Aminta, Firenze, Vangelisti, 1703

 SCENA V
 
 ALCEA e ELPINO
 
 ALCEA
 Finalmente egli è vero
 che Silvio di pastore
 diventato è signore
 e che ciò nonostante
1305tanto di Celia è amante
 che la vuole sposar e far signora;
 se così è, in malora
 è andato, o Elpino, il vostro nuovo amore;
 ritornerà l’antico intatto e puro
1310e ci parrà bonissimo il pan duro.
 ELPINO
 Chi detto avrebbe mai che il vostro damo
 fosse principe e re?
 ALCEA
 Mi dispiace di te,
 però che Celia anch’essa,
1315se Silvio ad ogni mo’ la vuol pigliare,
 diventerà fra poco principessa.
 ELPINO
 A me ciò nulla importa.
 ALCEA
 A me ciò nulla pesa.
 ELPINO
 Ma di Silvio...
 ALCEA
 Ma di Celia...
 A DUE
                            L’amor e dove andrà?
 ELPINO, ALCEA A DUE
1320Come s’accese ancor si spegnerà.
 ELPINO
 Il mio stato è uno scherzo giovanile.
 ALCEA
 Il mio fu di ragazza un brio gentile.
 ELPINO
 Ma non passò in malizia.
 ALCEA
 Ed io non intaccai la pudicizia.
 ELPINO
1325Sicché, o bella, incorrotta
 mi serbasti la fede?
 ALCEA
 Sicché, vago consorte,
 tu mi sarai fedel fino alla morte?
 ELPINO
 Per l’alte tue bellezze,
1330per quelle guance d’oro,
 per quel candido crine,
 per quel bel viso fatto a piegoline,
 ti giuro amore e fé.
 ALCEA
 Ed io pur giuro a te,
1335per il tuo bel mostaccio di sagrì,
 che di mia vita i dì
 consacrerò tutti agli affetti tuoi
 né ci saran più gelosie fra noi.
 ELPINO
 
    O cara...
 ALCEA
 O caro...
 A DUE
                   Che sento.
1340Ritorni nel seno
 né mai venga meno...
 
 ELPINO
 
 O dolce gobbetta...
 
 ALCEA
 
 O faccia diletta...
 
 A DUE
 
 L’amore e il contento.