Statira (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 SCENA VIII
 
 IDASPE ed ORONTE
 
 IDASPE
145Mio sire invitto.
 ORONTE
                                 Idaspe,
 tua libertade in breve
 de le vittorie mie dovea esser frutto.
 Chi prevenne i miei voti? E chi ti tolse
 a le perse catene?
 IDASPE
150Beltà che in questo foglio il cor ti espone.
 ORONTE
 Che fia?
 IDASPE
                   (Se non ti sveno,
 barbaro re, non son felice appieno).
 ORONTE
 «In te, benché nemico, (Legge)
 regal donzella, eccelso re, confida.
155La paterna corona
 s’insidia a lei. Suo difensor tu vieni.
 Vien generoso. A te non far ch’esposti
 abbia suoi voti invano
 chi suo appoggio ti vuole o suo sovrano».
160Idaspe, a’ piè del foglio
 sta di Barsina il nome.
 IDASPE
                                            Ed ella appunto
 mi tolse a’ ceppi e a te recar m’impose...
 ORONTE
 Inutile ricorso. (Straccia ’l foglio)
 Per Statira è ’l mio cor. Lei chiedo in moglie.
165Mi si niega. Al rifiuto
 furie desto, armi impugno.
 Vinco la Persia ed Artaserse uccido.
 L’ira sinor si è soddisfatta. Or pure
 si soddisfi il disio. Statira io voglio,
170prima e sola cagion di mia vittoria.
 Volerla è impegno e conquistarla è gloria.
 IDASPE
 Ardua impresa. Il suo affetto
 è un trionfo di Arsace,
 di Arsace, a cui morendo
175il genitor la dichiarò consorte.
 ORONTE
 Di un padre estinto è un vincitor più forte.
 IDASPE
 Più beltà, più virtude
 splende in Barsina...
 ORONTE
                                        Io vo’ Statira. Omai
 nuovo invito guerriero
180dieno le trombe. La città si assalga,
 si combatta, si espugni; e in dì sì lieto
 cingan la regia fronte
 mirti ed allori al bellicoso Oronte.
 
    Mi si sveglia nel seno un affetto
185che né fasto né tema esser può.
 
    Non è speme, non pena o diletto,
 non è amore che alberga nel core,
 s’ei per gli occhi nel cor non entrò.