Aminta, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XII
 
 EURIDICE, CELIA, SILVIO ed ELPINO
 
 EURIDICE
 Celia, rimanti; ogni altro parta.
 SILVIO
                                                           Al cenno
 ubbidisco. (Finge partire)
 ELPINO
                        M’involo. (Si parte)
 SILVIO
 (Ma qui mi fermo inosservato). (Si ferma in disparte)
 EURIDICE
                                                             Sole
 siam, ninfa. In questo punto
1330s’agita il tuo destino.
 Cieca se nol conosci,
 folle se lo disprezzi;
 gran venture a te porge
 la tua beltà, l’amor di Adrasto. Ah, vedi,
1335non irritar gli dei col disprezzarle.
 Diventa il ben perduto un gran tormento
 e la nostra fortuna è un sol momento.
 CELIA
 Se, regina, al mio labbro
 quella sincera libertà concedi
1340che vien dal cor...
 EURIDICE
                                   Favella.
 CELIA
 Dirò; sul generoso amor di Adrasto
 qualor fisso la mente,
 mi perdo e mi confondo. A lui son grata
 quanto mi lice; e appieno
1345il suo gran merto e il mio dover mi è noto.
 Ma nel grato desio
 lo rispetto, non l’amo;
 né volendo il potrei;
 tutti ha Silvio in balia gli affetti miei.
 EURIDICE
1350Non nascesti mia suddita; né posso
 stender su te l’autorità del cenno.
 Ma Silvio a te non nacque.
 Sovra il suo cor mi diè natura impero
 più che di sua regina;
1355e per semplice ninfa arder non lice
 ad un figlio di Aminta e di Euridice.
 CELIA
 Silvio è pastor.
 EURIDICE
                              No, Celia.
 In lui mi rende il cielo
 il perduto Alessandro e ad Alessandro
1360piacer non dee l’amor di Silvio. Ei prenda
 col grado anco altro core
 e prence obblii ciò che adorò pastore.
 CELIA
 Silvio, già morto a Celia,
 non è più Silvio. Egli è dover che ancora
1365Celia non sia più Celia e a Silvio mora.