Aminta, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XI
 
 CELIA e i suddetti
 
 CELIA
1290Fallo non v’ha più degno
 di un facile perdon che quel d’amore;
 errò, regina, e gravemente, è vero,
 Dionisio ti offese.
 Ma come sua discolpa è il tuo sembiante,
1295così sua pena è l’infelice evento.
 Per supplizio a lui basti
 che tu sii sua nimica, egli tuo amante.
 Non aggravar di ceppi
 destra real nata allo scettro. Il dona
1300al suo amore, al suo grado, a’ preghi miei.
 Usa ver gl’infelici
 quella pietà che teco usan gli dei.
 SILVIO
 (Quanto gentil, tanto infedel tu sei).
 EURIDICE
 Celia, donde in te nasca
1305tanta pietà, non vo’ cercar; le grazie,
 grazie non son, se sono caute e tarde.
 Donisi alle tue brame
 la libertà del prence; indi tu stessa
 l’alma disponi a compiacermi in cosa
1310che a me fia di contento, a te di onore.
 CELIA
 Troppo ti deggio. È tuo di Celia il core.
 AMINTA
 All’amor tuo, mia sposa,
 sovvenga Adrasto. Ora egli è tempo. Intanto
 del prigionier reale
1315vado a scior le catene.
 EURIDICE
 Seco a me riedi.
 AMINTA
                                 E tosto
 in te a bearmi io tornerò, mio bene.
 
    Star lontan dagli occhi tuoi,
 per me, cara,
1320non è viver ma languir
 .
    Se non fosse la speranza
 di tornar, begli occhi, a voi,
 anche in breve lontananza,
1325il languir saria morir.