Statira (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 SCENA XIV
 
 STATIRA, ARSACE e IDASPE
 
 IDASPE
 (E questi di mie colpe avran la pena?)
 ARSACE
1215Ma, Statira, perché? Perché in que’ lumi
 così bel pianto? Insuperbirsi io veggio
 nel tuo dolor la nostra sorte e pompa
 son de l’empia rivale i tuoi sospiri.
 STATIRA
 Quel duol, che in me tu miri,
1220forse è l’ultimo onor che te presente
 rendo al mio genio. Lascia...
 ARSACE
                                                     No, cor mio.
 Tutto ancor non è spento
 con la mia libertà l’ardir de’ Persi.
 Dario è per noi. Per noi saranno i numi
1225de la virtù custodi.
 STATIRA
                                     Il tuo coraggio,
 diletto Arsace, a me rasciuga il ciglio.
 Ma poscia il tuo periglio...
 ARSACE
 Qual periglio? Costoro,
 Idaspe, affretta. Andiam. Tu vieni, o cara.
1230Ogn’indugio è un rossor de la mia fede.
 STATIRA
 Vuoi così? Teco è l’alma e teco è ’l piede.
 ARSACE
 
    Tanta fé?
 
 STATIRA
 
                        Tanta costanza?
 
 ARSACE
 
 Questo è amor.
 
 STATIRA
 
                               Questa è speranza.
 
 ARSACE
 
 Idol mio.
 
 STATIRA
 
                    Mio caro.
 
 A DUE
 
                                        Sì.
 
 ARSACE
 
1235   Voi che ardete...
 
 STATIRA
 
                                    Voi che amate...
 
 A DUE
 
 Imparate
 ad amar ognor così.