Artaserse (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1705

 A CHI LEGGE
 
    L’Artaserse di Giulio Agosti reggiano uscì dalle stampe di Reggio fino l’anno 1700, sotto i gloriosissimi auspici del serenissimo Rinaldo I, duca di Modana; e siccome fu lavorato e con giudizio e con forza, piacque a chi ha direzione del teatro, in cui ora si rappresenta, che con la minor diversità che fosse possibile venisse ridotto in un drama musicale proporzionato al luogo ed alle persone che debbono esserne gli attori. Questa necessità ci ha fatto aggiungere e levare molte cose, senza che però nulla si guastasse il viluppo e prendendosi solamente la libertà d’alterarlo in qualche parte per servire all’alterazione del fine, al quale s’è levato ogni tragico che amareggiasse il gusto degli uditori; in ciò non meno si è proccurato di piacere che di ubbidire. Se ad alcuno, che vorrà farne il riscontro, parerà che si sieno trascurati molti versi e molte frase delle migliori, non creda che in ciò non si abbia conosciuto il merito e dell’autore e del componimento; ma più tosto conchiuda che si è dovuto adattare alle convenienze del tempo, della musica e delle persone che rappresentano questo drama e che, tenendosi il bisognevole, si poteva e si doveva troncare il superfluo perché era appunto ornamento.
    Dovrei dir qualche cosa intorno all’esame de’ rei che dal re si fa nel tempio del Sole, suprema divinità de’ Persiani, adorato da loro col nome di Mitra, sopra di che veggasi il dottissimo Ezechiello Spanemio, in Notae gallicae ad caesarem Julianum, e l’eruditissimo Filippo Del Torre, vescovo d’Adria, in Dissertatio de Mithra.
    Dovrei dirne sopra il costume praticato da’ Persiani e da’ Greci nella solennità di giurar la pace, riferito dal santo cattedratico di Burgos e da molti altri. Dovrei non tacer dell’incostanza ne’ suoi amori del re Artaserse Longimano che non è altri che l’Assuero della Scrittura, eccetera; ma rappresentandosi il drama in una città tanto letterata e studiosa, stimerei di far torto alla sua cognizione, più diffusamente parlandone, o per sua intelligenza o per mia discolpa. Se ottengo il compatimento, ho detto a sufficienza; e se non l’ottengo, ho detto anche troppo.