Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 SCENA XII
 
 ELVIRA e poi CARDENIO con ferro in mano
 
 ELVIRA
 Iniquo! A tal eccesso
 misera io son che temer puosso un’ira?
 Un’ira che m’insulta e non mi uccide?
375Aimè! Chi mi recide
 l’alma dal sen! Dov’è un acciar? La morte
 mancar può a l’infelice? Eterni numi,
 chi per pietà mi toglie
 a l’empia brama, al barbaro comando?
 CARDENIO
380Di Elvira il core e di Cardenio il brando!
 ELVIRA
 O dio! Tu qui, germano?
 CARDENIO
 O degna di miglior sorte!
 Io testimon qui giunsi
 di tua virtude e qui ti reco, o cara,
385un rio soccorso, una pietà crudele.
 ELVIRA
 Crudeltà che mi salva
 dal peggior mal? Su vieni
 e l’onorata spada in sen m’immergi.
 CARDENIO
 Ed avrò cor?
 ELVIRA
                          Poi fuggi
390l’ire feroci. Il vecchio padre abbracci
 in te quel che gli resta
 pegno d’amor; gli sia
 grata la morte e la memoria mia.
 CARDENIO
 O dio! Perché de l’empio
395prima non tinsi entro il reo sangue il ferro?
 Ah! La sua morte a’ ceppi
 non si togliea. Ne l’ostil campo ancora
 potea far nuovi amanti il tuo bel viso;
 né tutto era il tuo scampo un Marzio ucciso.
 ELVIRA
400Sol mio scampo è ’l morir. Destra fraterna
 caro mel rende e in te ne baccio il ferro,
 che dee la strada al cor pudico aprirsi,
 ove del mio Luceio impresso è ’l nome.
 Questa, deh! mi perdona
405colpa innocente, un amor casto e degno,
 amor che verrà meco anche agli Elisi
 e a quell’ombre beate
 farà invidia e pietate.
 CARDENIO
 (Lagrime non uscite).
 ELVIRA
410Or che più tardi? Accresce
 ogni maggior dimora
 il rischio mio, perch’è tuo rischio ancora.
 CARDENIO
 Faccia la tua virtude
 core a la mia. Quella mi regga e quella
415m’insegni ad esser forte.
 ELVIRA
 Ecco il sen. N’esca l’alma,
 sinch’è candida e pura.
 Morir per l’onestà non è sciagura.
 CARDENIO
 Barbaro onor! Già ti ubbidisco e ’l nudo
420ferro t’immergo in sen.