Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 SCENA XIX
 
 SCIPIONE e li sodetti
 
 SCIPIONE
 (Che miro?) Olà. Cotanto
 di mia bontà si abusa?
1170Contra un tribun l’ira si volge e ’l ferro?
 LUCEIO
 Questo ferro è tuo dono;
 né mai credea la prima volta in petto
 roman vibrarlo. A questa
 necessità mi trasse
1175il decoro di Elvira offeso a torto.
 MARZIO
 A torto? Odi e l’ispana
 virtù ammira, o Scipion. Costei, che altera
 ributtò le mie fiamme, a quelle avvampa
 che le accese nel sen face plebea.
1180Vedi, vedi in Tersandro
 il suo amatore, il mio rival. Lo nieghi,
 se ’l può, l’ingrata. Io qui l’udii né l’ira
 valsi a frenar.
 SCIPIONE
                            Tanta viltà in Elvira? (Ad Elvira)
 Parla.
 ELVIRA
              (Tacer mi è forza. Amor tiranno!)
 LUCEIO
1185Io parlerò. Viva la fama, o duce,
 di vergine real. Viva anche a costo
 del sangue mio, de la mia vita istessa.
 Ama Elvira, il confesso,
 ma quell’amor, che le riscalda il petto,
1190non è indegno di lei. Sa qual si asconde
 nel mentito Tersandro illustre oggetto.
 Sa qual ei nacque e sa ch’ei nacque al trono.
 Sì, lo sa Elvira; e seco
 Marzio il sappia e Scipion. Luceio io sono.
 SCIPIONE
1195Tu Luceio? Di Roma
 tu ’l fier nemico?
 MARZIO
                                  E se quel sei, fra poco
 ne pagherai la pena.
 ELVIRA
 (Ei l’onor mi difende e ’l cor mi svena).
 MARZIO
 Signor, questa è la gloria
1200de l’ispano valor, mentir sé stesso;
 ma se impunito al fianco
 vorrai soffrire il tuo nemico e ’l nostro,
 Roma nol soffrirà. Vanno anco inulte
 mille e mille del Lazio ombre guerriere
1205per lui cadute. Al campo
 vuolmi il mio zelo e la comun vendetta.
 Rompasi ogni dimora
 e si acclami colà: «Luceio mora». (Parte furioso)