Ambleto (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 SCENA III
 
 GERILDA e FENGONE
 
 FENGONE
 (Si lusinghi costei). Teco, o Gerilda,
545conspirano a’ miei danni anche i vassalli.
 Già la Cimbria rubella
 m’obbliga a l’armi. Io partirò. Tu sola
 serba l’arcano. Oh fosse
 al par di quegl’infidi
550mia facile conquista anche il tuo core!
 GERILDA
 Troppo fosti crudel per non averlo.
 FENGONE
 Regina, odiami pur; le insidie occulta
 né più strugga la man del core i voti.
 
    Pur luci amorose,
555benché disdegnose,
 sì godo in mirarvi
 che ad onta di vostr’ire io voglio amarvi.
 
 GERILDA
 (Non s’irriti un amor che salva il figlio).
 Signor, meno di affetto io ti richiedo.
560Lasciami l’odio mio con più innocenza.
 FENGONE
 lo parto. A te frattanto
 tutto resti in balia l’alto comando.
 Addio, diletta. È questo
 l’ultimo forse. Io se cadrò fra l’armi,
565tu sarai sola il mio pensiero estremo.
 Felice me, se mi perdoni estinto
 e se di qualche fior questa, ch’io bacio,
 candida mano il freddo sasso adorna.
 GERILDA
 Va’, pugna, vinci e vincitor ritorna.
 FENGONE
 
570   Su la fronte già cingo gli allori
 e felici ne prendo gli auspici,
 luci care, dal vostro piacer.
 
    Quegli sguardi, che armate di amori,
 per ferire dan l’armi e l’ardire
575e per vincer l’esempio e ’l poter.