Statira (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA III
 
 ARSACE e STATIRA
 
 STATIRA
 Al piè? Perché no al core?
 ARSACE
                                                 In questi estremi
 momenti di mia vita, anche i sospiri
 più di amante non son ma di vassallo.
 STATIRA
 Così favella?...
 ARSACE
                             Alla regina Arsace.
 STATIRA
855Io regnar, quando costi
 la mia grandezza i tuoi bei giorni? Ah, caro,
 piacque il regno a Statira,
 finché innocente era il desio.
 ARSACE
                                                       Innocente
 tel conserva il mio voto.
860Vanne. Segui di Oronte
 l’ira ch’è tua fortuna. Io te ne assolvo.
 STATIRA
 Ma non mi assolve amore.
 ARSACE
 Ceda amore al periglio
 del tuo goder. Va’; la mortal sentenza
865segni la destra.
 STATIRA
                               Ahi, che diria quest’alma?
 ARSACE
 Sol ti chiedo, regina,
 che non mova la man l’odio o lo sdegno;
 e allor che scritto avrai: «Condanno Arsace»,
 volgi un guardo pietoso
870alle note funeste; e amor vi aggiunga:
 «Arsace, il mio più caro, il mio più fido,
 quel che, da lui pregata, io stessa uccido».
 STATIRA
 Temo che poco m’ami
 chi sì ardito mi perde. Io forze avrei?
875Avrei senso? Avrei mente? Avrei pensiero
 per legge sì tiranna?
 
    Né l’alma crudele
 né il core infedele
 può esser per te.
 
880   Credilo all’amor mio,
 credilo alla mia fé.
 
 ARSACE
 La fé, l’amor...
 STATIRA
                             Se teco nol divide,
 sdegna Statira il soglio; e se il diadema
 porta seco l’orror di una rapina,
885ascoltatemi, o dei, l’abbia Barsina.