L’Engelberta (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744 (Engelberta)

 SCENA VII
 
 METILDE ed ARRIGO
 
 METILDE
220O cor nell’armi invitto
 ma debole in amor...
 ARRIGO
                                         Bella Metilde,
 pur vedrò stretto il nodo
 che te al mio soglio e me al tuo seno unisca.
 Vedrò...
 METILDE
                  Sì, mi vedrai
225più sdegnosa e più fiera. E che? Gli affetti,
 più che dal genio e dalla fede, Arrigo,
 nascono dal comando; e amar degg’io
 col voler della madre e non col mio?
 ARRIGO
 Il tuo chiesi, o Metilde,
230ma soffrirne i disprezzi
 era pena al mio cor, torto al mio grado.
 Fei ricorso ad augusta;
 chiesi nel mio riposo
 la tua grandezza e la trovai più giusta.
 METILDE
235Se giustizia ti rende il suo consenso,
 te la rende anche pari il mio rifiuto.
 ARRIGO
 Col mio amor tu rifiuti anche il mio soglio.
 METILDE
 Questo, o prence, non curo e quel non voglio.
 
    Fa’ che passi un altro core
240nel mio petto
 e con quello io ti amerò.
 
    Sinché in seno il mio ricetto,
 far ch’io t’ami amor non può.