La Svanvita (Pariati), Milano, Malatesta, 1707

 SCENA V
 
 ASMONDO e li sudetti
 
 REGNERO
 Tempo non è che più si taccia, Asmondo,
 un nome ch’è mia gloria e tua salvezza.
 Ad Olao generoso,
1270generoso parlai. La tua virtude
 non c’imprima timor di alcun periglio.
 Tutto dissi.
 ASMONDO
                        Che mai?
 REGNERO
 Ch’io son Regnero e son di Unningo il figlio.
 ASMONDO
 Che? Tu Regnero? In te sol veggo il forte
1275duce de’ Dani.
 REGNERO
                              Invano
 si dissimula più svelato arcano.
 Di’ pur...
 ASMONDO
                    Piacesse a’ dei che al mio dolore
 far lusinga potessi. Ahi! Me presente,
 spirò il misero prence e ancor ne piango.
1280Entro fredd’urna ei giace
 e ’l suo cenere almen si lasci in pace.
 REGNERO
 Importuna pietà! Barbara fede!
 ASMONDO
 Questa fé mi convien, questa pietade.
 REGNERO
 Che puoi temer, se parli?
 ASMONDO
1285Sol temerei, se al mio dover mancassi.
 REGNERO
 Quando nieghi il tuo re, manchi al dovere.
 ASMONDO
 Lodevol è nel zelo anche l’errore.
 SVANVITA
 (Tu stai penando, o core).
 REGNERO
 Deh non t’infinger più. Rifletti ormai
1290che re mi nieghi ed impostor mi fai.
 OLAO
 Che cieco laberinto è mai cotesto?
 Qual di loro è ’l mendace? Io che far posso?
 Qual parte sieguo? Ombra real di Unningo,
 che in queste soglie ancor ti aggiri e scorgi
1295l’onestà de’ miei voti,
 tu mi inspira consiglio
 per giudicar tra l’impostore e ’l figlio.