Flavio Anicio Olibrio (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA IV
 
 PLACIDIA e RICIMERO con seguito
 
 PLACIDIA
 Ferma, o vandalo cor. Da’ tuoi furori
 la tenera innocenza
85scampo non ha?
 RICIMERO
                                 Mia principessa...
 PLACIDIA
                                                                    Iniquo,
 di popolo crudel re più feroce,
 alma alle stragi avvezza,
 così torni a Placidia?
 Così la cerchi? Forse,
90fors’era Ricimero
 poco orribile oggetto agli occhi miei,
 se distruttor di Roma,
 se uccisor de’ miei fidi,
 col ferro in mano e con la morte al fianco,
95non lo vedea?
 RICIMERO
                            Perdona...
 PLACIDIA
 Su, del sangue roman non ben satollo,
 vieni e gli ultimi avanzi
 bevi nel mio. T’offro già il petto e il ferro.
 Prendilo. Che più tardi?
 RICIMERO
100Giusto, Placidia, è il tuo furor. Ma alfine
 di esercito, irritato
 dalle lunghe vigilie e dal contrasto,
 chi può frenar nella vittoria il fasto?
 Non incolpar di tante stragi e tante
105altri che il tuo rigor.
 PLACIDIA
                                       Perfido, e tenti
 farmi rea de’ tuoi falli?
 Ministra de’ tuoi sdegni? Io son che struggo
 della patria infelice i muri e i templi?
 RICIMERO
 Quel solo amor...
 PLACIDIA
                                  Basta. Già tutti intesi
110i mali miei. Se vincitor tu pensi
 stender sopra il mio cor la tua vittoria,
 Ricimero, t’inganni.
 Mi saranno fra’ ceppi
 motivo di costanza anche gli affanni.
 
115   Sdegno, amore, minacce, lusinghe
 non son mio timore,
 non son mia speranza.
 
    Mirerò, soffrirò doni e pene,
 favori e catene,
120con pari valore,
 con pari costanza.