Ambleto (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 SCENA XIV
 
 AMBLETO e li suddetti
 
 AMBLETO
                                                          Ambleto.
 Fermati, Valdemaro.
 Insultar Veremonda
 senza oltraggiar me, tuo signor, non puoi.
 VEREMONDA
895O cieli! Ambleto, idolo mio, son questi
 accenti di follia?
 AMBLETO
                                 Dove, o mia cara,
 s’agita il viver mio, fingo i deliri,
 dove il periglio tuo, perdo i riguardi.
 VALDEMARO
 (Credo a pena a l’udito, appena ai guardi).
 AMBLETO
900Duce, mi hai nella parte
 miglior de l’alma offeso.
 Ten prescrivo l’emenda e a te, con quanto
 di autorità può darmi
 l’esser principe tuo, parlo e comando.
905Ama la tua regina
 ma di un amor che sia di ossequio e fede.
 Essa campion ti chiede e non amante;
 io suddito ti voglio e non rivale.
 Né guardar ch’io sia solo;
910difeso è un re dal suo destin. Costoro,
 che ti stanno d’intorno,
 pria che guerrieri tuoi, fur miei vassalli.
 Rispetta il cenno; ed oggi
 ch’io principio a regnar, mi è fausto e caro
915che il primo ad ubbidir sia Valdemaro.
 VALDEMARO
 E Valdemaro il sia. Mio re già sei.
 Cedo il mio amor. Perdona
 se il difficile assenso
 non può darti il mio cor senza un sospiro.
 AMBLETO
920La tua virtù nel tuo dolor rimiro.
 VEREMONDA
 Compisci, o generoso,
 la magnanima idea. Quell’armi istesse,
 che voleva l’amor, muova il tuo zelo.
 VALDEMARO
 Sì, né più qui si tardi; io vado al campo.
925Là non dee tosto esporsi
 la persona real. Prima il suo nome
 rispetto vi disponga e amor vi desti.
 Qui rimangan per poco
 vostra difesa i miei guerrieri. Al piede
930darà moto il periglio, al cor la fede.
 
    Non dirò che ancora io v’ami;
 e che il cor più non vi brami,
 occhi bei, non vi dirò.
 
    Fra ragion, che sa il dovere,
935e beltà, che fa il potere,
 dir l’amore non si deve
 e negarlo non si può.