Aminta, Firenze, Moucke, 1736 (controscene)

 SCENA V
 
 ALCEA e ELPINO
 
 ALCEA
 Finalmente egli è vero
 che Silvio di pastore
 diventato è signore
460e che, ciò nonostante,
 tanto di Celia è amante
 che la vuole sposar e far signora;
 se così è, in malora
 è andato, o Elpino, il vostro nuovo amore;
465ritornerà l’antico intatto e puro
 e ci parrà buonissimo il pan duro.
 ELPINO
 Chi detto avrebbe mai che il vostro damo
 fosse principe e re?
 ALCEA
 Mi dispiace di te,
470perocché Celia anch’essa,
 se Silvio ad ogni mo’ la vuol pigliare,
 diventerà fra poco principessa.
 ELPINO
 A me ciò nulla importa.
 ALCEA
 A me ciò nulla pesa.
 ELPINO
475Ma di Silvio...
 ALCEA
 Ma di Celia...
 A DUE
                            L’amor e dov’andrà?
 ELPINO, ALCEA A DUE
 Come s’accese ancor si spegnerà.
 ELPINO
 Il mio stat’è uno scherzo giovanile.
 ALCEA
 Il mio fu di ragazza un brio gentile.
 ELPINO
 Ma non passò in malizia.
 ALCEA
480Ed io non intaccai la pudicizia.
 ELPINO
 Sicché, o bella, incorrotta
 mi serbasti la fede?
 ALCEA
 Sicché, vago consorte,
 tu mi sarai fedel fino alla morte?
 ELPINO
485Per l’alte tue bellezze,
 per quelle guance d’oro,
 per quel candido crine,
 per quel bel viso fatto a piegoline,
 ti giuro amore e fé.
 ALCEA
490Ed io pur giuro a te,
 per il tuo bel mostaccio di sagrì,
 che di mia vita i dì
 consacrerò tutti agli affetti tuoi
 né ci saran più gelosie fra noi.
 ELPINO
 
495   O cara...
 
 ALCEA
 
 O caro...
 
 A DUE
                   Che sento.
 Ritorni nel seno
 né mai venga meno...
 
 ELPINO
 
 O dolce gobbetta...
 
 ALCEA
 
 O faccia diletta...
 
 A DUE
 
500L’amor e il contento.
 
 Fine