L’Engelberta (Zeno e Pariati), Milano, Ghisolfi, 1708

 SCENA II
 
 LODOVICO, OTTONE, poi ERNESTO dalla città con seguito
 
 OTTONE
 Cesare, al prence Ernesto
 recai gl’ordini eccelsi. Ei frettoloso
 da la città ver te già muove i passi.
 LODOVICO
 Si ritiri ciascun. (Povero core!)
 OTTONE
50(Donde nasca m’è noto il suo dolore).
 ERNESTO
 Augusto imperador, le tue vittorie
 stancan la fama e...
 LODOVICO
                                      Qui non chiedo, Ernesto,
 di vane lodi ambiziosi omaggi.
 Libero parla e non celarmi il vero.
 ERNESTO
55Legge è di Ernesto un favellar sincero.
 LODOVICO
 Pria di partir duce guerriero al campo,
 ad Engelberta e a te commisi il freno
 del germanico impero.
 ERNESTO
                                            E da quel giorno
 corser sei lune e sei.
 LODOVICO
                                        Vedovo letto
60tosto fa noia a giovanil beltade.
 ERNESTO
 Ne corregge l’ardor cauta onestade.
 LODOVICO
 Ah! D’Engelberta io temo.
 ERNESTO
 L’eccelsa augusta?
 LODOVICO
                                    Anch’ella è donna e moglie.
 ERNESTO
 Timido è un grande amor.
 LODOVICO
                                                   Qui legga Ernesto; (Mostrandogli una lettera)
65ma pria giuri silenzio e fé prometta.
 ERNESTO
 Sai mia fede,
 LODOVICO
                            (O rossore!)
 ERNESTO
 (Comincia a respirar la mia vendetta). (Legge)
 «Cesare, in Engelberta,
 benché non corrisposti,
70ardono impuri affetti; e se non riedi,
 da l’atre vampe in breve
 fumo uscirà bastante
 ad offuscar de la tua fama i rai.
 Pronto rimedio a vicin mal si chiede.
75Scrive chi tutto è zelo e tutto è fede».
 Che lessi mai! (Godi, alma mia). (Rendendogli la lettera)
 LODOVICO
                                                               Tu, Ernesto,
 cui, me lontano, unir di augusta al fianco
 le pubbliche del regno ardue vicende,
 di’, chi svegliò l’ardor? Chi de l’iniqua
80ribbuttò le lusinghe? A chi degg’io
 lo scorno e l’onor mio?
 ERNESTO
 Dal crudel... cenno... assolvi... (Confuso)
 LODOVICO
 No no, ubbidisci; e s’ami
 il tuo sovrano o se lo temi, parla.
 ERNESTO
85Nol niego; errò Engelberta; e in basso affetto
 si avvilì la grand’alma.
 Amò, volle, tentò; ma risospinta
 penò ne l’ozio de’ suoi voti e tacque;
 timida o disperata
90più non fallì...
 LODOVICO
                             Ma solo
 perché più non poté la scelerata;
 è altrui virtù quanto non è sua colpa.
 ERNESTO
 Ah! Ch’egli è reo chi non volendo ancora
 offende il suo signor.
 LODOVICO
                                         Sol de l’offese
95è misura il voler.
 ERNESTO
                                  (Sorte mi arride).
 LODOVICO
 Scuoprimi il fido.
 ERNESTO
                                   A le tue piante il vedi... (S’inginocchia)
 LODOVICO
 Che?
 ERNESTO
             Sì, vedi prostrato il reo vassallo
 chiederti supplicante
 che tu in esso punisca un non suo fallo.
 LODOVICO
100Cieli!... Ernesto!
 ERNESTO
                                 Io quel son, io l’infelice
 che piacque ad Engelberta e parve ogetto
 di facile trofeo, di debol fede.
 Me stesso odiai, da che l’intesi; e senza
 l’impegno del mio grado
105lasciata avrei la fatal reggia e ’l regno,
 di viver più, di più mirarti indegno.
 LODOVICO
 Iniqua donna, o quanto
 più grave e più funesto
 m’era il tuo error, se mi toglieva Ernesto.
110O raro esempio d’amistà e di fede! (Lo fa levare e lo abbraccia)
 Sorgi ed in grato amplesso,
 più che il tuo re, strigni il tuo amico.
 ERNESTO
                                                                    Io feci
 ciò che dovea.
 LODOVICO
                             Ciò ch’io pur deggio adempio.
 Ottone a me. Tu chiudi
115nel più cupo del sen l’alto segreto.
 ERNESTO
 Mancherò al viver mio, pria che al dovere.
 OTTONE
 Pronto al tuo cenno...
 LODOVICO
                                         In Aquisgrana, Ottone,
 riedi e fa’ ch’Engelberta
 tosto a me venga. In quella
120solitudine amena
 l’attenderò per mio riposo.
 OTTONE
                                                   Il cenno
 grato le fia. Gode esser solo amore.
 LODOVICO
 Fugge, Ernesto, d’esporsi
 a la pubblica vista il mio dolore.
 
125   Selvagge amenità,
 tra voi ricercherà
 qualche riposo
 l’alma agitata.
 
    Splendor di corte,
130favor di sorte
 renderla illustre può
 ma non beata.
 
 
 
 

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