L’Engelberta (Zeno e Pariati), Milano, Ghisolfi, 1708

 SCENA VII
 
 METILDE ed ARRIGO
 
 METILDE
 O cor ne l’armi invitto
 ma debole in amor...
 ARRIGO
                                         Bella Metilde,
 pur vedrò stretto il nodo
260che te al mio soglio e me al tuo seno unisca.
 Vedrò crescer di pregio
 sul tuo crine il mio serto; e que’ bei rai
 vedrò...
 METILDE
                 Sì, li vedrai
 più sdegnosi e più fieri. E che? Gl’affetti,
265più che dal genio e da la fede, Arrigo,
 nascono dal commando? E amar degg’io
 col voler de la madre e non col mio?
 ARRIGO
 Il tuo chiesi, o Metilde,
 e con lungo servir, con lunga fede
270cercai di meritarlo.
 Più soffrirne i disprezzi
 era pena al mio cor, torto al mio grado.
 Fei ricorso ad augusta;
 chiesi nel mio riposo
275la tua grandezza e la trovai più giusta.
 METILDE
 Se giustizia ti rende il suo consenso,
 te la rende anche pari il mio rifiuto.
 ARRIGO
 Col mio amor tu rifiuti anche il mio soglio.
 METILDE
 Questo, o prence, non curo e quel non voglio.
 
280   Fa’ che passi un altro core
 nel mio petto
 e con quello io t’amerò.
 
    Sin che in seno il mio ricetto,
 far ch’io t’ami amor non può.
 
 
 
 

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