Zenobia in Palmira, Barcellona, Figueró, [1708]

 SCENA II
 
 ASPASIA e DECIO
 
 ASPASIA
880Va’; di Zenobia il voto
 vendica e assolve l’ire mie.
 DECIO
                                                   Qual posso
 sperar pietà? L’esempio
 del misero Odenato è mio spavento.
 ASPASIA
 Temer ti convenia pria di oltraggiarmi
885e dovevi, o incostante,
 esser sempre nemico o sempre amante.
 DECIO
 Bella, non più. Reo vuoi ch’io sia? Reo sono.
 Ma Farnace anche offese
 empiamente Odenato e ne ha perdono.
 ASPASIA
890La facile pietà fomenta i torti.
 DECIO
 E l’ estrema fierezza
 fa che amando disperi un cor fedele.
 ASPASIA
 Eh! (Vo’ tentarlo).
 DECIO
                                    Ora il vedrai, crudele. (Mostrando di voler partire)
 ASPASIA
 Dove?
 DECIO
                Fra’ Daci il piede o fra gli Sciti
895volga il mistero Decio;
 là vada, onde non giunga
 l’infausto nome a funestar quell’aure
 che tu respiri; o solo giunga alora
 che, a l’estremo sospir chiusi i suoi lumi,
900più non fia che pentita
 con pietà troppo tarda a te ’l richiami.
 (Fingo così, perché mi creda e m’ami). (Come sopra)
 ASPASIA
 Mio Decio (E che? Poss’io
 avvilirmi così? Già so ch’ei finge.
905Non partirà). Che più ti arresti? Parti.
 DECIO
 Parto, sì, ma per sempre.
 Venga meco un dolor ch’è disperato.
 Teco resti un furor ch’è vendicato.
 Non richiamarmi più. Già parto. Addio.
910E addio per sempre.
 ASPASIA
                                        (Ei parte). Ah! No, cor mio.
 
    Ferma il piè,
 non partir, mio ben, da me.
 Cedo l’ire e vinta sono.
 
    Vien, cor mio,
915e comprendi l’amor mio
 dal piacer de tuo perdono.
 
 DECIO
 Qual gioia...
 ASPASIA
                         (Taci. Ecco Farnace).