Antioco (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 SCENA VIII
 
 ARGENE, TOLOMEO
 
 ARGENE
 Tolomeo.
 TOLOMEO
                    Bella Argene,
 non fu vano il sospetto. Antioco è amante.
 ARGENE
 Non m’ingannai. Ah! Quell’uscir piagnendo
 da Stratonica, sì, ben tel diss’io,
655di un tenero congedo era dolore;
 alor piangea la lontananza amore.
 TOLOMEO
 lo, che la fuga intesi
 da due fenici, al re l’esposi; e colto
 ne la sua colpa ancor l’hai ne la reggia.
 ARGENE
660A te so quanto i’ deggia.
 TOLOMEO
 Mi promettesti...
 ARGENE
                                  Affetti.
 TOLOMEO
 Ov’almen vo’ sperar più dolce un guardo.
 ARGENE
 Principe, quando avvampa
 di sdegno un cor, non è sereno un volto.
 TOLOMEO
665Ma nel tuo sdegno ancora
 distinguer con un guardo
 ben puoi, da chi ti offende, un che ti adora.
 ARGENE
 Non chiede il vero amante
 prima del tempo il guiderdon de l’opra.
670Siegui a compir la mia vendetta. Or sia
 meta de’ tuoi sospiri Argene offesa;
 poi chiedila pietosa,
 che alor merito avranno i tuoi sospiri.
 TOLOMEO
 Temo che per Antioco
675tu serbi ancor qualche speranza.
 ARGENE
                                                             Io vile
 sperar sopra un ingrato? E che sperarne?
 TOLOMEO
 Qui Stratonica or ora
 protestò di voler che Antioco ti ami.
  ARGENE
 Che Antioco mi ami?
 TOLOMEO
                                          Sì. Resti sospesa?
680Quel tacer è di sdegno o pur d’affetto?
 ARGENE
 Nol so. (So che mi avvampa il cor nel petto).
 
    O amor prometta
 o pur tel nieghi,
 non pretender che si spieghi
685mai per forza una beltà.
 
    Nol pretender, perché anch’essa,
 nel desio talor perplessa,
 ciò che vuole ancor non sa.