Zenobia in Palmira, Barcellona, Figueró, [1708]

 SCENA IX
 
 DECIO e FARNACE
 
 FARNACE
345Furie del cor, vi desti
 ad imprese più ardite il bel comando.
 DECIO
 (Qual vendetta si chiede
 in favor del mio amore alla mia gloria?)
 FARNACE
 Decio, così sospeso? è tempo, è tempo
350di meritar Aspasia.
 La tua fé ne ha l’invito.
 Se tardi, il campo al tuo rival tu cedi.
 Già ti precorro; e tu lo soffri e ’l vedi.
 DECIO
 Che far posso? A un Farnace,
355al più forte campion del perso impero,
 l’implacabile Aspasia
 le sue vendette affida. Ecco te lieto,
 lei vendicata. Or vanne,
 riconducila al padre. Aure propizie
360già spirano a’ tuoi lini; e resti intanto
 qui Decio l’infelice in mar di pianto.
 FARNACE
 Non mi movono a sdegno i tuoi disprezzi.
 Tutte ora deggio le vendette e l’ire
 al comando di Aspasia.
 DECIO
                                             Ire e vendette
365in Aspasia infelici,
 in Farnace impotenti.
 FARNACE
 Impotente non è cor resoluto;
 ed a beltà negletta
 mai non mancan ministri alla vendetta.
 
370   Sfidar so lo sdegno
 di barbara sorte.
 
    Ho provvido ingegno
 ed anima forte.