Astarto (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1708

 Eccellenza,
    se alle persone col grado e col merito, più distinte del rimanente degli uomini, non si avessero a consacrare che doni proporzionati alla loro grandezza, conforme si perderebbe quella lodevole comunicazione che fa la più bella parte non tanto della loro gloria quanto della civil società; così di presente in me non sarebbe nato l’ardire di consacrar questo drama al nome riverito di vostra eccellenza, che vale a dire ad una di quelle anime grandi le quali, considerate per ogni parte, o sia ne’ beni della fortuna o sia in quelli della virtù, spargono da per tutto egual chiarezza e splendore, a guisa di quelle gemme più rare che, per natura preziose e lavorate dall’arte, per qualunque lato si osservino, appagano la stima col prezzo e soddisfano l’attenzione con la bellezza. Anzi con vie più di coraggio ve lo consacro, o eccellenza, mentre più ne conosco la sproporzione, poiché, consacrandolo a voi perché abbia l’onore di restarne protetto, tanto è maggiore l’opera della vostra protezione quanto è maggiore la povertà del suo essere. Se in lui vi offerissi una cosa degna di voi, questa offerta non sarebbe che argomento del vostro merito, doveché, facendone una sì disuguale, voi accettandola fate conoscere la vostra bontà; ed agli animi nobili e superiori è molto più caro l’esser considerati per buoni che l’esser creduti per meritevoli.
    Non vi pensate peraltro ch’io non abbia una piena cognizione di quel che siete, e per nascita e per dignità e per virtù. Questa cognizione è già comune a tutta quella parte di mondo che vantasi più civile e più colta; e la vostra persona è uno di quegli oggetti che da vicin si rispetta e di lontano si ammira, come siegue appunto del maggior lume che illumina su la terra le cose apparenti e le nascoste feconda. La vostra casa tiene occulta nelle tenebre dell’età la chiarezza della sua origine ma vanta, nella successione de’ secoli, ereditarie la nobiltà e la grandezza, sostenute da’ titoli, accreditate da’ feudi, accresciute dalle azioni eroiche di chi grande vi entrò per natura e maggiore vi divenne per uso. Tutti però questi titoli e queste glorie, che voi trovaste sì illustri nel vostro sangue, più illustri ancora rendete con la vostra virtù; e senzaché mi affatichi di produrne argomenti, che peraltro mi si affollano innanzi, basta considerare il sublime carattere che tenete in nome del maggiore monarca del cristianesimo appresso la più gloriosa delle repubbliche; cosicché nel medesimo tempo, mentre siete l’immagine del primiero con la rappresentanza, divenite anche l’amore dell’altra col ministero. Contentatevi a questo passo che, in atto di venerazione, io sospenda le lodi che potrei darvi, poiché, tentando di farlo, assumerei un’impresa molto più temeraria di quella che tento nel dedicarvi il mio drama. Dedicandovi questo, metto in esercizio, torno a dirlo, la vostra bontà; arrischiandomi di lodarvi, verrei a mettere in pena la vostra moderazione; e però basti ch’io mi fermi nel mio primo proponimento e col più profondo rispetto mi dichiari di vostra eccellenza umilissimo, divotissimo, obbligatissimo servidore.
 
    N.N.