Ambleto (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 FENGONE e ILDEGARDE
 
 FENGONE
 Venga Gerilda.
 ILDEGARDE
                               E in tale indugio, o sire,
 la gloria d’inchinarti abbia Ildegarde.
 FENGONE
 Grata del nobil dono a me ten vieni.
 È Valdemaro il primo
515duce dell’armi nostre.
 ILDEGARDE
 Il più forte guerrier che stringa acciaro.
 FENGONE
 Ornamento del regno, amor del soglio.
 ILDEGARDE
 Sì, ma perdona, o sire...
 FENGONE
 Che?
 ILDEGARDE
             Con tutti i suoi fregi io non lo voglio.
 FENGONE
520Ildegarde, rifletti
 che non son più il tuo amante. Io tuo re sono.
 ILDEGARDE
 E ad un re che fu amante, io rendo il dono.
 FENGONE
 Se novo amor non ti avvampasse in seno,
 non saresti sì audace.
 ILDEGARDE
525I tuoi spergiuri in libertà mi han posta.
 FENGONE
 Scopri l’oggetto e l’imeneo ne approvo.
 ILDEGARDE
 A chi già mi schernì, poss’io dar fede?
 FENGONE
 Scettro ancor non stringea chi a te la diede.
 ILDEGARDE
 Il crederti or mi giova. Adoro Ambleto.
 FENGONE
530Stravagante desio!
 ILDEGARDE
 Consola l’amor mio
 e lo lascia regnar sopra il mio core.
 FENGONE
 Compiacerti non posso, incauta amante.
 ILDEGARDE
 E la real tua fede?
 FENGONE
535Un re l’obblia, s’ella gli torna in danno.
 ILDEGARDE
 Dovea farmi più accorta il primo inganno.
 
    Prestar fede a chi non l’ha,
 alma mia,
 tu lo vedi, è frenesia,
540tu lo provi, è vanità.
 
    Quando crede a un falso core,
 è l’amore una follia,
 è la speme una viltà.