Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 SCENA XIII
 
 MARZIO, poi SCIPIONE, TREBELLIO, LUCEIO con seguito e detti
 
 MARZIO
                                             Fermati, o crudo.
 ELVIRA
 O ciel! Marzio.
 CARDENIO
                              L’oggetto
 de l’ire mie. Mori, lascivo.
 MARZIO
                                                  Il fio
 tu pagherai, da quest’acciar trafitto,
 de la tua crudeltà, del tuo delitto. (Si battono)
 SCIPIONE
425Olà? Marzio, qual’ire? Onde quest’armi?
 MARZIO
 Signor, le mosse un cieco
 o sia insano furor. Costui di Elvira
 tentò la morte. Io scudo
 feci col mio de l’innocente al seno;
430e la sua rabbia alora
 volse l’acciar contro il mio petto istesso.
 SCIPIONE
 Ma te chi spinse a così enorme eccesso?
 CARDENIO
 Forza di onor. Tu che sei giusto o duce,
 odi le mie discolpe
435e assolva i falli miei l’altrui delitto.
 Cardenio son. Mi è suora Elvira. Oltraggi
 medita Marzio a l’onestà di lei.
 MARZIO
 Io...
 SCIPIONE
           Taci. Ei siegua.
 LUCEIO
                                         (Il mio rivale è questi).
 ELVIRA
 (Quegli è ’l mio ben; come di Scipio al fianco?)
 CARDENIO
440Lo veggo e ’l sento. A l’onta
 vuo’ sottrarla col ferro. Egli mi arresta.
 Tento punirlo. Non uccisi Elvira.
 Marzio ancor vive; e la mia colpa è questa.
 ELVIRA
 Colpa sì bella è degna
445del tuo favor. Fu Elvira
 che a lui chiese la morte
 e l’istessa onestà n’era il gran prezzo.
 Marzio, che m’insultò, Scipio anche offese;
 e se Scipio il difende,
450reo de l’altrui perfidia anch’ei si rende.
 SCIPIONE
 Tribun, tu così ardito?
 Così rispetti un mio comando?
 MARZIO
                                                           Elvira
 restò mia schiava e sovra lei mi danno
 l’armi e leggi autorità sovrana.
 SCIPIONE
455Ma non sovra il suo onor. Tu ne perdesti
 con abusarne ogni ragion. Trebellio.
 TREBELLIO
 Signor.
 SCIPIONE
                 Scortisi Elvira
 tosto in Cartago. Questa
 sia la prima tua pena, o cor lascivo. (A Marzio)
 MARZIO
460(Pena crudele! Io perdo Elvira e vivo?)
 ELVIRA
 
    Ne la mia sorte ria,
 non imploro altro ristoro
 or che salva è l’onestà.
 
    Soffro in pace ogni martoro
465e non sei de’ voti miei
 quel che piango, o libertà.