCEIO
                                                 A lui si asconda
 la sorte mia. Di’ solo
 ch’io sono ibero e che ti tolsi all’onda.
 
 SCENA VII
 
 SCIPIONE con seguito e i detti
 
 SCIPIONE
 Principessa, a’ tuoi lumi
170sì odioso son io che men ti sembra
 grave il morir? Con qual oltraggio un tanto
 dolore io meritai nel tuo periglio?
 Perdona, o Sofonisba;
 se in me temi un nemico, hai cor che è ingiusto.
175Se in me abborri un amante, hai cor che è ingrato.
 Son Scipio; e benché cinto
 di usbergo il sen, benché di allor la chioma,
 sento che posso amarti
 senza oltraggiare o Sofonisba o Roma.
 
180   Se la fiamma del cor mio
 fosse impura e fosse abbietta,
 nel mio sen la estinguerei.
 
    E se il cor fosse restio,
 in mia pena e in tua vendetta
185anche il cor mi strapperei.
 
 SOFONISBA
 Signor, perdita lieve era a’ tuoi fasti
 quella di una infelice.
 Volli morir; ma il mio destin ne incolpa;
 e fra le mie sciagure
190io non conto, o Scipion, l’esser tua schiava.
 Pur vedi a quali estremi
 mi ha ridotto il rigor di un’empia sorte,
 che di fierezza accuso
 sin la pietà di chi mi tolse a morte.
 SCIPIONE
195Ma l’amor mio nol lasci
 senza mercé né senza gloria. Vieni,
 qualunque sii, fra queste braccia, amico.
 LUCEIO
 Gli amici di Scipione (Si ritira indietro)
 sono gli eroi; né di quel sen gli amplessi,
200ove palpita un cor tutto grandezza,
 merta uom di sangue e più di fama oscuro.
 All’opra mia premio non devi. Io tutto
 feci per Sofonisba,
 nulla per te. Lei salva,
205trovo la gloria mia, la mia mercede.
 Chi per te nulla oprò, nulla ti chiede.
 SCIPIONE
 Sensi sì generosi
 non lo additano uom vil. Qual sia, ti è noto,
 il tuo liberator?
 SOFONISBA
                                Guerriero ispano,
210nulla di più.
 LUCEIO
                          Nacqui fra’ boschi. Il mio
 nome è Tersandro; e il primo
 ufficio della destra
 fu romper glebe e maneggiar vincastri.
 Quindi in usbergo e scudo
215cangio marra ed aratro; e di Luceio
 sotto l’insegne a militar mi spinge
 disio di gloria. Il veggo
 cader sul campo e trionfar del nostro
 il destino di Roma.
220Sopravviver mi sembra
 pena e viltà. Volgo a Cartago il piede
 e cerco i tuoi, sol per morir da forte.
 Salvo qui Sofonisba;
 ma la salvo a Luceio. In quel bel core
225vive ancora di lui
 e la parte più cara e la migliore.
 SCIPIONE
 Quel magnanimo ardir che sulle labbra
 ti favella, o Tersandro,
 e quel nobile aspetto, in cui ti ammiro,
230smentisce i tuoi natali o gli condanna.
 Qualunque sii, t’apro il mio core. In prezzo
 della vita servata a Sofonisba
 la nimistà di Roma io ti perdono;
 ti voglio amico e libertà ti dono.
 SOFONISBA
235(Salvo è Luceio e fortunata io sono).
 LUCEIO
 I doni di Scipione
 son grandi, è ver; ma di Tersandro il core
 è di loro maggiore.
 Il perdono tu m’offri e non lo voglio.
240Volerlo è un atto vile
 e viltà mai non cape in petto ispano.
 La libertà mi rendi e non l’apprezzo.
 Non è mai di conforto,
 a chi oppresso è da mali, un mal di meno.
245L’amistà mi offerisci e non l’accetto.
 Ella non è mai frutto
 di volgar prezzo e di sì pochi instanti.
 So qual tu sei; ma sappi
 che di Luceio un suddito leale
250esser non puote amico al suo rivale.
 SCIPIONE
 (Ardir che m’innamora
 sin con l’offese). Orsù, Tersandro, vieni
 meco in Cartago. In testimon ti voglio
 dell’opre mie per meritarti amico.
 LUCEIO
255Seguirò il mio destin, più che i tuoi passi.
 (Così sarò di Sofonisba al fianco).
 SCIPIONE
 Non difficile impresa
 mi fia quel cor, benché nimico e rio;
 la fierezza del tuo più mi spaventa,
260ingiusta Sofonisba.
 SOFONISBA
                                      Odimi, o duce.
 Quando fia che Tersandro
 mi dica: «Ama Scipione, io tel comando»
 il mio cor cesserà d’esserti ingrato.
 Nel suo volere il mio voler rimetto.
 SCIPIONE
265Tu mio giudice il rendi ed io l’accetto.
 SOFONISBA
 
    Mai non dirà quel labbro
 ch’io serva al tuo disio
 e manchi al dover mio
 l’alta mia fede.
 
270   Se mi fia legge e gloria
 dell’idol mio diletto
 l’affetto e la memoria
 egli ben vede.
 
 SCENA VIII
 
 LUCEIO
 
 LUCEIO
 Gran virtude ha Scipione,
275gran beltà Sofonisba. E quella e questa
 mia speranza diviene e mio terrore.
 Temo che quella ceda a un sì bel volto.
 Temo che a questa piaccia un sì gran merto.
 Già fra’ miei voti incerto,
280vorrei questo men grande e pur mi giova;
 vorrei quello men vago e pur mi piace.
 Ma che? Dove è virtù, lunge la tema,
 che amor di nobil alma
 forze accresce a virtude e non le scema.
 
285   Ritenga la virtù
 gli affetti in servitù,
 in fede la costanza e son contento.
 
    Sì nobile rival,
 beltà così leal
290di conforto mi sia, non di spavento.
 
 Parte dell’accampamento romano e fra gli altri gran padiglione del tribuno Marzio.
 
 SCENA IX
 
 CARDENIO e TREBELLIO
 
 TREBELLIO
 Sì, di Marzio il tribuno
 la tenda è questa; e qui di Elvira attendi,
 la real tua germana, il presto arrivo.
 Sua spoglia ella divenne
295nella presa città.
 CARDENIO
                                 Trebellio amico,
 dovrò a te il gran piacer del rivederla.
 TREBELLIO
 Prence degl’Illergeti,
 generoso Cardenio, io più ti deggio.
 In te ben riconosco
300il mio liberator. Dal re tuo padre
 libertà m’impetrasti e ti son grato.
 CARDENIO
 Riconoscenza in nobil alma ha sede.
 TREBELLIO
 Dove onor non mel vieti,
 il mio affetto ti giuro e la mia fede.
 
305   Non fia mai ch’io chiuda in petto
 un obblio di libertà.
 
    Caro dono e grato affetto
 stringa il nodo all’amistà.
 
 SCENA X
 
 CARDENIO
 
 CARDENIO
 Sofonisba ed Elvira
310son del pari fra’ ceppi.
 L’amata in quella e la germana ho in questa.
 Ma prevale all’amore
 forza di onor. Seguo la legge e sento
 che si chiede un gran colpo al braccio invitto.
315Orror ne ha il sangue; e teme
 che un atto di virtù sembri delitto.
 
    Disciolto dal peso
 di rigido onore,
 del dolce mio amore
320poi tutto sarò.
 
    O lui da catene
 fedel scioglierò;
 o eguali le pene
 con lui soffrirò. (Si ritira entro il padiglione di Marzio)
 
 SCENA XI
 
 ELVIRA e MARZIO
 
 MARZIO
325Offese non minaccio. Amor richieggo.
 ELVIRA
 Per un’alma pudica
 amante impuro è l’offensor più rio.
 MARZIO
 Intendo, Elvira, intendo.
 Spiace in Marzio l’amante,
330piaccia lo sposo; e d’imeneo la face
 in me purghi le fiamme, in te le accenda.
 ELVIRA
 Io nata al trono, a vil tribuno io sposa?
 MARZIO
 Che vil? Basta che Roma
 patria mi sia, perché al mio sangue a fronte
335scemin gli ostri reali anche di prezzo.
 Tribuno in campo e cavaliere in Roma,
 con offrirti il mio nodo,
 più di quel ch’io ne tragga, a te do fregio.
 ELVIRA
 Ed un tal fregio, o cavalier tribuno,
340abbiasi fortunata
 più degna sposa. Elvira schiava, Elvira
 nata in cielo stranier tanto non merta.
 MARZIO
 La scelta mia ti onora; e qui di Marzio
 l’amor ti è gloria ed il voler ti è legge.
 ELVIRA
345Ma tal gloria non curo;
 tal legge non pavento. Amante e sposo
 e ti abborro del pari e ti rifiuto.
 MARZIO
 Troppo ti abusi, ingrata,
 di mia bontà. Son vincitor. Sei mia.
350Ho poter. Ho ragion. Posso, se voglio.
 Basta. Pochi momenti
 ti lascio in libertà. L’utile indugio
 sia consiglio al voler, freno all’orgoglio.
 Già dissi. Tu risolvi. E posso e voglio.
 
355   Impari a temermi
 chi amarmi non sa.
 
    Disprezzo impunito
 superbia si fa;
 e affetto schernito
360diventa viltà.
 
 SCENA XII
 
 ELVIRA e poi CARDENIO con ferro in mano
 
 ELVIRA
 Iniquo! A tal eccesso
 misera io son che temer posso un’ira?
 Un’ira che m’insulta e non mi uccide?
 Oimè! Chi mi divide
365l’alma dal sen? Dov’è un acciar? Chi, o dio,
 chi per pietà mi toglie
 all’empia brama, al barbaro comando?
 CARDENIO
 Di Elvira il core e di Cardenio il brando.
 ELVIRA
 O dio! Tu qui, germano?
 CARDENIO
370Io testimon qui giunsi
 di tua virtude; e qui ti reco, o cara,
 un rio soccorso, una pietà crudele.
 ELVIRA
 Crudeltà che mi salva
 da peggior mal. Su, vieni
375e l’onorata spada in sen m’immergi.
 CARDENIO
 Ed avrò cor?
 ELVIRA
                          Poi fuggi
 l’ire feroci. Il vecchio padre abbracci
 in te quel che gli resta
 pegno di amor. Gli sia
380grata la morte e la memoria mia.
 CARDENIO
 Oimè! Perché dell’empio
 prima non tinsi entro il rio sangue il ferro?
 Ah! La sua morte a’ ceppi
 non ti togliea. Nell’ostil campo ancora
385potea far nuovi amanti il tuo bel viso;
 né tutto era il tuo scampo un Marzio ucciso.
 ELVIRA
 Sol mio scampo è il morir. Destra fraterna
 caro mel rende e in te ne bacio il ferro
 che dee la strada al cor pudico aprirsi,
390ove del mio Luceio impresso è il nome.
 Questa, deh!, mi perdona
 colpa innocente, un amor casto e degno;
 amor che verrà meco anco agli Elisi.
 CARDENIO
 (Lagrime non uscite).
 ELVIRA
395Or che più tardi? Accresce ogni dimora
 il rischio mio, perché è tuo rischio ancora.
 CARDENIO
 Faccia la tua virtude
 core alla mia. Quella mi regga e quella
 m’insegni ad esser forte.
 ELVIRA
400Ecco il sen. N’esca l’alma,
 sinché è candida e pura.
 Morir per l’onestà non è sciagura.
 CARDENIO
 (Barbaro onor!) Già ti compiaccio e il nudo
 ferro t’immergo in sen.
 
 SCENA XIII
 
 MARZIO, poi SCIPIONE, TREBELLIO e LUCEIO con seguito, e i sopraddetti.
 
 MARZIO
                                             Fermati, o crudo.
 ELVIRA
405O ciel! Marzio.
 CARDENIO
                              L’oggetto
 dell’ire mie. Mori, lascivo.
 MARZIO
                                                  Il fio
 tu pagherai, da questo acciar trafitto,
 della tua crudeltà, del tuo delitto. (Si battono)
 SCIPIONE
 Olà. Marzio, qual’ire? Onde quell’armi?
 MARZIO
410Da un cieco altrui furor. Costui di Elvira
 tentò la morte. Io scudo
 feci col mio dell’innocente al seno;
 e la sua rabbia allora
 volse l’acciar contra il mio petto istesso.
 SCIPIONE
415E te chi spinse a così enorme eccesso?
 CARDENIO
 Forza di onor. Tu che sei giusto, o duce,
 odi le mie discolpe
 e assolva i falli miei l’altrui misfatto.
 Cardenio son. Mi è suora Elvira. Oltraggi
420medita Marzio all’onestà di lei.
 MARZIO
 Io?...
 SCIPIONE
             Taci. Ei segua.
 LUCEIO
                                          (Il mio rivale è questi).
 ELVIRA
 (Quegli è il mio ben. Come di Scipio al fianco?)
 CARDENIO
 Lo veggo e il sento. All’onta
 vo’ sottrarla col ferro. Egli mi arresta.
425Tento punirlo. Non uccisi Elvira.
 Marzio ancor vive; e la mia colpa è questa.
 ELVIRA
 Colpa sì bella è degna
 del tuo favor. Fu Elvira
 che a lui chiese la morte
430e la salva onestà n’era il gran prezzo.
 Marzio, che m’insultò, Scipio anche offese;
 e se Scipio il difende,
 reo dell’altrui perfidia anch’ei si rende.
 SCIPIONE
 Tribun, tu così ardito?
435Così rispetti un mio comando?
 MARZIO
                                                           Elvira
 restò mia schiava e sovra lei mi danno
 l’armi e le leggi autorità che è giusta.
 SCIPIONE
 Ma non sovra il suo onor. Tu ne perdesti,
 con abusarne, ogni ragion. Trebellio.
 TREBELLIO
440Signor.
 SCIPIONE
                 Scortisi Elvira
 tosto in Cartago. Questa
 sia la prima tua pena, o cor lascivo.
 MARZIO
 (Pena crudele! Io perdo Elvira e vivo).
 ELVIRA
 
    Nella mia sorte ria
445non imploro altro ristoro,
 or che salva è l’onestà.
 
    Soffro in pace ogni martoro
 e non sei de’ voti miei
 quel che piango, o libertà.
 
 SCENA XIV
 
 SCIPIONE, LUCEIO, CARDENIO e MARZIO
 
 LUCEIO
450(Sempre maggior scorgo il rivale).
 MARZIO
                                                                 Ah! Questo
 de’ miei sudori a pro di Roma è il frutto?
 Questa del sangue sparso è la mercede?
 Marzio pur sono. Io lauri
 a te pur colgo. Io primo
455pur sulle mura ispane
 l’aquila innalzo e le difese espugno.
 E di tanti trofei la sola spoglia
 così mi è tolta?
 SCIPIONE
                               A te la tolgo, o Marzio,
 anzi al tuo amor. Ma del riscatto il prezzo
460tuo ne sarà.
 MARZIO
                         Non regna,
 Scipio, in quest’alma un mercenario affetto.
 A torto tu mi offendi. A torto illeso
 lasci Cardenio. Ei reo
 di più colpe trionfa. Egli nemico
465entrò nel campo. Ei di un roman tribuno
 portò furtivo entro la tenda il passo.
 Ei m’insultò col ferro; e pur si soffre.
 Duce, del torto mio ragion non chieggo,
 del pubblico la chieggo; e se impunito
470lasci l’ispano ardito,
 tel giuro, i miei guerrieri e i tuoi pur anco
 sapran punirlo anche di Scipio al fianco. (Si parte co’ suoi)
 
 SCENA XV
 
 SCIPIONE, CARDENIO e LUCEIO
 
 SCIPIONE
 Un amor disperato
 cieco è nell’ira. A Marzio
475tolsi l’oggetto e l’onor tuo difesi.
 Ora è giusto, o Cardenio,
 che del tuo ardir prenda la pena anch’io.
 Cedi l’acciar, nemico a Roma e mio.
 CARDENIO
 Aggiungi, e tuo rival. L’odio in te cresca
480con la ragion di quella fiamma ond’ardi.
 Ecco l’acciar.
 SCIPIONE
                           Si guidi
 entro Cartago il prigionier.
 CARDENIO
                                                    Comunque
 col tuo voler di me decreti il fato,
 rammenterò che hai l’onor mio difeso
485e morrò col rossor d’esserti ingrato.
 
    Hai virtù che m’innamora
 quasi al par del caro bene.
 
    E convien ch’io t’ami ancora,
 benché autor delle mie pene.
 
 SCENA XVI
 
 SCIPIONE e LUCEIO e poi SOFONISBA
 
 SCIPIONE
490Tersandro, atro pensiero
 ti scorgo in fronte.
 LUCEIO
                                    In sulla fronte, o duce,
 l’alma si spiega.
 SCIPIONE
                                Il labbro
 n’è interprete più fido. Onde il tuo duolo?
 LUCEIO
 Da te, Scipio, da te. Spandesi in tutti
495la tua beneficenza. In me de’ mali
 tutta versi la piena.
 SCIPIONE
                                      In che ti offendo?
 LUCEIO
 In che? Ne’ ceppi altrui.
 SCIPIONE
                                               Non anche intendo.
 LUCEIO
 Di’, comune a Cardenio
 non ho la patria?
 SCIPIONE
                                  È vero.
 LUCEIO
500Or tu mi offendi in lui. Le sue catene
 mia pena ancor si fanno;
 e lui mirar non posso
 che in te insieme non miri il mio tiranno.
 SCIPIONE
 Suo giudice or son io. Deggio punirlo,
505se colpevole egli è.
 LUCEIO
                                    Ma dirà il mondo
 che nimico il punisci,
 perché l’odi rival. Sol nel tuo core
 lo fa reo Sofonisba ed il tuo amore.
 SCIPIONE
 Ami sua libertade? (Esce Sofonisba)
 LUCEIO
                                       Ed amo in essa
510la gloria tua.
 SCIPIONE
                          Sta in tuo poter.
 LUCEIO
                                                          M’imponi,
 qual vuoi, più dura legge. Eccomi pronto.
 SCIPIONE
 Giungi opportuna, o principessa.
 SOFONISBA
                                                              Il fato
 di Cardenio mi è noto,
 di Scipio l’ira e di Tersandro il voto.
 LUCEIO
515(Che sarà mai?)
 SCIPIONE
                                 Custodi, (Si allontana e parla alle sue guardie)
 tosto rechisi a me gemmato acciaro.
 SOFONISBA
 Per un rival troppo ti esponi, o caro. (Piano a Luceio)
 SCIPIONE
 Quel che ti pende al fianco,
 peso guerrier, pria tu mi cedi.
 LUCEIO
                                                         Intendo.
520A’ ceppi di Cardenio
 lieto succedo. Eccoti il ferro e sappi
 che tormelo dal fianco
 mia virtù sol potea.
 SOFONISBA
                                      (Virtù funesta!)
 SCIPIONE
 Giurati amico mio. La legge è questa.
 SOFONISBA
525(Respiro).
 LUCEIO
                      (Acerba legge
 che mi vieta sin l’odio
 di un mio rival, per liberarne un altro).
 SCIPIONE
 Tanta pena ti costa
 l’amistà di Scipion?
 LUCEIO
                                       Più che non pensi. (Vien presentata a Scipione una spada gioiellata)
530Ma lo vuole il destin. Giuro...
 SCIPIONE
                                                       Su questo
 brando lo giura, indi il gradisci in dono.
 LUCEIO
 Giura Tersandro; ed or tuo amico io sono.
 E sia pegno di fé l’illustre acciaro
 che in tuo servigio al guerrier fianco appendo.
 SOFONISBA
535(Eroiche gare!)
 SCIPIONE
                               Alla città mi affretto,
 onde Cardenio a libertà sia reso.
 Colà ti attendo e teco
 venga ancor Sofonisba. Amor vien meco.
 
    Occhi belli, prendete un addio
540e voi, cari, un addio mi rendete
 ma con raggio di affetto pietoso.
 
    Saria colpa del fido amor mio
 il lasciarvi e non dirvi che siete
 mia delizia, mio ben, mio riposo.
 
 SCENA XVII
 
 LUCEIO e SOFONISBA
 
 SOFONISBA
545Ah Luceio! Ah mio ben! Come unir puoi
 due sì contrari oggetti,
 l’amistà di Scipione a te rivale,
 l’amor di Sofonisba a te diletta?
 LUCEIO
 Di sì rari prodigi
550la gloria e il merto alla virtù si aspetta.
 Non ti doler, mia cara,
 e misura il mio amor dal mio gran core.
 SOFONISBA
 Ma chi può amar Scipione,
 perder anche mi può senza dolore.
 LUCEIO
 
555   Sorte ria
 può voler che non sii mia,
 non ch’io lasci di adorarti.
 
    Dal ciel pende il tuo possesso;
 ma sol pende da me stesso
560la costanza dell’amarti.
 
 SOFONISBA
 
    Può ria sorte
 darmi pena e darmi morte,
 non mai far ch’io tua non sia.
 
    Tu sei solo il dolce oggetto
565della speme e dell’affetto
 e tu sol l’anima mia.
 
 Fine dell’atto primo