Aminta, Firenze, Vangelisti, 1703

 SCENA XII
 
 CELIA e detti
 
 CELIA
 Fallo non v’ha più degno
1570di un facile perdon che quel d’amore;
 errò, regina, e gravemente, è vero,
 Dionisio ti offese.
 Ma come sua discolpa è ’l tuo sembiante,
 così sua pena è l’infelice evento.
1575Per supplizio a lui basti
 che tu sii sua nemica, egli tuo amante.
 Non aggravar di ceppi
 destra real nata allo scettro. Il dona
 al suo amore, al suo grado, a’ preghi miei.
1580Usa ver gl’infelici
 quella pietà che teco usan li dei.
 SILVIO
 (Quanto gentil, tanto infedel tu sei).
 EURIDICE
 Celia, donde in te nasca
 tanta pietà, non vo’ cercar; le grazie,
1585grazie non son, se sono caute e tarde.
 Donisi alle tue brame
 la libertà del prence; indi tu stessa
 l’alma disponi a compiacermi in cosa
 che a me fia di contento, a te d’onore.
 CELIA
1590Troppo ti deggio. È tuo di Celia il core.
 AMINTA
 All’amor tuo, mia sposa,
 sovvenga Adrasto. Ora egli è tempo. Intanto
 del prigionier reale
 vado a scior le catene.
 EURIDICE
1595Seco a me riedi.
 AMINTA
                                 E tosto
 in te a bearmi io tornerò, mio bene.
 
    Star lontan dagli occhi tuoi,
 per me, cara,
 non è viver ma languir.
 
1600   Se non fosse la speranza
 di tornar, begli occhi, a voi,
 anche in breve lontananza
 il languir saria morir.