Gl’inganni felici, Venezia, Nicolini, 1696

 SCENA XVII
 
 ALCESTE e AGARISTA
 
 ALCESTE
 A te di fausti avvisi
420nuncio m’inchino. Il tuo Armidor poc’anzi:
 «Caro Alceste» mi disse
 «ardo per Agarista e sì l’adoro
 che se tu non m’aiti, Alceste, io muoro».
 AGARISTA
 Tant’osò, tanto disse?
 ALCESTE
                                          E ’l disse a pena
425che in deliquio d’amor mi svenne in braccio.
 AGARISTA
 E ’l lasciasti così? Temo ed agghiaccio.
 ALCESTE
 Così stette gran tempo; infine al volto
 m’alzò l’egre pupille
 in atto sì dolente
430che avria mosse a pietà le belve istesse.
 AGARISTA
 Non più, che svengo anch’io.
 ALCESTE
 Ed immoto pendea dal labro mio.
 AGARISTA
 Che gli dicesti?
 ALCESTE
                               Io tosto
 lo sgridai che troppo alto alzasse il volo.
 AGARISTA
435Che rispose?
 ALCESTE
                           «Chi mai
 può veder senz’amor volto sì vago?»
 AGARISTA
 E tu?
 ALCESTE
              «Viltà e timor dovean frenarti».
 AGARISTA
 Ed ei?
 ALCESTE
                «Cara beltà, voglio adorarti».
 AGARISTA
 Alfin?
 ALCESTE
               Mi disse: «Se mi nieghi aita,
440sei scortese e crudel. Forse non sono
 così vil qual ti sembro»; e poi partissi.
 AGARISTA
 Altro non ti soggiunse?
 ALCESTE
                                             Il tutto io dissi.
 AGARISTA
 S’ei fosse qual vorrei
 fortunata sarei.
 ALCESTE
                               Chi sa? Sovente
445fa stravaganze amore.
 AGARISTA
 Ciò ch’è oggetto al desio tema è del cuore.
 
    O va’, spietato amore,
 o lasciami sperar.
 
    Tu che dai piaghe al cuore,
450tu le dovrai sanar.
 
 ALCESTE
 
    Amor, de le tue pene
 non mi saprò lagnar,
 
    purché si cangi in bene
 la gloria del penar.
 
 Fine dell’atto primo
 
 Ballo di damigelle e di paggi destinati al servigio della sposa Agarista.