La Svanvita (Pariati), Milano, Malatesta, 1707

 SCENA IX
 
 SVANVITA, REGNERO, ILDEGONDA
 
 SVANVITA
 Più fausto avviso e più opportuno a noi
1420non potevi recar, bella Ildegonda.
 REGNERO
 Ildegonda a me cara,
 o se penso al tuo merto o se a quel sangue
 che unì più volte a’ tuoi grand’avi i miei.
 ILDEGONDA
 Regina, è mia gran sorte
1425il poterti inchinar. Ma tu chi sei?
 REGNERO
 Perdonami, conviene
 che di me stesso obblii la sorte e ’l nome.
 Piace così... (Accenna Svanvita ad Ildegonda)
 SVANVITA
                         Distinguati Ildegonda
 da’ tuoi nemici. In lui tu vedi il degno
1430figlio di Unningo.
 ILDEGONDA
                                   Oh dei! Regnero egli è?
 SVANVITA
 Sì, Regnero, il mio sposo.
 ILDEGONDA
                                                 Ed il mio re.
 SVANVITA
 Tacciasi. In questa reggia
 temonsi ancor di Roderico i cenni.
 ILDEGONDA
 Cauti siamo, non timidi. Per noi
1435il trionfo fia certo.
 La giusta causa è in man di Sigiberto.
 REGNERO
 Tutto spero, lui duce.
 ILDEGONDA
                                         In breve l’armi
 decideran. Lontana spettatrice
 mi chiama il cor. Principi amanti, addio.
1440A l’amor vostro io così servo e al mio.
 
    So che consola
 star col suo bene
 da solo a sola
 e a le sue pene
1445dar libertà.
 
    Il vero amante
 non è ’l più audace.
 Se v’è chi ’l mira,
 sospira e tace;
1450e finger piace
 sembiante austero
 a la beltà.