L’amor generoso, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 ASMONDO ed ALVILDA
 
 ASMONDO
 Regina eccelsa.
 ALVILDA
                               A che ne vieni, Asmondo?
205Vuole il re le mie nozze?
 Vuol l’ire mie? Fievoli scuse e vane
 più non mi espor. Più tosto
 dimmi ch’è infedeltà la sua tardanza.
 D’altra egli avvampa; e del mal nato ardore
210ben mi giunse da lungi
 qualche scintilla a balenar sugli occhi.
 Pure attesi il trionfo
 di sua ragion. L’ire primiere io vinsi.
 La vendetta sospesi e tacqui e finsi.
 ASMONDO
215Né più si finga. È ver, regina, è vero.
 Fu sì debole il re che mal difese
 quel cor ch’esser dovea sol tua conquista.
 Di altro bello ei si accese...
 ALVILDA
 Spergiuro e vil, contra la fede? In onta
220al mio grado? Alle leggi? A’ giuramenti?
 Stabilir le mie nozze?
 Attender ch’io disciolga
 dal mio suol? Che al suo giunga,
 per ischernirmi e rimandarmi, infido,
225ove io sia mostra a dito,
 favola de’ vassalli e delle genti?
 ASMONDO
 Ben vede il torto...
 ALVILDA
                                    E crede
 che impune il soffra? Andran pria tutti a foco,
 tutti a ferro i suoi regni, i suoi vassalli.
230Oltre il Baltico e l’Orse
 farò giunger le strida e le faville
 delle vedove spose,
 delle provincie incenerite ed arse;
 e Alvilda, di Norvegia
235la possente regina e la negletta,
 renderan nota al mondo
 e l’offesa egualmente e la vendetta.
 ASMONDO
 Grav’egli è il torto; e non minor ne arreco
 il compenso, o gran donna.
 ALVILDA
                                                   E qual?
 ASMONDO
                                                                    Le nozze
240del prence Aldano e mezzo seco il regno.
 ALVILDA
 Bolle ad Aldano entro le vene un sangue
 ch’io già detesto.
 ASMONDO
                                  Ah, non voler col reo
 confonder l’innocente.
 ALVILDA
                                           È sua gran colpa
 l’esser fratel di un empio.
 ASMONDO
                                                 In lui tu offendi
245la più rara virtù che in terra sia
 e l’opra più perfetta de gli dei.
 ALVILDA
 (Tal vi parve Sivardo, affetti miei).
 ASMONDO
 Regina, a cor sincero
 ti parlo. Perdi un sposo
250grande sì, non amabile. Un ne acquisti,
 in cui vanno del par grazia e beltade.
 Marte è, se l’elmo cinge, Amor, se sciolte
 spiega le bionde chiome.
 Ogni suo moto, ogni sua voce, ogni atto
255delizia è della mente,
 incanto è dello sguardo.
 ALVILDA
 (Tal era, allor che il vidi, il mio Sivardo).
 ASMONDO
 Ma che parlo? Tu stessa
 giudice insieme e testimon ne fosti,
260allorch’egli di Europa
 vide le corti e nella tua Norvegia
 trasse, mentito il grado,
 lunghe dimore.
 ALVILDA
                               Ei fu in Norvegia?
 ASMONDO
                                                                   Allora
 ne avea lo scettro il tuo gran padre Irvillo.
 ALVILDA
265Ci venne ignoto?
 ASMONDO
                                  Onde osservar potesse
 de’ regni altrui meglio i costumi e i riti.
 ALVILDA
 Quant’ha?
 ASMONDO
                       Due volte han corsi
 gl’immensi spazi in annuo giro il sole.
 ALVILDA
 (O dio! Fu quello il tempo,
270in cui vidi ed amai. Cieli! In Aldano
 mi offrireste Sivardo? O voti! O spene!
 O mia felicità, s’egli è il mio bene!)
 ASMONDO
 (Seco favella).
 ALVILDA
                             Asmondo,
 sia pietà, sia ragion, l’armi sospendo.
275Veggasi Aldano; e se all’idea conforme
 corrisponde l’oggetto,
 abbia pace Frilevo, abbia perdono
 e mezzo il regno suo goda in mio dono.
 
    Amabile e vezzoso
280credo che sia lo sposo;
 ma vo’ che piaccia a me.
 
    Con l’altrui cor non amo;
 ma vo’ dar fede agli occhi;
 e s’egli fia qual bramo,
285sarà mio sposo e re.