Flavio Anicio Olibrio (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 PLACIDIA e poi FEDELE
 
 PLACIDIA
 
    Perché, amor, sorte, perché
 insidiarmi
 ogni mia felicità?
 
    Regno e trono dove sono?
205E dov’è
 patria, sposo e libertà?
 
 FEDELE
 Pur posso a’ piedi tuoi...
 PLACIDIA
                                               Fedel, tu in Roma?
 Che fia di Olibrio?
 FEDELE
                                     Ei meco
 qui venne e ascoso...
 PLACIDIA
                                        Olibrio in Roma? Oh dei!
210S’egli è scoperto... E se il tiranno... Vanne,
 digli che parta.
 FEDELE
                               E credi
 ch’egli possa partir senza vederti?
 E tu nol brami ancor?
 PLACIDIA
                                           Fedel, se il bramo,
 dopo un anno crudel di lontananza?
215Ma in sì rigida sorte
 vederlo è pena (e non vederlo è morte).
 FEDELE
 Ad ogni costo ei vuole
 o parlarti o morir.
 PLACIDIA
                                    Ma dove? E quando?
 Ingombrano la reggia
220l’armi di Ricimero; e a me d’intorno
 stan custodi e non servi.
 FEDELE
 Se più indugi, il disperi.
 PLACIDIA
 Che farò? Che risolvo? (In atto pensoso)
 TEODELINDA
 (No, non m’inganno, è desso. (Sopravviene in disparte)
225Fedele egli è; ma con Placidia? È forse
 vicino Olibrio. Inosservata ascolto). (Si ritira)
 PLACIDIA
 Tu come a me giungesti?
 FEDELE
 Per le vie più segrete
 del regal parco.
 PLACIDIA
                               Ove lasciasti ’l prence?
 FEDELE
230Entro quel bosco impaziente attende.
 PLACIDIA
 (Datti pace, cor mio).
 Vanne; digli che, in questo
 solingo orror, cauto lo attendo e solo.
 FEDELE
 Col lieto avviso a consolarlo io volo.