Flavio Anicio Olibrio (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1707

 SCENA VI
 
 RICIMERO e TEODELINDA
 
 RICIMERO
145Eccomi, Teodelinda,
 vincitor, trionfante, a la cui gloria
 nulla resta a sperar.
 TEODELINDA
                                       L’Italia e Roma
 morde il gotico giogo.
 RICIMERO
 E pur fra tanti applausi
150non son contento. Amore
 avvelena il piacer de’ miei trionfi.
 Mi abborrisce Placidia; e più che Roma,
 mi è difficile acquisto il suo gran core.
 TEODELINDA
 Può temer la sua preda un vincitore?
155Fu Placidia sinora
 rigida teco. Il padre, il genio, il grado
 facean plauso a’ suoi voti, inciampo a’ tuoi.
 Tutto or cangia di aspetto. Ella è tuo acquisto.
 Valentiniano è morto.
160Olibrio è ancor lontano...
 RICIMERO
 Ah! Che lontano ei me la usurpa ancora
 fortunato rival.
 TEODELINDA
                               Qui al suo ritorno
 celebrar si dovean gli alti sponsali.
 RICIMERO
 Ben ne giunse a me ’l grido; e ’l mio timore
165l’ire lente svegliò, diè moto a l’armi.
 Strinsi Roma e cadé.
 TEODELINDA
                                         Rotto è già ’l nodo
 che restava a temer. L’ami Placidia,
 che può sperar, se a le tue leggi è serva?
 Cadrà, se ’l tenti; e ti amerà, se ’l chiedi.
170Vanne, priega, minaccia;
 usa la sorte tua; che più paventi?
 RICIMERO
 Teodelinda, il tuo labbro
 dà coraggio al timor, bando a’ tormenti.
 
    Perché ad amarmi
175quel cor si pieghi,
 userò i prieghi,
 l’ire userò.
 
    Sia pur superbo,
 sia pur costante,
180o re od amante
 lo espugnerò.