Scipione nelle Spagne, Barcellona, Figueró, [1710]

 SCENA XI
 
 ELVIRA e MARZIO
 
 MARZIO
 Offese non minaccio. Amor richiedo.
 ELVIRA
 Per un’alma pudica
 amante impuro è l’offensor più rio.
 MARZIO
 Intendo, Elvira, intendo.
340Spiace in Marzio l’amante,
 piaccia lo sposo; e d’imeneo la face
 in me purghi le fiamme, in te le accenda.
 ELVIRA
 Io nata al soglio, a vil tribuno io sposa?
 MARZIO
 Che vil? Basta che Roma
345patria mi sia, perché al mio sangue a fronte
 scemin gli ostri reali anche di prezzo.
 Tribuno in campo e cavagliero in Roma,
 con offrirti il mio nodo,
 più di quel ch’io ne tragga, a te do freggio.
 ELVIRA
350E d’un tal freggio, o cavaglier tribuno,
 abbiasi fortunata
 più degna sposa. Elvira schiava, Elvira
 nata in cielo stranier tanto non merta.
 MARZIO
 La scelta mia ti onora; e qui di Marzio
355ti è gloria il nodo ed il voler ti è legge.
 ELVIRA
 Ma tal gloria non curo,
 tal legge non pavento. Amante e sposo,
 e ti abborro del pari e ti rifiuto.
 MARZIO
 Troppo ti abusi, ingrata,
360di mia bontà. Son vincitor. Sei mia.
 Ho poter. Ho ragion. Puosso, se voglio.
 Basta, pochi momenti
 ti lascio in libertà. L’utile indugio
 sia consiglio al voler, freno a l’orgoglio.
365Già dissi. Tu risolvi. E puosso e voglio.
 
    Impari a temermi
 chi amarmi non sa.
 
    Disprezzo impunito
 superbia si fa;
370e affetto schernito
 diventa viltà.