Venceslao, Parma, Rosati, 1724 (Il Venceslao)

 SCENA VI
 
 LUCINDA e CASIMIRO
 
 LUCINDA
1050Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
1055ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel meno m’offendi. (Piagne)
 CASIMIRO
 Ah tempra, o cara, i pianti.
 Per me tutto il martire
 è ’l lasciarti, ben mio, non il morire.
 LUCINDA
1060Morir. Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che sofferrire il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, sangue e ragione.
1065Eccitterò ne’ popoli lo sdegno;
 empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e foco.
 
    E se teco non vivrò,
1070teco, sposo, i’ morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re m’è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, se’ sposo ancora.
1075Serbi il nome di figlio a chi t’uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi t’adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
 che più m’è caro; io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante,
1080e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; t’è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra; a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò
1085dal ferro uccisa o dal dolor... (Piagne)
 CASIMIRO
                                                      Tu piagni?
 Tergi le luci, addio.
 Più soffrir non poss’io
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
1090   Parto, non ho costanza
 per rimirarti a piagnere.
 Sposa, t’abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, i’ moro.
 Ma non saria morir
1095sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.