Il Teuzzone, Milano, Malatesta, 1706

 SCENA VII
 
 Giorno. Vasta campagna, tutta circondata di palme. Tenda reale alla tartara.
 
 ZELINDA che dorme, ARGONTE che ritorna dalla città
 
 ARGONTE
 
    Spunta il sol; né ancora al dì
 quel bel volto i lumi aprì.
 
220   Ma bei lumi, voi piagnete;
 e quell’onde che spargete,
 ingemmando l’erbe e i fiori,
 sembran pianti e son tesori.
 
 ZELINDA
 Sposo, Teuzzon, mia vita, (Risvegliandosi)
225chi dal sen mi ti svelle?
 Barbari, iniqui mostri, ove il traete?
 Ah! me prima uccidete.
 ARGONTE
 Zelinda...
 ZELINDA
                     Orride larve,
 dal nero sen di Flegetonte uscite,
230voi dal guardo fuggite
 ma non dal cor, non da la mente, o dio!
 Dove sei, caro sposo, idolo mio?
 ARGONTE
 A quai vani fantasmi,
 deliri de l’idea, ti lasci in preda?
 ZELINDA
235Che arrechi, Argonte? Ov’è ’l mio prence?
 ARGONTE
                                                                              In breve,
 più che mai fido e amante,
 qui verrà...
 ZELINDA
                        Respirate, affetti miei,
 da’ sognati spaventi.
 ARGONTE
 Ma che sognasti?
 ZELINDA
                                  A me parea poc’anzi
240con l’ostro al fianco e col diadema in fronte
 veder Teuzzone in atto
 di salir regal trono,
 quando livida serpe, ahi fiera vista!,
 ributtandolo addietro,
245gli straccia intorno e la corona e ’l manto;
 e ad un fischio crudel serpi minori
 già ’l traevano a morte.
 Alor mi scossi, molle,
 di pianto il volto e di sudore il seno;
250tremo ancora al gran rischio;
 e di quel mostro odo ancor vivo il fischio.
 ARGONTE
 Meglio apri gl’occhi; e dal pensier la tema
 si dilegui con l’ombra.