L’Engelberta (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744 (Engelberta)

 SCENA VIII
 
 ENGELBERTA ed OTTONE
 
 ENGELBERTA
 Qui, Otton, qui l’infedel di un solo sguardo
555non degnò consolarmi.
 OTTONE
 L’egro ch’ama il suo mal, pietà non merta.
 ENGELBERTA
 Sposa non mi chiamò. Que’ dolci accenti,
 onde solea bearmi,
 non uscir dal suo labbro e in lui trovai
560Lodovico bensì ma non l’amante.
 OTTONE
 Ad un’alma incostante
 mirar quel che tradì, già caro oggetto,
 fa rimorso e dispetto.
 ENGELBERTA
 Chi mai detto mi avria, cesare ingrato,
565ch’io dovessi penar con più di senso
 nello stesso piacer del rivederti?
 OTTONE
 Se ricusi il rimedio, a che dolerti?
 ENGELBERTA
 Dacché m’odia il crudel, qual più mi resta
 speranza di conforto?
 OTTONE
570Ch’egli torni ad amarti e vegga il torto.
 ENGELBERTA
 Come il voto compir?
 OTTONE
                                          Sta in tuo potere.
 ENGELBERTA
 E non m’inganni, Otton? Puote una stilla
 spegner nel mio signor gl’impuri affetti?
 OTTONE
 E renderlo fedele a’ tuoi desiri.
 ENGELBERTA
575Oimè!
 OTTONE
                Di che sospiri?
 ENGELBERTA
 Duolmi che deggia l’arte
 rendermi un ben ch’io meritai con fede.
 OTTONE
 Sempre il merto non ha la sua mercede.
 ENGELBERTA
 Dove serbi il liquor?
 OTTONE
                                        Lo avrai fra poco
580nelle tue stanze!
 ENGELBERTA
                                 Oh! L’uso a me ne giovi.
 OTTONE
 E gioverà. Pentito ed amoroso
 vedrai solo a’ tuoi lumi arder lo sposo.