Il Teuzzone, Milano, Malatesta, 1706

 Serenissima altezza,
    questo dramatico componimento, da me conceputo e formato per supremo comando di vostra altezza serenissima, non doveva comparire alla luce che sotto i favorevoli auspici del riverito suo nome; ed io che peraltro, conoscendo la fiacchezza del mio talento, non avrei avuto l’ardire di ricorrere all’alto suo patrocinio per tutela delle mie debolezze, ho qualche ragion di sperarne in questa occasione l’onore, considerando principalmente ch’ella riguarderà in questo drama più la sua elezione che i miei difetti e più l’ubbidienza dell’artefice che la imperfezione del lavoro. Il dover servire all’autorevole cenno di vostra altezza serenissima, la cui gran mente è assai maggior degli stati ch’ella ha in governo e che, oltre la pubblica venerazione de’ popoli, possiede ancora la stima di due de’ maggiori monarchi che abbia la terra, doveva infatti dar più di forze all’ingegno, perché al merito di una ossequiosa prontezza succedesse anche quello di una lodevole esecuzione; ma se in ciò all’obbligo non avrà corrisposto il successo, se ne rigetti più nell’impotenza che nel desiderio la colpa e si giudichi di quest’opera ciò che suol credersi del colpo de’ saettatori, i quali se non colpiscono al segno, non è perché non c’impieghino tutta l’attenzione dell’occhio ma perché, rispetto alla loro lena, troppo è discosto quel punto cui hanno preso di mira. A queste mie mancanze supplirà nondimeno vostra altezza serenissima con quel generoso compatimento di cui già si compiacque onorare qualche altra mia simile benché imperfetta fatica; e giovami l’aver fede che chi ebbe la bontà di eleggermi avrà anche quella di sostenermi, siccome appunto succede di certe meteore nell’aria, dove riflette per illuminarle quel raggio ch’ebbe poc’anzi vigore per sollevarle. Quando questa mia confidenza a soverchio ardimento non mi si ascriva e quando a lei piaccia approvar la sua scelta nella mia opera, io avrò il debito indispensabile di esserle doppiamente tenuto, e della gloria del suo comando e di quella della sua protezione. Così in ogni tempo e a tutta mia possa, sarà mio primo dovere e mio unico voto il farmi conoscere qualora col più profondo rispetto mi pregio di pubblicarmi di vostra altezza serenissima umilissimo, divotissimo, ossequiosissimo servidore.
 
    Appostolo Zeno
    Venezia, li 9 gennaio 1706