Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 SCENA XI
 
 SCIPIONE e LUCEIO
 
 SCIPIONE
 Tersandro, ecco in periglio
 la mia gloria e ’l mio core.
 Tu mi sovvieni e l’amistà mi vaglia
 di ragione e di merto.
 LUCEIO
                                           In me costante
935ne troverai la ricordanza e l’opra.
 SCIPIONE
 Privo di Sofonisba,
 viver non posso. Il trattenerla è colpa.
 L’allontanarla è morte.
 Solo un nodo pudico essermi puote
940e discolpa e rimedio.
 LUCEIO
 (Infelice, che ascolto?)
 SCIPIONE
                                            Ah! Per la nostra
 sacra amistà, tu, che l’hai tolta a l’onde
 e che caro le sei, perché ti è grata,
 vanne e fa’ ch’io non provi
945l’onta e ’l rossor di un suo disprezzo.
 LUCEIO
                                                                    Io, duce?
 SCIPIONE
 Sì, confido al tuo zel l’alta mia sorte
 e mi reca, se m’ami, o vita o morte.
 LUCEIO
 (Anche questo, o destin?)
 SCIPIONE
                                                 Di’, che rispondi?
 LUCEIO
 Ubbidirti, o signor.
 SCIPIONE
                                      Caro Tersandro.
 
950   Vanne, convinci e priega
 quell’alma ria per me;
 e di nemica mia falla mia sposa.
 
    Ma pria con questo amplesso
 prendi il mio core istesso,
955quel cor che tutto in te vive e riposa.